Nell'inverno del 1853-54, povero di precipitazioni, il lago di Zurigo scese a un livello mai raggiunto da secoli, consentendo alla popolazione rivierasca di guadagnare nuove terre. A Obermeilen vennero ritrovati antichi pali, utensili in pietra, ossa e cocci di argilla che furono consegnati a Johannes Aeppli, maestro del villaggio. L'archeologo zurighese Ferdinand Keller, chiamato a consulto, individuò negli oggetti i resti di un antico insediamento che attribuì all'epoca preistorica e - sull'onda della nascente coscienza nazionale - ai Celti (archeologia).
In seguito, basandosi su un passo di Erodoto sulle antiche abitazioni palafitticole del lago Prasia in Tracia (Storie, libro quinto) e sulla descrizione di costruzioni contemporanee in Nuova Guinea fatta dal ricercatore e viaggiatore francese Jules-Sébastien-César Dumont d'Urville, Keller sviluppò la sua celebre teoria sulle palafitte: dalla disposizione assai fitta dei pali piantati verticalmente sul fondo del lago e dalla loro collocazione in una zona poco profonda lungo la riva, Keller dedusse che un tempo essi avevano sostenuto piattaforme di legno sulle quali sorgevano abitazioni. Sebbene all'epoca la ricerca non fosse in grado di fornire alcuna spiegazione plausibile per la presenza di palafitte lungo i laghi dell'Altopiano svizzero, la teoria di Keller rimase per decenni indiscussa, tanto che lo studioso, con i suoi "rapporti sulle palafitte" (Pfahlbauberichte) e i suoi contatti internazionali, divenne la figura chiave della ricerca in quest'ambito. Dal decennio 1860-70 si diffuse in tutti i ceti sociali un enorme entusiasmo per i palafitticoli, riconducibile soprattutto a ricostruzioni in chiave romantica. Anche calendari, poesie e cortei storici contribuirono a radicare il mito dei palafitticoli nella popolazione. Cerchie di ispirazione nazionalista promossero i palafitticoli a simbolo di una Svizzera unita da millenni, giustificando verso l'esterno l'esistenza dello Stato federale. Anche all'estero i palafitticoli conquistarono una grande popolarità, stimolando ricerche che portarono alla scoperta di ulteriori reperti lungo tutto l'arco alpino.
Keller può essere senz'altro considerato il padre della teoria sulle palafitte, ma non il loro scopritore, dal momento che i primi riferimenti a costruzioni palafitticole si trovano già in manoscritti del XV secolo. Prima del ritrovamento delle palafitte di Obermeilen, nella Svizzera occidentale erano già noti diversi insiemi di pali, regolarmente perlustrati da collezionisti antiquari come Albert Jahn ed Emanuel Friedrich Müller. Dopo la pubblicazione del primo rapporto sulle palafitte di Keller (1854) nelle Mitteilungen der Antiquarischen Gesellschaft in Zürich e soprattutto dopo la prima correzione delle acque del Giura (1868-91), prese avvio un intenso commercio di oggetti archeologici che portò alla vendita di numerosi reperti a musei nazionali ed esteri. La grande richiesta di antichità provenienti dalle stazioni palafitticole fu pure all'origine di molti falsi.
Nella Svizzera occidentale importanti contributi alla ricerca vennero soprattutto da Frédéric Troyon, Adolf von Morlot, Johann Uhlmann, Friedrich Schwab, Edouard Desor, Victor Gross ed Edmund von Fellenberg. Nella Svizzera orientale e nell'area del lago di Costanza furono principalmente attivi Jakob Messikommer e Caspar Löhle. Opere pionieristiche nel campo delle scienze naturali furono realizzate da Oswald Heer (Die Pflanzen der Pfahlbauten, 1865) e Ludwig Rütimeyer (Die Fauna der Pfahlbauten der Schweiz, 1862). Fino alla metà del XX secolo la teoria di Keller rimase per lo più incontestata. Solo con gli scavi condotti da Emil Vogt nel Wauwilermoos lucernese la questione della ricostruzione delle abitazioni, a livello del suolo o sollevate da terra (palafitte), fu rilanciata e a lungo dibattuta. Scavi recenti dimostrano che esistevano sia case a livello del suolo sia costruzioni sopraelevate sulla terraferma.