Schiavitù

Schiavismo

Di dimensioni globali, la storia della schiavitù va dalla Preistoria (ca. 8000 a.C.) al presente. A grandi tratti si possono individuare diverse fasi: una prima, che va fino al III millennio a.C., caratterizzata dall'assenza di istituzioni e canoni giuridici fissi; la schiavitù familiare e domestica (con uno status servile mascherato), dal III millennio a.C. ca., che interessava principalmente prigionieri di guerra, donne e bambini inseriti in un clan o gruppo parentale; la schiavitù transatlantica dall'inizio del XVI secolo al 1888 (commercio marittimo) e sistemi schiavisti in Africa e Asia diffusi fino al XX secolo. Forme di schiavitù moderna, prevalentemente illegali, sono considerate la tratta di esseri umani e in particolare di bambini, la prostituzione forzata, la riduzione in schiavitù per motivi religiosi o di sfruttamento economico (lavoro forzato). Fatta eccezione per la tratta transatlantica, nessun altro tipo di schiavitù è stato formalmente abolito, nonostante esistano in tutto il mondo leggi che vietano la proprietà di esseri umani (ad esempio l'articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo). 

Gli esseri umani possono essere ridotti in schiavitù a seguito di guerre, depredazione, condanne e indebitamento. Dall'epoca moderna la stragrande maggioranza di persone schiavizzate era, ed è tuttora, costituita da donne e bambini, prevalentemente di sesso femminile; gli schiavi maschi erano soprattutto prigionieri di guerra o deportati nella tratta transatlantica. Un numero cospicuo di persone schiavizzate moriva in quella condizione. L'affrancamento poteva essere ottenuto attraverso la fuga, ribellioni o rivoluzioni, il riscatto, la liberazione, per ordinamento delle autorità e abolizioni (abolizionismo).

Sottoposti alla violenza concreta altrui contro la loro integrità fisica, schiave e schiavi sono limitati nella propria mobilità geografica e sociale da chi li possiede e dalle istituzioni. Costretti a prestare lavoro per i loro detentori e detentrici, vengono impiegati a scopo di riproduzione, prostituzione, per servizi militari e di guardia e sono indice di potere e di status sociale. Quale «merce» costituiscono inoltre un capitale d'investimento e di scambio. Nella storia della schiavitù si distinguono due principali forme di svilimento dello status dell'individuo: una interna, determinata ad esempio da criteri socioeconomici come l'indebitamento, dal genere e dall'età e una esterna, caratterizzata da denigrazione sistematica dell'origine della persona, alterizzazione e disumanizzazione o fondata su teorie religiose e «scientifiche» che postulano la superiorità di una determinata «civiltà» o «razza» (razzismo).

Fonte: David Eltis e David Richardson, Atlas of the Transatlantic Slave Trade, 2010 e slavevoyages.org © 2023 Dizionario storico della Svizzera, Berna.
Fonte: David Eltis e David Richardson, Atlas of the Transatlantic Slave Trade, 2010 e slavevoyages.org © 2023 Dizionario storico della Svizzera, Berna. […]

L'esercizio dell'autorità sulle persone schiavizzate («facoltà di disporre») era regolamentato nell'ambito del diritto sulla proprietà, in Europa principalmente dal diritto romano e dai testi di legge degli Stati coloniali (colonialismo) nella tradizione di quest'ultimo (in particolare Spagna e Portogallo). Nel mondo anglo-americano e nelle rispettive colonie il rapporto di schiavitù era definito dalla common law. Anche in altri Imperi schiavisti (azteco, inca, cinese, persiano, ottomano, russo, regni in India) la prassi era codificata con usanze, pratiche religiose, regole e sistemi giuridici. A queste si aggiungono comunità non statalizzate che tenevano schiavi, «piccole» schiavitù, «schiavitù senza schiavitù (formale)» e schiavitù derivate dall'indebitamento, spesso non chiamate esplicitamente con il loro nome. In questa sede saranno in particolare trattate la schiavitù nell'antichità romana con uno sguardo all'alto Medioevo, la tratta transatlantica e la posizione in merito alla schiavitù del Consiglio federale e del parlamento (Assemblea federale) nella seconda metà del XIX secolo.

Antichità e Medioevo

La schiavitù era presente in tutte le società del mondo antico, con alcune variazioni geografiche e culturali. Per il territorio dell'attuale Svizzera è difficile ricostruire le diverse tipologie presso i Galli (Gallia), gli Elvezi e altri gruppi celtici a causa della lacunosa situazione delle fonti. Nel De bello gallico Cesare riferisce di una forma di schiavitù per indebitamento praticata dai Galli e che gli Elvezi schiavizzarono i loro nemici, una prassi diffusa anche presso i Romani; in questo modo numerosi Celti, Galli e Germani divennero schiavi dell'Impero romano. Questa sorte non toccava ai membri dei popoli soci, a patto che non si ribellassero al dominio di Roma. Secondo Tacito, a seguito di un conflitto delle legioni romane con la civitas degli Elvezi, nel 69 d.C. un'ampia parte della popolazione locale fu ridotta in schiavitù; uscì da questa condizione con la progressiva integrazione dell'attuale territorio elvetico nell'Impero romano.

Durante le fasi di espansione dell'Impero, l'approvvigionamento di schiavi e schiave era garantito grazie alla sottomissione di popolazioni lungo il limes. In tempi meno bellicosi, il fabbisogno di forza lavoro veniva soddisfatto ricorrendo a donne e uomini nati in schiavitù (vernae). Per timore di sollevamenti si evitava l'impiego di prigionieri di guerra schiavizzati nelle loro terre di origine, distribuendoli in tutto l'Impero tramite una rete commerciale. La rotta di questo commercio attraversava anche il Gran San Bernardo, come suggerisce un ex voto dedicato in loco a Giove Pennino da un mercante di schiavi elvetico. Sulla proporzione tra persone schiavizzate e libere si possono solo fare delle congetture.

Ex voto del commerciante di schiavi elvetico (mango) Gaius Domitius Carassounus, un liberto di origini celtiche, alla divinità Giove Pennino per garantirsi la buona traversata del passo del Gran San Bernardo (Summus Poeninus), rinvenuto a Bourg-Saint-Pierre. Bronzo, inizio I secolo d.C., 14,7 x 24,4 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-56435).
Ex voto del commerciante di schiavi elvetico (mango) Gaius Domitius Carassounus, un liberto di origini celtiche, alla divinità Giove Pennino per garantirsi la buona traversata del passo del Gran San Bernardo (Summus Poeninus), rinvenuto a Bourg-Saint-Pierre. Bronzo, inizio I secolo d.C., 14,7 x 24,4 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-56435).

Diffusa in tutto l'Impero, la schiavitù era regolata a livello giuridico; fino al conferimento della cittadinanza romana a tutta la popolazione libera nel 212 d.C. (Constitutio Antoniniana), diritto romano e consuetudini locali degli abitanti coabitavano (romanizzazione). Nel diritto romano le persone schiavizzate erano considerate come oggetti, di proprietà del rispettivo padrone (dominus). Le loro condizioni di vita, impiegate in molti settori (agricoltura, edilizia, artigianato, economia domestica), dipendevano dallo stanziamento delle legioni e dal campo di attività. Su laterizi di Erlach e Wettswil am Albis, ad esempio, sono menzionati gli schiavi coinvolti nella produzione di tegole. Frequentemente lavoro libero e lavoro forzato coesistevano.

Frammento di tegola di epoca romana con iscrizione latina, rinvenuta nel 1950 a Erlach. Terracotta, 22,5 x 24 x 3 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-86274).
Frammento di tegola di epoca romana con iscrizione latina, rinvenuta nel 1950 a Erlach. Terracotta, 22,5 x 24 x 3 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-86274). […]

Schiavi e schiave non erano detenuti solo da singoli, ma anche da collettività come città o corporazioni, che li utilizzavano spesso per la manutenzione dell'infrastruttura cittadina, la costruzione di strade ed edifici pubblici nonché per lavori amministrativi. Nei molteplici compiti dell'amministrazione imperiale erano impiegati anche schiavi, e soprattutto affrancati, dell'imperatore. A Ginevra, il liberto Aurelius Valens, a sua volta detentore di liberti e schiavi, è attestato come responsabile del posto di dogana.

Secondo il diritto romano, le persone ridotte in schiavitù potevano essere liberate dopo aver compiuto i 30 anni. Potevano essere emancipate anche prima, però con uno statuto inferiore. La loro condizione giuridica dipendeva da quella del loro ex padrone, che diventava il loro patrono (clientelismo). Se quest'ultimo era un cittadino romano, i suoi affrancati e le sue affrancate ottenevano il diritto di cittadinanza romana o latina, con limitati diritti di matrimonio e di fare testamento (Lex Iunia Norbana). Se il patrono era un peregrino, anche i suoi ex schiavi e schiave liberati assumevano questo statuto (fino all'entrata in vigore dell'editto di Caracalla). Il diritto romano distingueva tra individui nati liberi (ingenui) e liberati (libertini/liberti). Ingenui erano considerati i figli di liberi e liberti; nel dubbio era determinante lo statuto giuridico della madre al momento del parto. Non esisteva parità giuridica tra liberi e liberti; a questi ultimi era per esempio precluso l'accesso alle alte cariche pubbliche e al Senato.

Gli schiavi con un peculio (bene concesso dal padrone per lo sfruttamento in proprio, come un gregge o un laboratorio) avevano la possibilità di riscattarsi con i proventi di questo piccolo patrimonio. Sottoposti alla potestà del loro patrono anche dopo la liberazione, i liberti potevano essere obbligati a svolgere dei compiti contrattuali per l'ex padrone, in particolare se non erano stati in grado di coprire interamente la somma per il loro riscatto. In caso di mancato adempimento di tali funzioni potevano essere nuovamente ridotti in schiavitù. Accadeva spesso che ex schiave e schiavi continuassero a far parte del gruppo domestico del patrono, svolgendo attività di maggiore responsabilità come la gestione di una villa discosta in campagna. Ad Avenches si è conservata un'iscrizione che attesta la donazione a un collegio di medici e insegnanti da parte di un Quintus Postumius Hyginus e del suo liberto Postumius Hermes. È probabile che entrambi i donatori appartenessero alla stessa categoria professionale e che il secondo abbia lavorato per il primo, dapprima come servo e poi come libero assistente.

Numerose epigrafi testimoniano di relazioni strette tra patroni e liberti. Su una lapide a Munznach un patrono commemora la sua liberta, deceduta a soli 16 anni, e la sorellina, di un anno. Sulla stele funeraria di Titus Nigrius Saturninus a Morat si legge che il monumento fu eretto dalla moglie, sua ex schiava liberata.

Due stele funerarie con iscrizioni che menzionano schiave affrancate. A sinistra: stele della liberta Prima e della sorella Araurica, fatta erigere dal loro patrono Gaius Coteius, rinvenuta a Munzach, pietra calcarea, II/III secolo d.C., 53 x 68 x 19 cm (Historisches Museum Basel, Inv. 1904.140, © Historisches Museum Basel, Andreas Niemz ); a destra: stele di Titus Nigrius Saturninus, fatta erigere dalla moglie ed ex schiava liberata Saturnina Gannica, rinvenuta a Morat, pietra calcarea, I/II secolo d.C., 55 x 36 x 3,5 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-85027).
Due stele funerarie con iscrizioni che menzionano schiave affrancate. A sinistra: stele della liberta Prima e della sorella Araurica, fatta erigere dal loro patrono Gaius Coteius, rinvenuta a Munzach, pietra calcarea, II/III secolo d.C., 53 x 68 x 19 cm (Historisches Museum Basel, Inv. 1904.140, © Historisches Museum Basel, Andreas Niemz ); a destra: stele di Titus Nigrius Saturninus, fatta erigere dalla moglie ed ex schiava liberata Saturnina Gannica, rinvenuta a Morat, pietra calcarea, I/II secolo d.C., 55 x 36 x 3,5 cm (Museo nazionale svizzero, Zurigo, A-85027).

La schiavitù era parte integrante della vita romana e poco criticata. Nemmeno con la progressiva cristianizzazione dell'Impero l'istituzione venne messa in discussione in quanto tale; pure entità religiose come i conventi possedevano schiave e schiavi, che potevano essere liberati tramite la manumissione in ecclesia. Anche in ambito religioso, liberi e affrancati non godevano degli stessi diritti; ai liberti, ad esempio, era precluso l'accesso al clero superiore. Nel VI secolo si costituì una nuova forma di libertà condizionata, il colonato, che rafforzò il vincolo tra i contadini e le terre loro concesse in affitto, che né loro, né i loro figli, potevano abbandonare senza l'autorizzazione del signore fondiario.

Le diverse entità statali che si succedettero sul territorio dell'attuale Svizzera dopo la disgregazione dell'Impero romano ripresero le norme del diritto romano, comprese le disposizioni sulla schiavitù, adeguandole tuttavia puntualmente al loro contesto sociale (leggi germaniche). Nell'alto Medioevo persone schiavizzate rispettivamente affrancate avevano alcuni diritti patrimoniali e matrimoniali (matrimonio, maritaggio). La loro posizione rimase però precaria poiché ogni concessione dipendeva dalla volontà del signore (familia) e le possibilità di opporsi erano praticamente nulle. Alla fine del I millennio il termine latino servus aveva probabilmente perso il suo significato originario di schiavo e si applicava anche ad altre forme di dipendenza (uomini liberi, corvée). A partire dall'VIII secolo, perlomeno nella regione dell'attuale Svizzera nordorientale, nelle fonti compaiono piuttosto i termini di mancipii (mancipazione, servitù della gleba) e di servitores e, alla luce del diritto curtense e delle leggi alemanniche, lo statuto di queste persone dipendenti (signoria fondiaria) presenta ormai poche analogie con quello degli schiavi di epoca romana. Dal XII secolo si diffuse il termine latino medievale sclavus rispettivamente slavus («prigioniero di guerra slavo»), da cui è derivato «schiavo».

Epoca moderna

Con la «scoperta» e lo sfruttamento coloniale dell'America da parte degli Europei, il baricentro della storia della schiavitù si spostò sul sistema di scambio transatlantico che collegava l'Europa e l'Africa al continente americano (America latina, Caraibi, Stati Uniti d'America). Nelle neofondate colonie europee venne avviata un'economia di piantagione con un elevato fabbisogno di manodopera; ciò spinse gli Europei e le élite coloniali americane a organizzare, dalle coste africane, e con il sostegno di reti locali (soprattutto in Africa occidentale), un massiccio spostamento di popoli con conseguenze drammatiche. Tra il 1519 e il 1867 i principali attori europei implicati nel commercio di persone schiavizzate provenivano dal Portogallo e dalla Gran Bretagna. Dall'inizio del XVI all'ultimo terzo del XIX secolo, tramite la tratta transatlantica vennero deportati in America 10-11 milioni di persone per essere ridotte in schiavitù.

L'evoluzione numerica del commercio di persone schiavizzate rispecchia gli eventi storici. L'inizio della guerra d'indipendenza americana (1775) o il sollevamento degli schiavi a Saint-Domingue (1791) causarono un temporaneo crollo dei flussi commerciali. Anche le ripercussioni dell'abolizione del commercio di schiavi nei territori britannici (1807-1808) e la convenzione anglo-brasiliana contro la tratta (1830) sono individuabili (Fonte: proiezioni della Trans-Atlantic Slave Trade Database e della Intra-American Slave Trade Database sul sito slavevoyages.org [gennaio 2023]). 

Nel suo periodo di massima fioritura nella seconda metà del XVIII secolo, in questo vasto sistema di scambi transatlantici comparve anche la grande maggioranza degli Svizzeri. Attivi come fabbricanti tessili (industria tessile), grandi commercianti o agenti finanziari (piazza finanziaria), riuscirono a inserirsi in questa rete grazie alla sua vastità. Contribuirono ad alimentarla sia con la fornitura di merci (essenzialmente indiane o tele di cotone stampate) da produrre e scambiare contro persone nere prelevate e deportate in numero sempre maggiore, sia di capitali da investire nel trasporto, in costante crescita, di schiave e schiavi, oppure nelle piantagioni americane situate in luoghi attrattivi dal profilo economico.

Acqueforti di François Aimé Louis Dumoulin, tratte dalla Collection de cent-cinquante gravures [illustrant les] Voyages et aventures surprenantes de Robinson Crusoé, stampa di Blanchoud, Loertscher et fils, Vevey, 1818 ca. (seconda edizione), tavole numero 4 e 5 (Musée historique de Vevey, Inv. MhV 5418).
Acqueforti di François Aimé Louis Dumoulin, tratte dalla Collection de cent-cinquante gravures [illustrant les] Voyages et aventures surprenantes de Robinson Crusoé, stampa di Blanchoud, Loertscher et fils, Vevey, 1818 ca. (seconda edizione), tavole numero 4 e 5 (Musée historique de Vevey, Inv. MhV 5418). […]

Le aziende commerciali svizzere coinvolte nell'intreccio transatlantico non vendevano solo indiane, merce per eccellenza della tratta: avevano un ruolo diretto nel mercato degli schiavi e vendevano beni, come zucchero, caffè, cacao e cotone, prodotti da persone schiavizzate nelle piantagioni americane. Si trattava di imprese originarie principalmente di Basilea (Christoph Burckhardt & Cie, Christoph Burckhardt; Weis & fils; Riedy & Thurninger; Kuster & Pelloutier; Simon & Roques), Neuchâtel (Favre-Petitpierre & Cie; Pourtalès et Cie, Pourtalès; Gorgerat Frères & Cie) e Ginevra (Labat Frères; Rivier & Cie; Jean-Louis Baux & Cie). L'implicazione più strettamente finanziaria degli Svizzeri comportò la comparsa di finanzieri (come il neocastellano David de Pury), banche (tra cui Marcuard & Cie e Zeerleder & Cie di Berna, Tourton & Baur e Mallet frères & Cie con stretti agganci ginevrini) nonché città (come Berna e Zurigo), generalmente azionisti delle grandi compagnie concessionarie (come la portoghese Pernambuco e Paraíba, la Compagnia francese delle Indie o la South Sea Company britannica), coinvolte a vari livelli nella tratta schiavista e nel commercio coloniale.

Secondo un conteggio provvisorio, la partecipazione in tutte le forme di Svizzeri alla tratta transatlantica determinò, tra il 1719 e il 1830, lo spostamento di oltre 170'000 individui, ossia il 2% del numero totale di persone deportate dall'Africa su navi europee in questo periodo. L'analisi di singoli casi ha evidenziato che per gli Svizzeri il commercio di schiavi rappresentava una piccola frazione della loro attività commerciale e d'investimento; vanno quindi considerati mercanti di schiavi di circostanza. Ciononostante, come in altri Paesi europei, persone schiavizzate originarie delle colonie arrivarono in Svizzera. Fra queste Pauline Buisson, portata da Saint-Domingue a Yverdon negli anni 1770 dal suo padrone, David-Philippe de Treytorrens

Nel sistema schiavista sul continente americano susseguente alla tratta, Svizzeri attivi principalmente come piantatori e accessoriamente commercianti, possedevano e usavano schiave e schiavi in primo luogo nei lavori agricoli, ma anche come dipendenti, domestici e domestiche. Nel XVIII secolo erano insediati soprattutto nei Caraibi (inclusa la Guyana olandese, Suriname) e poi, dopo le rivolte di schiave e schiavi a Saint-Domingue (Haiti) e in Giamaica, maggiormente negli Stati del sud degli Stati Uniti e in Brasile. Raramente i proprietari svizzeri di piantagioni schiaviste gestivano direttamente le loro tenute, dove si coltivavano zucchero, caffè, cacao, cotone o riso, ma le facevano amministrare da agenti locali, talvolta loro connazionali.

Tra i proprietari di piantagioni che gestivano i loro domini prevalentemente dalla Svizzera o da una delle grandi piazze europee come Amsterdam o Londra, figurano Jacques-Louis de Pourtalès e il suo socio basilese Johann Jakob Thurneysen, che detenevano grandi proprietà sull'isola di Grenada. Lo stesso fecero in particolare i fratelli Johannes e Johann Jakob Faesch, di Basilea, il vodese Jean Samuel Guisan, il neocastellano Pierre Alexandre DuPeyrou, i ginevrini François Fatio, Michel Trollet, David Flournois, Isaac Vernet, Jean Gallatin e Jean Zacharie Robin.

Altri risiedevano nelle colonie e sfruttavano direttamente i loro possedimenti in loco; nei Caraibi e nella Guyana olandese ad esempio i ginevrini Jean Trembley, Ami Butini, Charles-Alexandre Dunant, Jacques Théodore Colladon, Jean Antoine Bertrand, Henri Peschier e Henri Rieu e a Haiti Raymond Marie e Pierre Gautier, piantatori indennizzati dopo il sollevamento di schiavi a Saint-Domingue (1791-1803) per compensarli delle perdite subite. Nelle stesse regioni erano presenti Svizzeri provenienti da altri cantoni, come lo zurighese Friedrich Ludwig Escher (zio di Alfred Escher) a Cuba e il sangallese Paulus Züblin in Guyana. Nella Carolina del Sud vennero fondate due colonie svizzere, una dal neocastellano Jean Pierre de Pury (padre di David de Pury) e l'altra dall'appenzellese Johannes Tobler, di cui porzioni di terre venivano lavorate impiegando manodopera schiavizzata. Nel XIX secolo immigrati svizzeri, soprattutto dai cantoni Vaud, Neuchâtel e Zurigo, arrivarono in Brasile e si istallarono nelle regioni di Bahia e San Paolo, dove coltivarono caffè in grandi aziende agricole schiaviste.

Non si hanno informazioni precise riguardo la superficie, le colture, i conti e il numero esatto di schiave e schiavi che lavoravano nelle piantagioni; risulta quindi difficile stabilire se per i loro proprietari (residenti o meno) fossero investimenti redditizi. Le fonti riportano sia grandi perdite (Sophie-Adrienne Martinet Larguier des Bancels) sia enormi profitti (David de Pury, Auguste-Frédéric de Meuron). Non va inoltre dimenticato il quadro epidemiologico: a causa del clima per loro ostile, gli Europei furono decimati da malattie tropicali. In una contestualizzazione più ampia, la tratta transatlantica e lo schiavismo ad essa legato, riprovevoli secondo l'attuale scala di valori, per gli Svizzeri implicati, come per gli altri commercianti e investitori europei, rappresentavano un ramo economico e un investimento tra altri.

Il commercio transatlantico di schiavi e schiave ebbe conseguenze devastanti sui modi di vita, sulle lingue e sulle culture autoctone. Uomini, donne e bambini morirono nelle cacce agli esseri umani da schiavizzare, durante le marce forzate verso le coste africane o verso i forti, dove spesso erano imprigionati per lunghi mesi prima di essere venduti. Secondo le stime di ricercatori e ricercatrici, quasi tre quarti delle persone catturate per essere deportate morirono in Africa. Se riuscirono invece a sopravvivere alla pericolosa traversata dell'Atlantico, furono vendute nelle città portuali e poi marchiate a fuoco con il segno dei loro proprietari; la restante aspettativa di vita di schiavi e schiave era mediamente di quattro-sei anni.

Battaglia della Ravine-à-Couleuvres a Saint-Domingue, tra i ribelli comandati da Toussaint Louverture e le truppe coloniali francesi, 23 febbraio 1802. Illustrazione tratta dal quarto volume dell'Histoire du Consulat et de l'Empire di Adolphe Thiers, disegno di Karl Girardet, incisione di Jean-Jacques Outhwaite, edizione di Jean-Baptiste-Alexandre Paulin, Parigi, 1845 (Musée du Nouveau Monde de la Rochelle, MNM.doc.2019.1.1).
Battaglia della Ravine-à-Couleuvres a Saint-Domingue, tra i ribelli comandati da Toussaint Louverture e le truppe coloniali francesi, 23 febbraio 1802. Illustrazione tratta dal quarto volume dell'Histoire du Consulat et de l'Empire di Adolphe Thiers, disegno di Karl Girardet, incisione di Jean-Jacques Outhwaite, edizione di Jean-Baptiste-Alexandre Paulin, Parigi, 1845 (Musée du Nouveau Monde de la Rochelle, MNM.doc.2019.1.1). […]

Stato federale

Nel XIX secolo la Svizzera intratteneva relazioni ufficiali con potenze schiaviste. A quelle di lunga data con la Gran Bretagna, la Francia e i Paesi Bassi, in cui la schiavitù fu abolita rispettivamente nel 1838, 1848 e 1863, si aggiunsero quelle più recenti stabilite con gli Stati Uniti e il Brasile (abolizione nel 1865 e 1888). Avendo rinunciato del tutto all'espansione territoriale oltremare, la Confederazione non fu direttamente coinvolta nell'amministrazione di colonie e di piantagioni. Tra gli uomini politici che contribuirono a forgiare il giovane Stato federale, tuttavia, alcuni coltivarono stretti legami con il mondo coloniale. Louis Wyrsch, ad esempio, membro della Costituente del 1848 (Costituzione federale), finanziò la propria carriera politica con le pensioni ottenute grazie al servizio mercenario nelle Indie orientali olandesi (Indonesia). La Svizzera ufficiale assunse una posizione defilata anche rispetto all'abolizionismo, diffuso essenzialmente da cerchie intellettuali e religiose.

Prime pagine del rapporto del Consiglio federale del 2 dicembre 1864 concernente cittadini svizzeri detentori di schiavi e schiave, pubblicato in tedesco e francese sul Foglio federale (vol. 3, fascicolo 53) del 10 dicembre 1864 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna).
Prime pagine del rapporto del Consiglio federale del 2 dicembre 1864 concernente cittadini svizzeri detentori di schiavi e schiave, pubblicato in tedesco e francese sul Foglio federale (vol. 3, fascicolo 53) del 10 dicembre 1864 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna). […]

Puntualmente, lo Stato federale si occupò comunque della questione. Il 23 dicembre 1863 il Consigliere nazionale Wilhelm Joos depose una mozione per chiedere la progressiva abolizione della schiavitù, riferita implicitamente ai Paesi del continente americano dove era ancora praticata. Promotore dall'inizio degli anni 1860 dell'emigrazione transatlantica per combattere la disoccupazione, durante un soggiorno in Brasile Joos aveva costatato che l'economia schiavista limitava le possibilità d'impiego di manodopera svizzera emigrata. Nel suo intervento parlamentare propose l'adozione di misure per vietare agli Svizzeri l'acquisto o la vendita di persone schiavizzate, facendo leva sui principi etici; a suo dire, si trattava di una «questione d'onore». Respinta dal Consiglio nazionale, la sua mozione non fu dibattuta in Consiglio federale. Il 13 luglio 1864 Joos ne presentò una nuova; poiché la motivazione etica non aveva sortito l'effetto desiderato, questa volta puntò sulla difesa dei numerosi coloni svizzeri che in Brasile lavoravano come mezzadri (campatico). Il cambio di prospettiva convinse il Consiglio nazionale ad accettare la mozione e a trasmetterla al governo federale, invitandolo a prendere posizione. Il 2 dicembre 1864 il Consiglio federale presentò un rapporto dettagliato in merito; fondato in gran parte sulle perizie di Johann Jakob von Tschudi, ex inviato straordinario della Confederazione in Brasile, e di Henri David, ex console generale onorario a Rio de Janeiro, l'avviso fu negativo. Secondo il governo federale, vietare a cittadini svizzeri di vendere o comprare schiave e schiavi, come chiesto dall'autore della mozione, non solo non avrebbe migliorato la condizione della manodopera svizzera in Brasile, ma avrebbe pure sottratto ai proprietari svizzeri «una parte della loro fortuna legittimamente acquisita». Tra questi ultimi, sottolineò, figuravano rappresentanti dello Stato come Eugène Emile Raffard, console generale di Svizzera a Rio. Joos criticò il rapporto durante un dibattito parlamentare (10 dicembre 1864). A suo parere il Consiglio federale sottovalutava la realtà della situazione in Brasile; l'imminente abolizione della schiavitù negli Stati Uniti avrebbe inoltre dovuto costituire un argomento supplementare per spingere la Svizzera ad agire in ottica abolizionista. Il Consigliere nazionale Philipp Anton von Segesser, dal canto suo, propose di rinviare la mozione al Consiglio federale perché studiasse l'elaborazione di leggi per vietare agli Svizzeri il commercio di persone ridotte in schiavitù. Attento a salvaguardare i benefici legati all'economia schiavista, il Consiglio nazionale bocciò la proposta. In un articolo sullo Schaffhauser Intelligenzblatt (marzo 1865) Joos tornò sulla questione della schiavitù, definendola un «crimine contro l'umanità».

Travail à la chaîne («Lavoro alla catena»). Reportage sui coloni svizzeri in Brasile di Cyril Dépraz nell'edizione di Mise au point della televisione della Svizzera francese del 21 gennaio 2024 (Radio Télévision Suisse, Ginevra, Play RTS).
Travail à la chaîne («Lavoro alla catena»). Reportage sui coloni svizzeri in Brasile di Cyril Dépraz nell'edizione di Mise au point della televisione della Svizzera francese del 21 gennaio 2024 (Radio Télévision Suisse, Ginevra, Play RTS). […]

L'argomento non fu più dibattuto in sede ufficiale a Berna fino all'adesione della Svizzera alla Società delle Nazioni (SdN) nel 1920. In seguito la Confederazione ratificò alcuni trattati internazionali: nel 1930 la convenzione concernente la schiavitù della SdN e nel 1964 l'accordo addizionale concernente l'abolizione della schiavitù, della tratta degli schiavi e delle istituzioni e pratiche analoghe alla schiavitù dell'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Nel 1974 aderì alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e nel 1992 al Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (Patto II dell'ONU, adottato dall'Assemblea generale dell'ONU nel 1966), contenenti a loro volta analoghe interdizioni. Nella Dichiarazione di Durban, adottata nel 2001 dalla Conferenza mondiale contro il razzismo dell'ONU, la tratta di schiavi e schiave è qualificata come «crimine contro l'umanità». Alla vigilia della conferenza, uno dei delegati svizzeri affermò che la Confederazione, tra i Paesi firmatari del documento finale, non era mai stata implicata in questo tipo di commercio o nel colonialismo. Tale punto di vista, confutato dalla ricerca storica attuale, è stato regolarmente adottato da membri del Consiglio federale, ad esempio da Doris Leuthard nel 2017 durante un viaggio in Benin e nel 2021 da Ignazio Cassis nella trasmissione Samstagsrundschau della radio della Svizzera tedesca, suscitando diversi interventi parlamentari. Contrariamente agli Stati Uniti, ai Paesi Bassi, alla Danimarca e alla corona inglese, la Svizzera non ha presentato scuse ufficiali in merito alla schiavitù. 

Riferimenti bibliografici

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  • Kuhn, Konrad J.; Ziegler, Béatrice: «Die Schweiz und die Sklaverei. Zum Spannungsfeld zwischen Geschichtspolitik und Wissenschaft», in: Traverse, 16/1, 2009, pp. 116-130.
  • Zeuske, Michael: Handbuch Geschichte der Sklaverei. Eine Globalgeschichte von den Anfängen bis zur Gegenwart, 2 voll., 2013 (20192).
  • Zeuske, Michael: Sklavenhändler, Negreros und Atlantikkreolen. Eine Weltgeschichte des Sklavenhandels im atlantischen Raum, 2015.
  • Rio, Alice: Slavery after Rome, 500-1100, 2017.
  • Zeuske, Michael: Sklaverei. Eine Menschheitsgeschichte von der Steinzeit bis heute, 2018.
  • Etemad, Bouda: «Le palais Dupeyrou. Un monumental legs à Neuchâtel de "Monsieur de Surinam"», in: Augeron, Mickaël (a cura di): Figures huguenotes dans les Amériques. De l’histoire à la mémoire, 2020, pp. 191-198.
  • Ismard, Paulin (a cura di): Les mondes de l'esclavage. Une histoire comparée, 2021.
  • Etemad, Bouda: De Rousseau à Dunant. La colonisation et l'esclavage vus de Genève, 2022.
  • Schär, Bernhard C.: «Switzerland, Borneo and the Dutch Indies: towards a new imperial history of Europe, c. 1770-1850», in: Past & Present, 257/1, 2022, pp. 134-167.
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  • Kreis, Georg: Blicke auf die koloniale Schweiz. Ein Forschungsbericht, 2023.
  • Santos Pinto, Jovita dos: «Toiles, rendement, esclavage. La Suisse à l'Atlantique noir», in: Museo nazionale svizzero (a cura di): Colonialisme. Une Suisse impliquée, 2024, pp. 97-121 (catalogo mostra).
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Suggerimento di citazione

Michael Zeuske; Seraina Ruprecht; Bouda Etemad; Fabio Rossinelli: "Schiavitù", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 19.12.2024(traduzione dal francese). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/008963/2024-12-19/, consultato il 13.02.2025.