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Democrazia

Forma di governo in cui il potere politico viene esercitato dal «popolo» (in greco dèmos), cioè dall'insieme dei cittadini con pieni diritti, e non da un singolo o da un piccolo gruppo di potenti. Prima del XIX secolo, la democrazia costituiva un'eccezione, presente solo in piccole entità statali. Il diritto di partecipazione alle decisioni era limitato agli uomini abili alle armi (servizio militare obbligatorio), veniva esercitato direttamente nelle assemblee (Landsgemeinde, comuni giurisdizionali, decanie e assemblee comunali) ed era considerato un privilegio limitato a gruppi particolari. Soltanto la democrazia moderna, che cominciò a imporsi dopo la Rivoluzione americana e la Rivoluzione francese, garantì i diritti politici come parte dei diritti umani, la cui tutela divenne uno dei compiti principali dello Stato democratico. La Svizzera costituisce un caso particolarmente interessante per la storia della democrazia, data la presenza sul suo territorio di democrazie premoderne risalenti al tardo Medioevo e lo sviluppo relativamente precoce di una democrazia liberale moderna (costituzione dello Stato federale nel 1848), che assunse un carattere peculiare grazie all'introduzione di strumenti di democrazia diretta sul piano federale e cantonale.

Tardo Medioevo ed epoca moderna

Il concetto e il suo significato

Una Landsgemeinde di Appenzello Esterno sulla piazza di Trogen. Soffitto in stucco all'ingresso delle scale del palazzo comunale, realizzato tra il 1766 e il 1779 da Andreas o Peter Moosbrugger (Kantonsbibliothek Appenzell Ausserrhoden, Trogen; fotografia Karl Wolf).
Una Landsgemeinde di Appenzello Esterno sulla piazza di Trogen. Soffitto in stucco all'ingresso delle scale del palazzo comunale, realizzato tra il 1766 e il 1779 da Andreas o Peter Moosbrugger (Kantonsbibliothek Appenzell Ausserrhoden, Trogen; fotografia Karl Wolf).

Durante l'età moderna, il concetto di democrazia era già utilizzato nella terminologia politico-sociale, e in particolare in riferimento alla vecchia Confederazione e ai Paesi alleati. Jean Bodin, teorico politico francese, utilizzò il termine per descrivere le Costituzioni dei Grigioni e dei cantoni a Landsgemeinde (cantoni rurali); questi ultimi vennero definiti nel 1653 dal borgomastro di Sciaffusa, Johann Jakob Ziegler, come Stati in cui, a differenza dei cantoni cittadini (città a regime corporativo, cantoni aristocratici), «le forme democratiche sono molto amate». In una fonte grigionese del 1618 si trova l'affermazione lapidaria, valida anche per i cantoni a Landsgemeinde, «la forma del nostro governo è democratica»; la stessa fonte definisce inoltre la democrazia in opposizione alla monarchia e all'aristocrazia. A differenza di queste due ultime forme di governo, in cui la sovranità è detenuta dal re rispettivamente da gruppi di esponenti della nobiltà (o del patriziato cittadino), in democrazia il potere supremo è nelle mani dell'«uomo comune», cioè dell'assemblea degli uomini abili alle armi, dalla quale restano escluse le donne. Queste assemblee tenute a scadenze regolari, menzionate nelle fonti come Landsgemeinde o semplicemente Gemeinde, decidevano liberamente in votazioni pubbliche sull'insieme di questioni e problemi in cui all'epoca e in parte ancora oggi si sostanziava la sovranità dello Stato: l'elezione e la destituzione degli uomini di governo, dei funzionari, dei giudici e dei comandanti militari, la promulgazione e la revoca di leggi, la conclusione di patti con potenze straniere, le dichiarazioni di guerra e di pace e la determinazione delle imposte.

Diffusione e genesi storica

Nell'età moderna, i regimi democratici nel senso sopra menzionato del termine erano rari e sostanzialmente limitati al territorio svizzero (Grigioni, decanie del Vallese, i cantoni a Landsgemeinde Uri, Svitto, Obvaldo, Nidvaldo, Glarona, Zugo, Appenzello Interno e Appenzello Esterno). Nei cantoni urbani la sovranità non veniva esercitata dall'assemblea dei cittadini, ma dal Piccolo Consiglio e dal Gran Consiglio. Da un punto di vista sociologico, ciò significa che nei cantoni a Landsgemeinde la maggioranza della popolazione maschile partecipava alle decisioni più importanti, mentre nelle città solo la piccola minoranza dei cittadini che sedeva nei Consigli.

Al di fuori della Svizzera, sviluppi democratici paragonabili si verificarono nelle regioni alpine austriache e francesi e nella discosta regione costiera del Dithmarschen (mare del Nord), poi interrotti però dalla formazione di Stati territoriali retti da monarchi o principi (signoria territoriale). La genesi della democrazia premoderna costituisce infatti un fenomeno più vasto che riguarda l'intera Europa occidentale, come hanno mostrato dapprima Peter Blickle e poi Randolph C. Head. Le concezioni e le norme politiche che permeavano le istituzioni democratiche erano radicate nelle comunità di villaggio dedite alla cerealicoltura e nelle comunità di sfruttamento alpine che, sviluppatesi sul finire del Medioevo a partire dalla signoria fondiaria in molte zone d'Europa (villaggio, comune, comunità), risultavano caratterizzate da forme di organizzazione economica e di vita quotidiana collettive e largamente autonome e autogestite.

Osservando la diffusione e la genesi storica della democrazia, risulta palese che zone periferiche quali le Alpi e le Prealpi presentavano buoni presupposti per lo sviluppo, a partire dalle istituzioni comunali di villaggio, di Stati democratici di ampia estensione territoriale. Le condizioni per la coltivazione dei cereali, e quindi anche per la riscossione di tributi atti alla conservazione, erano meno favorevoli che sull'Altopiano; ciò contribuì alla scarsa penetrazione del feudalesimo in area alpina e prealpina e lasciò maggiore spazio all'autonomia comunale.

Concezioni premoderne e moderne della democrazia

Durante l'età moderna, in Europa l'idea che la monarchia e l'aristocrazia costituissero le forme ideali di governo era largamente condivisa. Di conseguenza, i resoconti di viaggiatori e ambasciatori stranieri presentavano spesso giudizi negativi sulla situazione politica nei cantoni rurali e nei Grigioni, generalmente ritenuti in preda all'anarchia e dominati dalla plebe. Tali giudizi sono riconducibili alla dottrina della suddivisione della società in tre ceti (società per ceti), allora largamente diffusa. In base a essa, l'esercizio del potere sovrano costituiva una prerogativa degli uomini appartenenti per nascita alla nobiltà, mentre gli uomini comuni e il clero ne erano per principio esclusi. Per questo motivo, gli ordinamenti democratici dei Grigioni e dei cantoni a Landsgemeinde dell'epoca moderna sono stati interpretati da Blickle come un «contromodello» al resto d'Europa caratterizzato dal feudalesimo. Interpretazioni di questo genere sottovalutano tuttavia le differenze fondamentali fra la concezione moderna della democrazia e quella vigente durante l'ancien régime: mentre nel primo caso il diritto alla partecipazione politica è fondato sul diritto naturale, e in linea di principio riguarda tutti gli individui in quanto esseri umani, nel secondo la democrazia costituisce un privilegio, una libertà particolare acquisita da una determinata collettività grazie ai propri meriti e trasmessa ai propri membri.

Durante l'età moderna, nei Grigioni e nella vecchia Confederazione circolavano diverse narrazioni, strutturalmente simili, che spiegavano e giustificavano storicamente l'ottenimento di questo privilegio. In esse, la libertà democratica era legata a titoli giuridici, che gli antenati avevano riscattato od ottenuto in donazione dai nobili in un lontano passato, oppure veniva presentata come il risultato di un atto storico di liberazione. A causa della degenerazione della signoria feudale in tirannia – questo il messaggio fondamentale dei miti di fondazione sia confederati sia grigionesi – gli uomini comuni avevano cacciato i nobili con la forza, avevano assunto il loro ruolo come collettività e da allora si erano amministrati e governati autonomamente. Questa concezione premoderna della democrazia, intesa come privilegio storicamente fondato, spiega anche le ragioni per cui i diritti politici in età moderna non venissero concessi indistintamente a tutti gli uomini e il fatto che i Grigioni e i cantoni a Landsgemeinde avessero propri sudditi e li governassero e sfruttassero economicamente esattamente come i sovrani e i signori feudali, ciò che è in contraddizione con lo spirito democratico moderno. Durante l'ancien régime, l'idea della libertà democratica come privilegio non escludeva il diritto di privare altri uomini dello stesso privilegio, se necessario con l'aiuto delle armi, come fecero più volte i cantoni a Landsgemeinde e i comuni grigionesi rispettivamente nel Ticino (rivolta della Leventina) e in Valtellina (rivolte contadine). In quest'ottica, la democrazia premoderna non risultava in contrapposizione con il modello predominante della società per ceti, ma risultava al contrario compatibile e affine a esso. Ciò significa altresì che in Svizzera la democrazia moderna non si sviluppò senza soluzione di continuità, ma costituì al contrario il risultato di cesure e sconvolgimenti profondi (rivoluzione, guerra civile) che si manifestarono nella prima metà del XIX secolo.

Il funzionamento della democrazia

Osservando il funzionamento concreto della democrazia nei Grigioni e nei cantoni a Landsgemeinde, un aspetto va messo particolarmente in evidenza: come nelle democrazie moderne, l'uguaglianza formale non dava a tutti i cittadini le medesime possibilità di partecipare alla vita politica. Le cariche importanti e redditizie nel governo, nell'amministrazione e nei tribunali venivano regolarmente ricoperte da esponenti delle famiglie più illustri, i cosiddetti magistrati supremi, nettamente distinti dal resto della popolazione non sul piano giuridico, ma dal punto di vista economico, sociale e culturale. Dato che per accedere alle cariche era comunque necessario il sostegno della maggioranza, le famiglie di magistrati cercavano di rafforzare il proprio peso politico con la creazione di un proprio seguito e, in caso di situazioni dall'esito incerto, con l'acquisto di voti (clientelismo). Prima delle elezioni, i candidati distribuivano generosamente regali agli elettori sotto forma di denaro, indumenti, alimenti e bevande. L'assunzione della carica era inoltre il più delle volte vincolata al versamento di una ingente quantità di denaro all'erario; si trattava quindi di vere e proprie forme di venalità degli uffici.

Più in generale, il fatto che le decisioni politiche fossero accompagnate e influenzate da intensi e ampi scambi di beni materiali faceva parte del costume politico delle democrazie del tardo Medioevo e dell'età moderna. La «venalità» delle Landsgemeinde e dei suoi componenti è stata anche interpretata come una «degenerazione» di questa istituzione e come un segnale della sua irrilevanza politica. Al contrario, ciò va inteso come un segnale del grande peso politico assunto da tali assemblee e dal voto di ogni suo singolo membro, il cui ruolo centrale all'interno dello Stato non venne mai messo fondamentalmente in discussione fino alla fine del XVIII secolo. Al pari di chiunque altro, le famiglie di magistrati della vecchia Confederazione non avrebbero infatti speso denaro senza una reale contropartita, costituita in questo caso dal sostegno politico di cui avevano fortemente bisogno.

XIX e XX secolo

La democrazia nel XIX e XX secolo è analizzata in questa sede sia sotto l'aspetto dei suoi costanti ampliamenti sia sotto quello dei suoi temporanei regressi. Con il crollo della vecchia Confederazione, fondata su una concezione statica dell'ordine costituito, la società fu caratterizzata da un maggiore dinamismo, che si rifletté sull'organizzazione del potere statale, che a sua volta influenzò la società stessa. Questo processo, alimentato dall'interazione tra idee politiche e contesto socioeconomico, non si manifestò contemporaneamente su piani separati e in regioni diverse, e risultò spesso in sintonia con gli sviluppi transnazionali e solo raramente in contrasto con quanto avveniva all'estero. L'intero processo può essere interpretato come un continuo perfezionamento del principio di autodeterminazione collettiva; sono però continuamente riscontrabili anche spinte in senso contrario. Proprio gli strumenti della democrazia diretta, comunemente ritenuti gli artefici del successo e della superiorità della democrazia svizzera, hanno spesso costituito un ostacolo per le innovazioni.

La prima svolta e due contraccolpi

Assemblea popolare a Berna nel periodo della Repubblica elvetica. Acquaforte di Johann Georg Heinzmann, tratta dalla Kleine Schweizer-Chronik, Berna 1801, volume 2, p. 393 (Burgerbibliothek Bern, Mülinen S 1371).
Assemblea popolare a Berna nel periodo della Repubblica elvetica. Acquaforte di Johann Georg Heinzmann, tratta dalla Kleine Schweizer-Chronik, Berna 1801, volume 2, p. 393 (Burgerbibliothek Bern, Mülinen S 1371). […]

L'intensa fase di democratizzazione ebbe inizio con la Rivoluzione elvetica, che abolì di punto in bianco le disparità giuridiche tra individui e trasformò tutti i sudditi, in precedenza soggetti nella maggior parte dei cantoni confederati al dominio di ristrette oligarchie, in cittadini di pari grado sovrani di sé stessi. Il principio di uguaglianza conosceva solo due eccezioni, che rimasero tali ancora per lungo tempo: donne ed ebrei (giudaismo) ne risultavano esclusi. Il processo di democratizzazione durante la Repubblica elvetica fu una conseguenza dell'ascesa economica e sociale di una parte della popolazione rurale, dell'influenza del modello francese e in parte di quello statunitense e della pressione militare della Francia. L'ordinamento imposto fu di tipo centralistico, limitò la partecipazione dei cittadini all'elezione di rappresentanti su scala nazionale e non lasciò spazio a forme di autogoverno sul piano cantonale o comunale. Nell'aprile del 1802, esso rese perlomeno possibile la prima votazione su scala nazionale sull'adozione della nuova Costituzione. Le libertà di opinione e di stampa, indispensabili per l'esercizio dei diritti democratici, non furono garantite, come dimostrato dalla condanna all'esilio dei critici e dalle misure adottate contro alcuni giornali (censura).

Con l'Atto di Mediazione, nel 1803 i 19 cantoni furono dotati per la prima volta di proprie Costituzioni cantonali, che però ridussero la partecipazione democratica introducendo o reintroducendo il suffragio censitario e la durata vitalizia delle cariche consiliari e relegando nuovamente ai margini la popolazione rurale negli ex cantoni aristocratici. Analogamente al resto d'Europa, ulteriori restrizioni delle libertà democratiche si ebbero con la Restaurazione del 1815, senza ritornare però ai rapporti di sudditanza del periodo prerivoluzionario. Complemento alla democrazia, la libertà economica (libertà di commercio e di industria) in molti cantoni fu nuovamente limitata dal sistema corporativo (corporazioni).

Due svolte e un contraccolpo

Al pari dei circoli di lettura e delle società di utilità pubblica della fine del XVIII secolo, nei primi decenni del XIX secolo le numerose e disparate associazioni (società di belle arti, associazioni studentesche, società di tiro, di ginnastica e corali) costituirono, grazie alle assemblee statutarie e all'attribuzione di cariche, luoghi di esercizio democratico nell'ambito privato. Inoltre la modernizzazione (per esempio nell'ambito dei trasporti) promossa dalle forze conservatrici provocò cambiamenti sul piano sociale che misero ulteriormente in questione l'ordine costituito. Tutti questi fattori portarono alla formazione graduale di cittadini-elettori, capaci di occuparsi in maniera non occasionale dei problemi inerenti la sfera pubblica.

Raduno popolare svoltosi il 7 agosto 1836 a Flawil. Litografia colorata di Johannes Werner, Herisau (Zentralbibliothek Zürich, Graphische Sammlung und Fotoarchiv).
Raduno popolare svoltosi il 7 agosto 1836 a Flawil. Litografia colorata di Johannes Werner, Herisau (Zentralbibliothek Zürich, Graphische Sammlung und Fotoarchiv). […]

Le tensioni crescenti sfociarono nei moti democratici del 1830 e del 1848. La prima ondata si manifestò sulla scia della Rivoluzione parigina del luglio del 1830, preceduta di poco dalla rivoluzione liberale nel Ticino (liberalismo). Il suo risultato principale fu l'attuazione parziale del principio di uguaglianza dei cittadini di sesso maschile («un uomo, un voto»), ciò che in alcuni cantoni portò a conflitti dovuti alla messa in minoranza della popolazione cittadina, in precedenza privilegiata (Rigenerazione). Importante fu anche l'introduzione del principio della pubblicità delle sedute parlamentari (opinione pubblica, parlamento).

Per ciò che riguarda l'ondata del 1848, gli avvenimenti in Svizzera precedettero i moti liberali nel resto d'Europa. Diverse sono le ragioni addotte per spiegare questa situazione. Una giustificazione poco convincente rinvia all'antica tradizione democratica del Paese. A ciò va contrapposto il fatto che una società contraddistinta dall'oligarchica, dalla divisione per ceti e dalla staticità non costituiva una premessa favorevole per una democrazia moderna, ugualitaria, unitaria e dinamica, e che questi ostacoli dovevano essere prima rimossi, al pari dei regimi dinastici stranieri. Fu quindi piuttosto la frammentazione federalista della Svizzera a rendere possibili trasformazioni legali o colpi di Stato nei singoli cantoni e infine la creazione di una risicata maggioranza a livello nazionale, che durante e dopo la guerra del Sonderbund riuscì a imporre con le armi un ordinamento liberale alla forte minoranza conservatrice. L'avanguardia liberale fu costituita soprattutto da cantoni caratterizzati da condizioni socioeconomiche favorevoli, con un'alta borghesia in cerca di ulteriori occasioni di affermazione. Pur non risultando un fattore vincolante, un grado avanzato di industrializzazione costituiva in genere una delle cause dell'affermazione relativamente precoce di un ordinamento liberale. Non va poi sottovalutato il fatto che tutto sommato l'esercito, al contrario che nelle monarchie, non rappresentò uno strumento di repressione interna in mano ai difensori dell'ordine costituito, ma piuttosto uno strumento a disposizione delle forze riformatrici, come nel caso delle spedizioni dei Corpi franchi, equipaggiati con materiale da guerra ufficiale. Anche il carattere popolare del sistema di milizia favorì il movimento liberale.

Dopo i moti del 1830 fecero la loro comparsa movimenti conservatori (ad esempio a Lucerna e a Zurigo), che riuscirono a riconquistare parte del terreno perduto ricorrendo proprio agli strumenti della democrazia liberale (appelli alla sovranità popolare, petizioni, assemblee popolari e suffragio universale maschile). Ciò mise in risalto l'ambivalenza della democrazia moderna e come la convinzione nell'avanzata inarrestabile del liberalismo fosse illusoria. In Svizzera, il processo di democratizzazione trasse ispirazione dagli esempi esteri, in particolare da quello francese e statunitense, e beneficiò dell'importante contributo degli emigranti tedeschi. Figure emblematiche dell'influenza straniera risultano da una parte il lucernese Ignaz Paul Vital Troxler e il losannese Benjamin Constant, entrati in contatto con il pensiero liberale durante soggiorni di studio a Jena e Vienna rispettivamente a Erlangen, Edimburgo e Parigi, e dall'altra l'emigrante tedesco Ludwig Snell, in Svizzera dal 1827, docente alle Università di Zurigo e Berna e autore di un manuale di diritto pubblico svizzero. La Svizzera approfittò fortemente della persecuzione dei liberali tedeschi, a cui poté offrire attraenti incarichi nelle università e nelle scuole magistrali fondate in quegli anni, il che permise di rivitalizzare e potenziare con facilità la propria élite intellettuale. Il liberalismo svizzero attinse energie politiche soprattutto dal ceto medio, di cui facevano parte imprenditori, ma anche medici, giuristi indipendenti e albergatori degli ex cantoni urbani. Appartenevano al ceto medio anche gli esponenti delle élite rurali, che miravano a una completa parificazione con il patriziato cittadino. Esemplari in questo senso risultano il primo presidente della Confederazione Jonas Furrer, figlio di un fabbro di Winterthur, e il Consigliere federale Josef Munzinger, originario di Olten e in precedenza mercante di spezie.

Introduzione della democrazia diretta nei cantoni fino al 1930
Introduzione della democrazia diretta nei cantoni fino al 1930 […]
Struttura politica dei cantoni
Struttura politica dei cantoni […]

Furono uomini pragmatici e moderati, e non i radicali che pure sostenevano la rivoluzione, a dominare lo schieramento liberale nel 1847/1848 e a determinare il corso degli eventi. Essi appoggiarono una rivoluzione circoscritta, gestita dall'alto, per evitarne una di più vaste proporzioni sorretta da spinte incontrollabili provenienti dal basso. Negli anni 1840, dopo la mobilitazione ideologica e la formazione di un'alleanza liberale-radicale raggiunta attraverso la diffamazione degli avversari cattolici conservatori, si lasciò che gli eventi seguissero il loro corso, con l'obiettivo però di un veloce ritorno alla tranquillità. Successivamente alla vittoria nella guerra del Sonderbund, il regime liberale perse presto parte del suo slancio rivoluzionario, di per sé poco pronunciato; inoltre diminuì anche fortemente la disponibilità a concedere asilo ai rivoluzionari tedeschi. In realtà il 1848 non fu portatore di maggiore democrazia per l'individuo, ma estese in linea di principio le conquiste del 1830 a tutta la Svizzera. Vennero così attuati i principi liberali della sovranità popolare, del costituzionalismo (con la clausola di revisione e il referendum costituzionale), della separazione dei poteri e dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, ma anche della libertà di commercio e di industria e della garanzia della proprietà privata. I padri fondatori dello Stato federale restarono tutto sommato ancorati alla democrazia rappresentativa ricalcando le Costituzioni del periodo della Rigenerazione; essi non istituirono alcun diritto di partecipazione diretta né uno Stato nazionale unitario, come invece auspicato dai radicali (Costituzione federale).

Lo sviluppo continuo della democrazia

Iniziative popolari e referendum sul piano federale 1848-2000
Iniziative popolari e referendum sul piano federale 1848-2000 […]

Inizialmente, i vincitori liberali esercitarono il proprio potere senza alcun riguardo per la minoranza sconfitta, e a tratti anche con metodi discutibili come nel canton Friburgo. La crescente differenziazione sociale, insieme alla ormai acquisita indipendenza del ceto medio e alla nascita del movimento operaio, favorì una maggiore diversificazione del quadro politico, fino ad allora in sostanza dominato dalle élite liberali e dai conservatori cattolici e riformati (conservatorismo). Essa diede inoltre impulsi alla riforma del sistema politico, dato che le nuove forze di opposizione non si limitarono ad avanzare richieste concrete in base ai loro interessi, ma si impegnarono anche in favore di cambiamenti strutturali tali da garantire alle loro istanze maggiori probabilità di essere accolte. In seguito agli sforzi del movimento democratico, la democrazia rappresentativa o indiretta venne così trasformata in una democrazia diretta, dapprima sul piano cantonale negli anni 1860, e in seguito anche a livello federale all'inizio degli anni 1870, grazie a revisioni costituzionali che stabilirono l'elezione diretta dei governi cantonali e alla possibilità di sottoporre al voto popolare oggetti e decisioni parlamentari (votazioni). Al referendum legislativo (referendum popolare), introdotto a livello federale nel 1874, si aggiunse nel 1891 l'iniziativa costituzionale (iniziativa popolare). Contrariamente all'opinione diffusa per cui l'introduzione di questi strumenti fu dovuta a una volontà «progressista», occorre ricordare che paradossalmente anche le forze conservatrici e reazionarie impararono in fretta a servirsi di questi mezzi, come dimostrato dal divieto della macellazione rituale, imposto con la prima iniziativa popolare del 1893, e dai 13 vittoriosi referendum tra il 1874 e il 1891, con cui cattolici conservatori e federalisti bloccarono la politica della maggioranza parlamentare radicale (Partito radicale democratico, PRD). L'istituto del referendum obbligò così i radicali a dei compromessi politici; essi furono costretti a cercare intese che precedessero il dibattito parlamentare, in maniera da evitare il più possibile il ricorso al voto popolare. L'azione parlamentare a colpi di maggioranza lasciò così il passo a politiche di compromesso, e la democrazia rappresentativa liberale si trasformò in una «democrazia dei gruppi di pressione». Questo sistema, già affermato in molti cantoni e fondato su una fitta rete di associazioni di categoria, spinse i principali gruppi socioprofessionali a dotarsi di strutture organizzative (federazioni), talvolta anche a livello nazionale.

Al movimento operaio si poneva la questione se difendere i propri interessi attraverso gli strumenti di partecipazione democratica o ricorrere all'arma dello sciopero. Sul piano federale, il lancio dell'iniziativa in favore della rappresentanza proporzionale (sistemi elettorali) costituì l'innovazione più importante da esso promossa. Accolto al terzo tentativo, nel 1919 il sistema proporzionale portò a una crescita notevole (da 20 a 41) dei deputati socialisti al Consiglio nazionale (Partito socialista, PS). In precedenza era stato in vigore il sistema maggioritario, che attribuiva tutti i seggi di un collegio elettorale ai vincitori, anche se i voti ottenuti superavano di misura il 50%. Otto cantoni, a partire dal Ticino nel 1890 (rivoluzione del 1890), avevano preceduto la Confederazione nell'introduzione del sistema proporzionale. Nel caso delle elezioni dei Consiglieri di Stato e dei Consiglieri agli Stati, di regola svolte con il sistema maggioritario, la maggioranza avrebbe comunque potuto conquistare tutti i mandati; tuttavia verso la fine del XIX secolo si diffuse la rappresentanza proporzionale volontaria, basata sulla forza relativa dei diversi gruppi.

Cittadini che esercitano il loro diritto di voto nella sala del palazzo elettorale di Ginevra in occasione della votazione popolare del 12 maggio 1872 sulla revisione totale della Costituzione federale. Silografia tratta probabilmente da un giornale estero (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione grafica).
Cittadini che esercitano il loro diritto di voto nella sala del palazzo elettorale di Ginevra in occasione della votazione popolare del 12 maggio 1872 sulla revisione totale della Costituzione federale. Silografia tratta probabilmente da un giornale estero (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Collezione grafica).

In confronto alle condizioni precarie vigenti nel 1848, il funzionamento della democrazia conobbe notevoli progressi anche da un punto di vista pratico, per esempio riguardo alla corretta tenuta dei registri di voto, al numero e agli orari di apertura dei seggi elettorali, alla definizione delle circoscrizioni elettorali, alla garanzia della segretezza del voto e alla qualità del materiale informativo relativo alle votazioni. Recentemente è stata anche introdotta la possibilità di esprimere il voto per corrispondenza o per via elettronica. Per il parlamento, lo sviluppo democratico ha anche comportato la creazione di commissioni supplementari e l'aumento dei diritti di controllo e di codecisione a spese dell'esecutivo (commissioni parlamentari, commissioni extraparlamentari). Con il referendum sui trattati internazionali, introdotto nel 1921 e ampliato nel 1977, nel 1998 e nel 2003, anche parte della politica estera venne sottoposta all'approvazione popolare, in modo da compensare la perdita di influenza dei cittadini su una legislazione sempre più vincolata dal diritto internazionale. Nonostante costituisca un ricorrente argomento di dibattito pubblico, il referendum sulle spese di bilancio non fu invece introdotto; proposte in tal senso relative alle spese militari sono state avanzate con le iniziative del 1993 e del 2000. L'iniziativa legislativa, già parte del fallito progetto di riforma costituzionale del 1872, non è ancora stata introdotta sul piano federale. Proposta a più riprese, fu chiaramente respinta nel 1961 con oltre il 70% dei voti e dal 1998 discussa nuovamente senza successo nel quadro della riforma dei diritti popolari. Nel 2003 è stata approvata in votazione popolare l'introduzione dell'iniziativa popolare generica, che avrebbe dovuto attribuire al parlamento il compito di scegliere se ancorare la modifica richiesta nella Costituzione o trasformarla in norma di legge come pure la responsabilità di elaborare la formulazione definitiva. La legislazione d'esecuzione proposta per questo nuovo strumento si è però rivelata tanto complessa che l'Assemblea federale ha accolto un'iniziativa parlamentare con cui si è rinunciato alla sua introduzione; nel 2009 popolo e cantoni hanno accettato il relativo decreto federale. Nel 1987 l'introduzione del doppio sì ha per contro rafforzato la dinamica democratica, rendendo vano il lancio di controproposte più moderate da parte del parlamento al fine di dividere le forze riformiste.

Fino a buona parte del XX secolo, la Svizzera si discostò dal modello ideale dell'uguaglianza assoluta di tutti gli individui. Nel 1848 gli ebrei ottennero i diritti politici, ma non la piena parità dato che non venne loro riconosciuta la libertà di domicilio. Per ottenerla dovettero aspettare la revisione costituzionale del 1866, resa necessaria in seguito alla conclusione dell'accordo commerciale con la Francia. Sempre nel 1848 non risultavano nemmeno garantiti i diritti politici ai senza patria, alle persone a carico dell'assistenza pubblica e ai colpevoli di reati, mentre alle donne venne negato il diritto di voto sul piano federale fino al 1971. In quest'ambito, nove cantoni agirono da precursori. Dopo le prime votazioni del 1919-1921 dall'esito negativo, il canton Vaud introdusse il suffragio femminile nel 1959; lo stesso giorno il provvedimento venne però respinto sul piano federale. Gli strumenti della democrazia diretta fecero slittare per lungo tempo tale riforma; come nel caso della parificazione degli ebrei, la «più antica democrazia del mondo» si mosse in ritardo rispetto al contesto internazionale.

Entro la fine del XX secolo, il corpo elettorale venne allargato in altre due occasioni. Un primo ampliamento è avvenuto nel 1991 con l'abbassamento della maggiore età politica da 20 a 18 anni, presentato nella campagna a favore di questa modifica come misura compensatoria all'invecchiamento demografico e come regalo alla gioventù in occasione del settecentesimo anniversario della Confederazione. Nel 1992 invece è stata concessa l'opportunità di partecipare a votazioni ed elezioni sul piano federale agli Svizzeri residenti all'estero, purché opportunamente registrati; nel 2002 ciò era stato fatto dal 18% circa dei 454'000 aventi diritto. Questa misura è da mettere in relazione con la tendenza internazionale a garantire l'esercizio dei diritti democratici indipendentemente dal luogo di residenza. La Confederazione proibì l'attività politica agli stranieri fino al 1990, quando è stata data l'autorizzazione allo svolgimento di operazioni di voto nei consolati stranieri (per la prima volta nel caso delle elezioni russe); di conseguenza ha successivamente concesso la stessa possibilità ai propri connazionali all'estero.

Un ulteriore passo verso l'uguaglianza assoluta consisterebbe nella concessione in ambito nazionale del diritto di voto agli stranieri. Tale diritto fu concesso nei cantoni Neuchâtel (sul piano comunale a partire dal 1849 e su quello cantonale dal 2002) e Giura (dal 1979 sia sul piano comunale sia su quello cantonale). Lo stesso diritto, ma limitato al piano comunale, è garantito a livello costituzionale nei cantoni Vaud (dal 2003), Ginevra (dal 2005) e Friburgo (dal 2005); nei cantoni Appenzello Esterno (dal 1996), Grigioni (dal 2004) e Basilea Città (dal 2006) la sua introduzione è demandata ai comuni stessi; nel 2019 era stata realizzata solo nei comuni appenzellesi di Wald, Speicher, Trogen e Rehetobel, come pure nel 20% circa dei comuni grigionesi. È significativo che queste riforme parziali abbiano avuto successo solo nell'ambito di revisioni totali delle Costituzioni cantonali; le iniziative per il diritto di voto agli stranieri lanciate a partire dagli anni 1990 sono state invece chiaramente respinte dai votanti. 

Dal punto di vista dei diritti formali di partecipazione e dell'allargamento del corpo elettorale, la storia costituzionale della Svizzera mostra una democrazia in costante crescita. Si verificarono però anche interruzioni, contraccolpi e spinte in senso contrario.

Un momento di crisi per la democrazia fu costituito dagli anni 1930 e 1940, in cui il diritto di referendum fu in pratica sospeso in seguito all'utilizzo straordinariamente frequente della clausola d'urgenza. Una prima iniziativa popolare per modificare questo stato di cose venne ritirata nel 1939; il relativo controprogetto non riuscì comunque a migliorare la situazione. Solo l'iniziativa «per il ritorno alla democrazia diretta», accolta nel 1949 contro il parere del Consiglio federale e delle Camere, portò alla riformulazione della clausola d'urgenza. Infine, molti provvedimenti presi dal Consiglio federale per fronteggiare situazioni di emergenza durante le guerre mondiali e la crisi economica mondiale vennero attuati nell'ambito del regime dei pieni poteri.

Con l'introduzione del suffragio femminile, che raddoppiò il numero degli aventi diritto, le firme necessarie per la riuscita di un referendum o di un'iniziativa furono rispettivamente aumentate da 30'000 a 50'000 e da 50'000 a 100'000. Questa misura non comportò una restrizione dei diritti democratici, come denunciato in campagna elettorale dai suoi avversari. In seguito alla crescita della popolazione e al miglioramento dei mezzi di comunicazione, alla fine del XX secolo le possibilità di riuscita di referendum e iniziative risultavano notevolmente superiori rispetto al 1874: se nel 1884 per la riuscita di un referendum erano necessarie le firme del 5% circa del corpo elettorale, nel 2000 tale percentuale era scesa a poco più dell'1%. L'unica restrizione è data dal termine di 18 mesi introdotto nel 1977 per la raccolta di firme per le iniziative popolari, divenuta comunque più facile nel corso degli anni.

Negli anni 1960 l'astensionismo raggiunse livelli mai toccati in precedenza, mentre in seguito la partecipazione si stabilizzò tra il 35% e il 45%, per poi crescere di nuovo leggermente negli anni 1990. Il basso tasso di partecipazione è stato talvolta letto come segnale della frattura tra la classe politica e il popolo e della crisi della democrazia. Interpretazioni di questo genere risultano però contraddette dalla crescente coincidenza di vedute tra cittadini e governanti: mentre alla fine del XIX secolo gli elettori respingevano mediamente quattro oggetti su cinque, tra il 1947 e il 1995 il popolo nel 77% dei casi accolse le proposte del parlamento e del Consiglio federale. Inoltre negli anni 1960 e 1970 grazie ai cosiddetti «nuovi movimenti sociali» si verificò una crescita dell'impegno informale legato a tematiche specifiche (rifiuto dell'energia nucleare e di determinati progetti di costruzione, parità tra uomo e donna, ecc.), che per certi versi compensò il declino del senso civico tradizionale e della partecipazione non focalizzata su singole questioni che esso comportava.

Visti i rapporti armoniosi tra cittadini e governo, non risulta sorprendente che in Svizzera solo la democrazia diretta venga considerata una buona democrazia. Per la maggior parte dei cittadini, le caratteristiche positive quali la grande stabilità, la continuità e la legittimità risultavano – e risultano tuttora – prevalenti. Nella storiografia e nelle scienze politiche tale idealizzazione si manifestò con l'elaborazione dei concetti di democrazia del consenso e democrazia consociativa, che mettevano in risalto l'inclusione nelle procedure di consultazione dei gruppi potenzialmente in grado di lanciare un referendum e il rispetto volontario della rappresentanza proporzionale. Simili chiavi di lettura non consideravano però le disparità nella capacità organizzativa e conflittuale dei diversi interessi in gioco; ciò fa sì che interessi particolari e di breve periodo vengano maggiormente considerati nel quadro delle procedure di consultazione rispetto a quelli generali e di lungo termine. Dalla fine degli anni 1980, sia i critici neoliberali (neoliberalismo) sia esponenti dei «nuovi movimenti sociali» hanno messo in evidenza come i referendum, rispettivamente la minaccia di lanciarne uno, costituiscano un freno all'innovazione. Come nel caso del vincolo della maggioranza dei cantoni, che assicura al 20-25% degli aventi diritto degli 11,5 cantoni più piccoli la possibilità di bocciare oggetti in votazione (fino al 2000, ciò è avvenuto in otto occasioni), appare poco probabile che in un prossimo futuro il corpo elettorale voglia approvare una limitazione dei diritti popolari, anche se questi costituiscono un ostacolo e non sempre favoriscono l'elaborazione di soluzioni costruttive. A partire dagli anni 1990, la temuta perdita di autodeterminazione democratica in seguito a vincoli internazionali o all'adesione a un'organizzazione sovranazionale ha piuttosto rafforzato la volontà di mantenere gli strumenti democratici tradizionali.

Il movimento del 1968 (rivolte giovanili) cercò di diffondere le pratiche democratiche anche nelle imprese (cogestione), nelle scuole e nelle università (consigli degli studenti, consigli dei genitori, assemblee studentesche) e persino nell'esercito; i tentativi di creare comitati di soldati all'inizio degli anni 1970 però fallirono. Nelle Chiese evangeliche-riformate, già dalla fine del XIX secolo esistevano forme di partecipazione democratica (consiglio parrocchiale, sinodo, consiglio sinodale), che in seguito hanno preso piede anche negli enti ecclesiastici cattolici di diritto pubblico (Chiesa cattolica).

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Link

Suggerimento di citazione

Andreas Suter; Georg Kreis: "Democrazia", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 17.02.2021(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/009926/2021-02-17/, consultato il 19.03.2024.