Sebbene la Costituzione elvetica del 1798, le Costituzioni cantonali liberali del XIX secolo e le Costituzioni federali del 1848 e 1874 non escludessero esplicitamente le donne dai diritti politici, una loro partecipazione (diritto di voto e eleggibilità) non entrava in linea di conto. I principi di libertà e uguaglianza, adottati in Svizzera dal 1798, erano applicati solo agli uomini (democrazia).
Nel 1833 la legge sui comuni del canton Berna accordò alle donne che avevano proprietà fondiarie il diritto di partecipare all'assemblea; esse dovevano però farsi rappresentare da un uomo. Nel 1852 questa rappresentanza venne soppressa e il diritto limitato alle donne nubili e alle vedove, per poi essere completamente abolito nel 1887. Nella prima metà del XIX secolo le donne non rivendicarono diritti politici, ma miglioramenti nell'ambito del diritto civile. Fu solo nel 1868, in occasione della revisione della Costituzione cantonale, che alcune donne zurighesi chiesero invano il diritto di voto e di eleggibilità. Alla fine del XIX secolo, sotto l'influenza del movimento femminista tedesco e anglosassone, nacquero associazioni con scopi educativi e professionali che lottavano per un miglioramento della condizione giuridica ed economica delle donne e, finalmente, anche per il suffragio femminile. Dei giuristi consigliarono alle donne di battersi dapprima per i loro diritti in ambito ecclesiastico, scolastico e sociale, convinti che il suffragio femminile a livello comunale, cantonale e federale avrebbe poi fatto seguito. Questo suggerimento tattico, divenuto principio assoluto della teoria democratica, determinò da allora le azioni delle associazioni femminili e il pensiero dei politici di tutti i partiti.
Le associazioni per il diritto di voto alle donne, sorte all'inizio del XX secolo, costituirono nel 1909 l'Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF). Svolsero un'intensa attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica per tutto ciò che concerneva la parità tra uomo e donna in ambito economico, sociale, giuridico e politico. I membri dell'ASSF, fra cui vi erano sempre anche alcuni uomini, erano spesso donne nubili con una formazione universitaria e professionalmente attive. Appartenevano soprattutto alla borghesia riformata, della cui rete di relazioni politiche si servivano per avanzare le loro rivendicazioni. Dagli anni 1880 donne attive dei ceti inferiori fondarono in diverse località delle associazioni, riunitesi in seguito nella Federazione svizzera delle lavoratrici (1890); nel 1893 quest'ultima fu la prima istituzione a rivendicare il suffragio femminile. Nel 1904 il Partito socialista (PS) incluse questa rivendicazione nel suo programma. Dal 1912 fu ufficialmente dichiarata come strumento di lotta contro lo sfruttamento del proletariato da parte della classe capitalista. Lo stesso anno i deputati socialisti al Gran Consiglio sangallese chiesero l'introduzione del suffragio femminile a livello cantonale.

Durante la prima guerra mondiale la cittadinanza e il servizio militare obbligatorio vennero equiparati. Le associazioni femminili borghesi si impegnarono nel servizio sociale dell'esercito, come contributo preliminare per l'ottenimento degli attesi diritti politici. Durante la guerra, poiché la situazione lasciava presagire un rivolgimento sociale, la rivendicazione del suffragio femminile, inizialmente frenata, riacquistò vigore. Tra il 1914 e il 1921 vennero depositate interpellanze a favore del suffragio femminile nei cantoni di Basilea Città, Berna, Ginevra, Neuchâtel, Zurigo e Vaud, ma fallirono quasi tutte già nei parlamenti. Nel 1920 l'Associazione ginevrina per il suffragio femminile lanciò un'iniziativa popolare, che venne respinta. Tra il 1919 e il 1921 i cantoni di Neuchâtel, Basilea Città, Zurigo, Glarona e San Gallo si pronunciarono pure sullo stesso oggetto, ma sempre con esito negativo. Nel 1919 in Ticino si stabilì che il diritto di voto e di eleggibilità nei patriziati poteva essere esercitato indifferentemente da un uomo o da una donna in rappresentanza di ogni fuoco (economia domestica). Durante lo sciopero generale del 1918 il comitato di Olten incluse il suffragio femminile nelle proprie rivendicazioni. Due mozioni per il suffragio femminile a livello federale furono depositate per la prima volta in Consiglio nazionale, poi ridotte a dei postulati (1918-1919). Questi furono trasmessi al Consiglio federale, che li trascurò per decenni.
Di fronte a una possibile concretizzazione del suffragio femminile, dopo la prima guerra mondiale si costituirono per la prima volta gruppi di donne che vi si opponevano. Provenienti dagli stessi ambienti delle fautrici (ceto sociale elevato, formazione universitaria, solida base economica), le oppositrici erano spesso legate, a livello familiare o professionale, a politici influenti che avversavano il suffragio femminile. Utilizzavano i metodi di propaganda in maniera altrettanto professionale delle loro avversarie. Sostenevano una netta separazione dei compiti di uomini e donne nella società (ruoli sessuali): le donne dovevano esercitare un'influenza politica solo negli ambiti a loro attribuiti socialmente, ma unicamente con una funzione consultiva, senza alcun potere decisionale.

Nel 1929, sostenuta da altre associazioni femminili, dal PS e dai sindacati, l'ASSF consegnò una petizione federale, corredata di 249'237 firme (78'840 uomini, 170'397 donne), a favore del suffragio femminile, che non sortì alcun effetto. Negli anni 1930, la crisi economica e il consolidamento delle correnti politiche conservatrici e fasciste (conservatorismo, fascismo) furono accompagnate da un'enfatizzazione dei doveri delle donne nella sfera domestica, sfavorendo di fatto la rivendicazione del suffragio femminile. Durante la seconda guerra mondiale le associazioni femminili svizzere si impegnarono di nuovo nell'aiuto sociale con la speranza di ottenere diritti politici. Nel 1940 progetti di legge per il suffragio femminile sul piano cantonale e comunale furono respinti a Ginevra e Neuchâtel. Nel 1945 in Consiglio nazionale venne indirizzata una mozione per il suffragio femminile al Consiglio federale. Nell'atmosfera di rinnovamento dei primi anni del dopoguerra ebbero luogo alcune votazioni a livello cantonale o comunale, tutte però con esito negativo (Basilea Città, Basilea Campagna, Ginevra e Ticino nel 1946; Zurigo nel 1947; Neuchâtel e Soletta nel 1948; Vaud nel 1951). In seguito furono condotti sondaggi fra le donne a Ginevra, Basilea Città e nella città di Zurigo, con risultati chiaramente positivi; ciononostante i cittadini rifiutarono nuovamente progetti di legge per l'introduzione del suffragio femminile. Nel 1951 il Consiglio federale pubblicò un rapporto in cui, alla luce dei fallimenti a livello cantonale, considerava prematura una votazione federale sul tema.

La causa del suffragio femminile non beneficiò né della ripresa economica degli anni 1950, periodo in cui venne sottolineato il ruolo della donna quale custode della casa e della famiglia per compensare i veloci cambiamenti del mondo esterno, né della tendenza politica conservatrice durante la Guerra fredda. Solo Basilea Città autorizzò nel 1957 i suoi tre comuni patriziali a introdurre il suffragio femminile (Riehen fu il primo comune a introdurlo il 26 giugno 1958). Quando il Consiglio federale volle integrare le donne svizzere nella difesa nazionale con un servizio obbligatorio di protezione civile, l'ASSF, l'Unione svizzera delle donne cattoliche e l'Alleanza delle società femminili svizzere si opposero all'imposizione di nuovi obblighi alle donne in assenza dei diritti politici. Nel 1957, poiché il dibattito pubblico minacciava il progetto di protezione civile, il Consiglio federale presentò la bozza per una votazione sul suffragio femminile. Con il sostegno dei parlamentari contrari, che volevano provocare un rifiuto popolare, nel 1958 la proposta venne accettata dalle due Camere. Prima della votazione popolare il PS, l'Anello degli Indipendenti (AdI) e il Partito del lavoro (PdL) raccomandarono di votare sì, il Partito radicale democratico (PRD) e il Partito conservatore cristiano-sociale (poi Partito popolare democratico, PPD) lasciarono libertà di voto, mentre il Partito dei contadini, degli artigiani e dei borghesi (PAB, poi Unione democratica di centro, UDC) sostenne il no. Nel 1959 l'oggetto in votazione venne respinto con 654'939 (66,9%) no contro 323'727 (33%) sì e con una partecipazione alle urne del 66,7%. Solo i cantoni Vaud, Ginevra e Neuchâtel lo accettarono. Vaud introdusse contemporaneamente il suffragio femminile a livello cantonale e comunale. Neuchâtel seguì lo stesso anno e Ginevra nel 1960. Il primo cantone della Svizzera tedesca ad accettare il suffragio femminile sul piano cantonale e comunale fu Basilea Città nel 1966, seguito da Basilea Campagna nel 1968 e dal Ticino nel 1969.

Nel 1968 il Consiglio federale progettava di sottoscrivere la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, escludendone il suffragio femminile. Le associazioni femminili, temendo ulteriori rinvii, si ispirarono al Movimento di liberazione della donna e protestarono in massa. Alla fine degli anni 1960, data la situazione sociale già tesa, il Consiglio federale fu costretto ad attivarsi per presentare una nuova proposta di voto. Poiché questa volta sembrava probabile un riscontro positivo delle urne, i contrari preferirono non esporsi dato che nessun partito voleva privarsi delle potenziali future votanti. Il 7 febbraio 1971 i votanti accettarono il diritto di voto e eleggibilità delle donne a livello federale con 621'109 (65,7%) sì contro 323'882 (34,3%) no e con un tasso di partecipazione del 57,7%, 53 anni dopo la Germania, 52 dopo l'Austria, 27 dopo la Francia e 26 dopo l'Italia. Venne respinto da otto cantoni: Appenzello Esterno, Appenzello Interno, Glarona, Obvaldo, Svitto, San Gallo, Turgovia e Uri. La maggior parte dei cantoni introdusse il suffragio femminile sul piano cantonale e in parte su quello comunale poco prima, contemporaneamente o appena dopo la votazione federale. Diversi comuni ritardarono la sua introduzione fino agli anni 1980. Ad Appenzello Esterno fu accettato solo nel 1989 con un'esigua maggioranza (voto per alzata di mano durante la Landsgemeinde).

Dato che il suffragio femminile non era precluso dal testo delle Costituzioni cantonali e federali in sé, ma solo dalla loro interpretazione, dalla fine del XIX secolo vi furono diversi tentativi di persuadere le relative istanze politiche e giuridiche a una lettura diversa della legislazione. Queste ultime consideravano però che una modifica della legge con l'obiettivo di introdurre il suffragio femminile dovesse necessariamente passare da una votazione popolare. Il Tribunale federale si allontanò per la prima volta da questo principio con la decisione del 27 novembre 1990, secondo cui l'introduzione del suffragio femminile ad Appenzello Interno, dove lo stesso anno era stato nuovamente rifiutato dalla Landsgemeinde, non aveva bisogno di modifiche della Costituzione cantonale; il testo doveva da allora semplicemente essere interpretato come valido anche per le donne. Appenzello Interno dovette piegarsi a questa decisione.