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Suffragio femminile

Il diritto di voto ed eleggibilità delle donne fu accolto in Svizzera nel 1971, 53 anni dopo la Germania, 52 dopo l'Austria, 27 dopo la Francia e 26 dopo l'Italia. Come negli altri Paesi, la sua introduzione non fu seguita da sconvolgimenti politici, ma costituì la premessa per altri progressi nell'ambito della parità di genere.

Il cammino verso il suffragio femminile

Il lungo XIX secolo

Sebbene la Costituzione elvetica del 1798, le Costituzioni cantonali liberali del XIX secolo e le Costituzioni federali del 1848 e del 1874 non escludessero esplicitamente le donne dai diritti politici, una loro partecipazione non entrava in linea di conto. I principi di libertà e uguaglianza, adottati in Svizzera dal 1798, erano applicati solo agli uomini (democrazia).

Nel 1833 la legge sui comuni del canton Berna accordò alle donne che avevano proprietà fondiarie il diritto di partecipare all'assemblea, a patto di farsi rappresentare da un uomo. Nel 1852 questa condizione venne soppressa, ma il diritto circoscritto alle donne nubili e alle vedove, per poi essere completamente abolito nel 1887. Nel XIX secolo le donne rivendicarono di rado diritti politici, mirando piuttosto a miglioramenti nell'ambito del diritto civile. Nel 1868, in occasione della revisione della Costituzione cantonale, alcune donne zurighesi chiesero invano il diritto di voto ed eleggibilità. Alla fine del XIX secolo, sotto l'influenza del movimento femminista tedesco e anglosassone, nacquero associazioni con scopi educativi e professionali che lottavano per un miglioramento della condizione giuridica ed economica delle donne come pure per il suffragio femminile. Alcuni giuristi consigliarono alle donne di battersi dapprima per i loro diritti in ambito ecclesiastico, scolastico e sociale, convinti che il suffragio femminile a livello comunale, cantonale e federale avrebbe poi fatto seguito. Questo suggerimento tattico, divenuto principio assoluto della teoria democratica, determinò da allora le azioni delle associazioni femminili e il pensiero dei politici di tutti i partiti.

Le associazioni per il diritto di voto alle donne, sorte all'inizio del XX secolo, costituirono nel 1909 l'Associazione svizzera per il suffragio femminile (ASSF). Svolsero un'intensa attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica per tutto ciò che concerneva la parità tra uomo e donna in ambito economico, sociale, giuridico e politico. I membri dell'ASSF, fra cui vi erano sempre anche alcuni uomini, erano spesso donne nubili con una formazione universitaria che esercitavano una professione. Appartenevano soprattutto alla borghesia riformata, della cui rete di relazioni politiche si servivano per avanzare le loro rivendicazioni. Dagli anni 1880 donne professionalmente attive dei ceti inferiori fondarono in diverse località associazioni, riunitesi in seguito nella Federazione svizzera delle lavoratrici (1890); nel 1893 quest'ultima fu la prima istituzione a reclamare il suffragio femminile. Dopo che nel 1904 il Partito socialista (PS) l'ebbe inclusa nel suo programma, dal 1912 tale rivendicazione fu ufficialmente dichiarata strumento di lotta per la trasformazione rivoluzionaria della società. Lo stesso anno i deputati socialisti al Gran Consiglio sangallese chiesero l'introduzione del suffragio femminile a livello cantonale.

Periodo bellico e dopoguerra

Durante la prima guerra mondiale la cittadinanza e il servizio militare obbligatorio vennero equiparati. Le associazioni femminili borghesi si impegnarono nel servizio sociale dell'esercito, come contributo preliminare per l'ottenimento degli attesi diritti politici. Durante la guerra, poiché la situazione lasciava presagire un rivolgimento sociale, la rivendicazione del suffragio femminile, inizialmente frenata, riacquistò vigore. Tra il 1914 e il 1921 vennero depositate interpellanze a favore del suffragio femminile nei cantoni di Basilea Città, Berna, Ginevra, Neuchâtel, Zurigo e Vaud, ma fallirono quasi tutte già nei parlamenti. Nel 1920 l'Associazione ginevrina per il suffragio femminile lanciò un'iniziativa popolare, che venne respinta. Tra il 1919 e il 1921 i cantoni di Neuchâtel, Basilea Città, Zurigo, Glarona e San Gallo si pronunciarono pure sullo stesso oggetto, ma sempre con esito negativo. Nel 1919 in Ticino si stabilì che il diritto di voto ed eleggibilità nei patriziati poteva essere esercitato indifferentemente da un uomo o da una donna in rappresentanza di ogni fuoco (economia domestica). Durante lo sciopero generale del 1918 il comitato di Olten incluse il suffragio femminile nelle proprie rivendicazioni. Lo stesso anno due mozioni per il suffragio femminile a livello federale furono depositate per la prima volta in Consiglio nazionale, poi ridotte a dei postulati (1919). Questi furono trasmessi al Consiglio federale, che li trascurò per decenni.

Manifesti contrari al suffragio femminile delle campagne per le votazioni del 1920 e del 1946 (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).
Manifesti contrari al suffragio femminile delle campagne per le votazioni del 1920 e del 1946 (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste). […]

Di fronte a una possibile concretizzazione del suffragio femminile, dopo la prima guerra mondiale si costituirono per la prima volta gruppi di donne che vi si opponevano. Provenienti dagli stessi ambienti delle fautrici (ceto sociale elevato, formazione universitaria, solida base economica), le oppositrici erano spesso legate, a livello familiare o professionale, a politici influenti che avversavano il suffragio femminile. Utilizzavano i metodi di propaganda in maniera altrettanto professionale delle loro avversarie. Sostenevano una netta separazione dei compiti di uomini e donne nella società (ruoli sessuali): le donne dovevano esercitare un'influenza politica solo negli ambiti a loro attribuiti socialmente, ma unicamente con una funzione consultiva, senza alcun potere decisionale.

«In tutta l'Europa le donne hanno il diritto di voto. In Svizzera no». Manifesto per un incontro organizzato a Zurigo nel giugno del 1950 dall'Associazione svizzera per il suffragio femminile (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).
«In tutta l'Europa le donne hanno il diritto di voto. In Svizzera no». Manifesto per un incontro organizzato a Zurigo nel giugno del 1950 dall'Associazione svizzera per il suffragio femminile (Museum für Gestaltung Zürich, Plakatsammlung, Zürcher Hochschule der Künste).

Nel 1929, sostenuta da altre associazioni femminili, dal PS e dai sindacati, l'ASSF consegnò una petizione federale, corredata di 249'237 firme (78'840 uomini, 170'397 donne), a favore del suffragio femminile, che non sortì alcun effetto. Negli anni 1930, la crisi economica e il consolidamento delle correnti politiche conservatrici (conservatorismo) e fasciste (fascismo) furono accompagnate da un'enfatizzazione dei doveri delle donne nella sfera domestica, sfavorendo di fatto la rivendicazione del suffragio femminile. Durante la seconda guerra mondiale le associazioni femminili svizzere si impegnarono di nuovo nell'aiuto sociale con la speranza di ottenere i diritti politici. Nel 1940 e nel 1941 progetti di legge per il suffragio femminile sul piano cantonale e comunale furono respinti a Ginevra e Neuchâtel. Nel 1945 in Consiglio nazionale venne indirizzata una mozione per il suffragio femminile al Consiglio federale. Nell'atmosfera di rinnovamento dei primi anni del dopoguerra ebbero luogo alcune votazioni a livello cantonale o comunale, tutte però con esito negativo (Basilea Città, Basilea Campagna, Ginevra e Ticino nel 1946; Zurigo nel 1947; Neuchâtel e Soletta nel 1948; Vaud nel 1951). In seguito furono condotti sondaggi fra le donne a Ginevra, Basilea Città e nella città di Zurigo, con risultati chiaramente positivi, ciò che non impedì ai cittadini di rifiutare nuovamente progetti di legge per l'introduzione del suffragio femminile. Nel 1951 il Consiglio federale pubblicò un rapporto in cui, alla luce dei fallimenti a livello cantonale, considerava prematura una votazione federale sul tema.

19 aprile 1959: le donne partecipano per la prima volta alle elezioni nel comune vodese di Commugny (Museo nazionale svizzero, Zurigo, Actualités suisses Lausanne, Presse-Diffusion, LM-118253.1, LM-118253.2 und LM-118253.6).
19 aprile 1959: le donne partecipano per la prima volta alle elezioni nel comune vodese di Commugny (Museo nazionale svizzero, Zurigo, Actualités suisses Lausanne, Presse-Diffusion, LM-118253.1, LM-118253.2 und LM-118253.6). […]

La causa del suffragio femminile non beneficiò né della ripresa economica degli anni 1950, periodo in cui venne sottolineato il ruolo della donna quale custode della casa e della famiglia per compensare i veloci cambiamenti del mondo esterno, né della tendenza politica conservatrice durante la Guerra fredda. Solo Basilea Città autorizzò nel 1957 i suoi tre comuni patriziali a introdurre il suffragio femminile (Riehen fu il primo comune a introdurlo il 26 giugno 1958). Quando il Consiglio federale volle integrare le donne svizzere nella difesa nazionale con un servizio obbligatorio di protezione civile, l'ASSF, l'Unione svizzera delle donne cattoliche e l'Alleanza delle società femminili svizzere (ASF) si opposero all'imposizione di nuovi obblighi alle donne in assenza dei diritti politici. In occasione della votazione federale del 1957 su questo tema, che vide la bocciatura dell'articolo costituzionale proposto, Peter von Roten, prefetto del distretto di Raron, organizzò nel piccolo comune vallesano di Unterbäch un'azione provocatoria. Con il sostegno del municipio le donne furono ammesse alle urne, anche se i loro voti non vennero conteggiati. Questa iniziativa simbolica ottenne una grande eco mediatica.

Nel 1957, poiché il dibattito pubblico minacciava la revisione dell'articolo costituzionale sulla protezione civile, il Consiglio federale presentò la bozza per una votazione sul suffragio femminile. Con il sostegno dei parlamentari contrari, che volevano provocare un rifiuto popolare, nel 1958 la proposta venne accettata dalle due Camere. Prima della votazione popolare il PS, l'Anello degli Indipendenti (AdI) e il Partito del lavoro (PdL) raccomandarono di votare sì, il Partito radicale democratico (PRD) e il Partito conservatore cristiano-sociale lasciarono libertà di voto, mentre il Partito dei contadini, degli artigiani e dei borghesi (PAB) sostenne il no. Nel 1959 l'oggetto in votazione venne respinto con 654'939 (66,9%) no contro 323'727 (33%) sì e con una partecipazione alle urne del 66,7%. Solo i cantoni Vaud, Ginevra e Neuchâtel lo accettarono. Vaud introdusse contemporaneamente il suffragio femminile a livello cantonale e comunale. Neuchâtel seguì lo stesso anno e Ginevra nel 1960. Il primo cantone della Svizzera tedesca ad accettare il suffragio femminile sul piano cantonale e comunale fu Basilea Città nel 1966, seguito da Basilea Campagna nel 1968. Nel 1969 fece lo stesso anche il Ticino.

Striscioni con slogan per il diritto di voto alle donne sulla terrazza del tetto di una casa a Zurigo. Fotografia, 1 febbraio 1966 (KEYSTONE, immagine 100471975).
Striscioni con slogan per il diritto di voto alle donne sulla terrazza del tetto di una casa a Zurigo. Fotografia, 1 febbraio 1966 (KEYSTONE, immagine 100471975). […]

Il successo del 1971

«Per le nostre donne un caloroso sì il 7 febbraio». Manifesto della campagna in favore del sì realizzato dal Comitato di azione per il suffragio femminile in vista della votazione federale del 1971 (128 x 90,5 cm). Progetto di Peter Freis, stampato da A. Trüb & Cie., Aarau (Plakatsammlung der Schule für Gestaltung Basel, Münchenstein, segnatura 16347).
«Per le nostre donne un caloroso sì il 7 febbraio». Manifesto della campagna in favore del sì realizzato dal Comitato di azione per il suffragio femminile in vista della votazione federale del 1971 (128 x 90,5 cm). Progetto di Peter Freis, stampato da A. Trüb & Cie., Aarau (Plakatsammlung der Schule für Gestaltung Basel, Münchenstein, segnatura 16347).

Nel 1968 il Consiglio federale progettava di sottoscrivere la Convenzione europea dei diritti dell'uomo, escludendone il suffragio femminile. Le associazioni femminili, temendo ulteriori rinvii, protestarono in massa. Data la situazione sociale già tesa della fine degli anni 1960, il Consiglio federale fu costretto ad attivarsi per presentare una nuova proposta di voto. Poiché questa volta sembrava probabile un riscontro positivo delle urne, i contrari preferirono non esporsi dato che nessun partito voleva privarsi delle potenziali future votanti. Il 7 febbraio 1971 i cittadini accettarono il diritto di voto ed eleggibilità delle donne a livello federale con 621'109 (65,7%) sì contro 323'882 (34,3%) no e con un tasso di partecipazione del 57,7%. Venne respinto da sei cantoni e due semicantoni della Svizzera centrale e orientale (Appenzello Esterno, Appenzello Interno, Glarona, Obvaldo, San Gallo, Svitto, Turgovia e Uri). La maggior parte dei cantoni introdusse il suffragio femminile sul piano cantonale e in parte su quello comunale poco prima, contemporaneamente o appena dopo la votazione federale. Diversi comuni ritardarono la sua introduzione fino agli anni 1980. Ad Appenzello Esterno fu accettato solo nel 1989 con un'esigua maggioranza (voto per alzata di mano durante la Landsgemeinde).

Dato che il suffragio femminile non era precluso dal testo delle Costituzioni cantonali e federali in sé, ma solo dalla loro interpretazione, dalla fine del XIX secolo vi furono diversi tentativi di persuadere le relative istanze politiche e giuridiche a una lettura diversa della legislazione. Queste ultime consideravano però che una modifica della legge con l'obiettivo di introdurre il suffragio femminile dovesse necessariamente passare da una votazione popolare. Il Tribunale federale si allontanò per la prima volta da questo principio con la decisione del 27 novembre 1990, secondo cui l'introduzione del suffragio femminile ad Appenzello Interno, dove lo stesso anno era stato nuovamente rifiutato dalla Landsgemeinde, non aveva bisogno di modifiche della Costituzione cantonale; il testo doveva da allora semplicemente essere interpretato come valido anche per le donne. Appenzello Interno dovette piegarsi a questa decisione.

Le donne alle urne e nelle istituzioni politiche

Il riconoscimento dei diritti politici delle donne apriva loro diverse possibilità per esercitare un'influenza politica: potevano ora sottoscrivere referendum e iniziative popolari, votare, eleggere ed essere elette.

Le donne alle urne

Come negli altri Paesi occidentali, la concessione del diritto di voto attivo alle donne non modificò sensibilmente la composizione partitica di parlamenti e governi. Ciononostante si osservano alcune differenze di comportamento tra uomini e donne in occasione di votazioni ed elezioni. La discrepanza più vistosa riguarda l'astensionismo. Nell'autunno 1971, quando le donne presero parte per la prima volta alle elezioni del Consiglio nazionale, la loro partecipazione si attestò al 46%, 24 punti percentuali al di sotto di quella degli uomini. Entro il 1995 questa differenza si ridusse però a 7 punti. Dopo un temporaneo aumento, dal 2011 è tornata ad assestarsi attorno ai 7 punti percentuali. Esaminando il tasso di partecipazione in base all'età, si rileva che le differenze di genere sono particolarmente marcate tra le persone con più di 65 anni. La ricerca riconduce tale scarto in parte alla tardiva introduzione del suffragio femminile, in parte al tipo di formazione delle donne, che non incoraggiava la partecipazione politica. Anche la partecipazione femminile alle votazioni è più bassa di quella maschile, benché in questo caso la differenza sia meno evidente. Negli anni 1980 la differenza media si attestava attorno al 10%, in tempi più recenti solo occasionalmente si è osservata una discrepanza significativa sul piano statistico nel tasso di partecipazione di uomini e donne.

Come indicano le analisi delle elezioni del Consiglio nazionale dal 1995, le donne eleggono sensibilmente più della media rappresentanti dei Verdi e del PS. Gli uomini prediligono invece esponenti del PRD e dell'UDC. Queste tendenze corrispondono alle osservazioni fatte in altri Paesi occidentali, che attestano come dagli anni 1980 le donne sostengano generalmente in misura maggiore partiti ecologisti e di sinistra.

Nelle votazioni popolari le donne non si comportarono in modo sostanzialmente diverso dagli uomini. Talvolta posero però l'accento su aspetti diversi, ad esempio su questioni attinenti alla parità di genere, ma anche all'ambiente (sono ad esempio decisamente più scettiche degli uomini verso l'energia atomica), alla protezione dei consumatori e delle consumatrici e degli inquilini e delle inquiline (locazione) o al servizio pubblico (service public). In alcune occasioni la maggioranza femminile ha avuto un impatto decisivo sull'esito finale, come nel 1994 con l'approvazione della norma penale contro il razzismo, nel 2008 con l'approvazione dell'iniziativa popolare federale per l'imprescrittibilità dei reati di pornografia infantile o nel 2014 in occasione della bocciatura della legge federale sul fondo per l’acquisto dell’aereo da combattimento Gripen. Al contrario, nel 2022 in occasione della riforma dell'AVS 21, che ha innalzato l'età del pensionamento delle donne da 64 a 65 anni, le donne sono state messe in netta minoranza da una maggioranza di uomini.

Le donne nei parlamenti e nei governi

Nelle elezioni del Consiglio nazionale e dei parlamenti cantonali nella prima metà degli anni 1970 le donne ottennero in media il 5% dei seggi. Questi gremi, generalmente numerosi, venivano eletti con il sistema proporzionale (sistemi elettorali), che si dimostrò favorevole alla presenza femminile. Fino al 1991 la quota di elette salì continuamente fino a raggiungere il 17,5% (Consiglio nazionale) e il 15% (legislativi cantonali). Benché si fosse ancora ben lungi da una situazione di parità, nel confronto europeo la rappresentanza delle donne si attestava già su valori mediani. Negli anni 1980 la presenza femminile nei partiti divenne più marcata. Con la comparsa dei Verdi e l'orientamento del PS verso le nuove classi medie la parità tra uomo e donna divenne una rivendicazione centrale in entrambi i partiti. Questi ultimi candidarono un numero di donne sempre maggiore, incontrando il favore delle loro elettrici, così che la quantità di elette del PS e dei Verdi crebbe in modo notevole. Al contrario, nei partiti borghesi, e in particolare nell'UDC, la rappresentanza femminile aumentò solo di poco.

Nell'elezione del Consiglio degli Stati e soprattutto dei governi cantonali e del Consiglio federale gli ostacoli per le donne furono maggiori; per queste cariche prestigiose queste ultime incontravano spesso resistenze già prima dell'elezione. Inoltre il sistema maggioritario, che perlopiù regolava l'assegnazione dei seggi in seno a queste istituzioni, costituiva un impedimento più difficile da superare rispetto al sistema proporzionale. All'inizio degli anni 1990 le donne occupavano il 9% dei seggi nel Consiglio degli Stati e il 3% nei governi cantonali. Nel 1983 il PS designò come prima donna candidata al governo federale Lilian Uchtenhagen, che nell'elezione da parte dell'Assemblea federale fu però superata dal collega di partito Otto Stich, sostenuto dal blocco borghese. Nel 1984 la radicale Elisabeth Kopp fu la prima donna a divenire Consigliera federale; dopo il suo ritiro nel 1989 in seno all'esecutivo svizzero non ve ne furono altre fino al 1993.

Fonte: Ufficio federale di statistica, Statistica elettorale.

Gli anni 1990 furono i più favorevoli all'aumento della rappresentanza femminile nelle istituzioni federali e cantonali. Diedero il via a questa tendenza lo sciopero delle donne del 1991 e l'ondata di indignazione suscitata nel Paese dalla mancata elezione in Consiglio federale di Christiane Brunner nel 1993. La percentuale di donne crebbe in modo marcato in tutte le istituzioni politiche: nel 2003 il Consiglio federale contava, con Ruth Dreifuss e Ruth Metzler-Arnold, per la prima volta due donne. La quota femminile era allora del 22% nei governi cantonali, del 24% ca. sia nel Consiglio degli Stati sia nei legislativi cantonali e del 26% nel Consiglio nazionale. Le donne continuavano comunque a trovarsi in chiara inferiorità numerica.

Negli anni 2000 e 2010 si è osservato un rallentamento dell'incremento della presenza femminile in Consiglio nazionale e soprattutto nei governi e nei parlamenti cantonali. Nel Consiglio degli Stati la percentuale di donne si è addirittura ridotta da un'elezione all'altra. Per contro in Consiglio federale si è ravvisata una tendenza diversa: in occasione del rinnovo integrale del 2007 la Consigliera di Stato grigionese dell'UDC Eveline Widmer-Schlumpf ha sostituito in governo il collega di partito Christoph Blocher. Quando nel settembre 2010 la Consigliera agli Stati socialista bernese Simonetta Sommaruga è subentrata al dimissionario Moritz Leuenberger, le donne hanno ottenuto per la prima volta una maggioranza nell'esecutivo svizzero. Questa situazione ha avuto fine già nel dicembre del 2011 a seguito del ritiro della socialista ginevrina Micheline Calmy-Rey, a cui è succeduto il Consigliere agli Stati friburghese Alain Berset.

Nel 2019 la rappresentanza femminile nei legislativi ha conosciuto un nuovo aumento, stimolato dal movimento internazionale #MeToo, dal secondo sciopero nazionale delle donne e dalle misure messe in atto dalla campagna «Helvetia chiama!», sostenuta da donne politiche di tutti i partiti e di tutte le organizzazioni femminili. Nelle elezioni federali la quota di donne sia nel Consiglio nazionale sia nel Consiglio degli Stati è aumentata del 10% circa, arrivando al 42% nella Camera bassa e al 26% in quella alta. La percentuale di donne è aumentata anche nei parlamenti e nei governi cantonali anche se in misura meno marcata.

Votazioni popolari sulla parità di genere

Malgrado il riconoscimento del suffragio femminile nel 1971 la parità tra uomo e donna era ancora lungi dall'essere raggiunta, specialmente sul piano sociale. Negli anni 1970 le associazioni femminili lanciarono un'iniziativa popolare in favore della parità di genere nella società, nella famiglia, nel lavoro e nella formazione. A partire da questo decennio, tramite interventi parlamentari e iniziative popolari si impegnarono – perlopiù con il sostegno dei partiti di sinistra – anche in favore della legalizzazione dell'interruzione di gravidanza e dell'introduzione dell'assicurazione maternità.

Nel 1981 il nuovo articolo costituzionale sulla parità in particolare per quanto concerne la famiglia, l'istruzione e il lavoro fu approvato con il 60% di voti favorevoli. Nel 1985 la percentuale di sì fu inferiore nel caso della votazione sul nuovo diritto matrimoniale, che aboliva la struttura patriarcale della famiglia. In occasione di queste due votazioni le donne si recarono alle urne in numero superiore alla media e si espressero a favore in proporzione maggiore rispetto agli uomini. Nel caso del nuovo diritto matrimoniale i voti femminili ebbero un peso decisivo per la sua approvazione. Avendo raccolto solo il 18% di sì, non ebbe invece alcuna chance di essere approvata l'iniziativa per un'equa rappresentanza delle donne nelle autorità federali, rigettata nel 2000.

La depenalizzazione dell'aborto era una rivendicazione centrale del movimento femminista degli anni 1970. Nel 1977 una prima iniziativa popolare fallì di poco (48% di voti favorevoli). Nelle successive votazioni cittadine e cittadini furono chiamati a esprimersi non solo su proposte per una liberalizzazione, ma anche per una regolamentazione restrittiva dell'interruzione di gravidanza. Tutti i progetti di legge furono respinti, come ad esempio nel 1985 l'iniziativa popolare «Diritto alla vita», promossa da organizzazioni vicine alle Chiese. Nel 2002 fu infine accolta la soluzione dei termini con il 72% di voti favorevoli.

Furono necessarie diverse votazioni anche per la realizzazione di un'assicurazione maternità, per cui esisteva un mandato costituzionale sin dal 1945. Nel 1984 un'iniziativa popolare sul tema fu nettamente sconfitta (16% di sì). Solo nel 2004 l'assicurazione maternità fu accettata alle urne.

Per tutti i progetti di legge relativi alla parità tra uomo e donna si osservò una polarizzazione tra «valori tradizionali» e «valori moderni». A questo proposito, si osservò una spaccatura tra città e comunità rurali, da un lato, e Svizzera tedesca e Svizzera latina, dall'altro. Nella Svizzera latina (Romandia e Ticino) e nelle città fu raccolto ogni volta il più alto numero di voti favorevoli. Il più basso si ebbe invece nella Svizzera tedesca, e in particolare nei cantoni della Svizzera centrale e orientale, come pure nei comuni rurali. Una tendenza analoga si era già riscontrata nel 1959 e nel 1971 in occasione delle votazioni sul riconoscimento del suffragio femminile. Nel XX secolo, questi orientamenti si intrecciarono con contrapposizioni di tipo confessionale nel caso della votazione sull'interruzione di gravidanza e tra la destra e la sinistra in quello dell'assicurazione maternità.

Nel contesto del progetto Omaggio 2021 – 50 anni di diritto di voto e di elezione alle donne, dal 6 al 13 agosto 2021 ogni sera sono state proiettate sulle facciate del Palazzo federale, della Banca nazionale e della Berner Kantonalbank immagini sulla storia delle donne in Svizzera; fotografie, 6 agosto 2021 (KEYSTONE / Anthony Anex).
Nel contesto del progetto Omaggio 2021 – 50 anni di diritto di voto e di elezione alle donne, dal 6 al 13 agosto 2021 ogni sera sono state proiettate sulle facciate del Palazzo federale, della Banca nazionale e della Berner Kantonalbank immagini sulla storia delle donne in Svizzera; fotografie, 6 agosto 2021 (KEYSTONE / Anthony Anex).

Riferimenti bibliografici

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  • Castelletti, Susanna; Congestrì, Marika (a cura di): Finalmente cittadine! La conquista dei diritti delle donne in Ticino (1969-1971), 2021.
  • Steinhauser, Margrit: Die Frauen im Parlament. Kollektivbiografie der National- und Ständerätinnen 1971-2019, 2021.
  • Studer, Brigitte; Wyttenbach, Judith: Frauenstimmrecht. Historische und rechtliche Entwicklungen 1848-1971, 2021.
  • Studer, Brigitte: La conquista di un diritto. Il suffragio femminile in Svizzera (1848-1971), 2021 (francese 2020).
Link

Suggerimento di citazione

Yvonne Voegeli; Werner Seitz: "Suffragio femminile", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 04.04.2023(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/010380/2023-04-04/, consultato il 28.03.2024.