Missioni

Carta del mondo della Missione di Basilea con la distribuzione geografica delle religioni nel globo e delle regioni di «pagani», circondata da sei illustrazioni dei territori missionari di Cina, India, Camerun e Costa d'Oro (Ghana), 1900 ca. Carta su tessuto, 42 x 55 cm (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA 97856).
Carta del mondo della Missione di Basilea con la distribuzione geografica delle religioni nel globo e delle regioni di «pagani», circondata da sei illustrazioni dei territori missionari di Cina, India, Camerun e Costa d'Oro (Ghana), 1900 ca. Carta su tessuto, 42 x 55 cm (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA 97856). […]

Le missioni sono organizzazioni religiose, il cui scopo è la propagazione di una dottrina generalmente monoteista. Il concetto è in uso dal XVI secolo per indicare la diffusione sistematica del cristianesimo fra le persone di diversa credenza. Richiamandosi al dovere apostolico di testimonianza indicato nel Vangelo di Matteo, le missioni cristiane presero parte dal XVI secolo all'espansione delle potenze coloniali europee nel mondo, per diffondere il cristianesimo nei territori non cristiani. Furono tra le prime istituzioni interconnesse a livello globale, attraverso le quali le società europee ed extraeuropee entrarono in contatto reciproco, uscendone durevolmente trasformate.

Storia delle missioni

Commercio e missione. Dettaglio di una stufa a torre del laboratorio Pfau a Wintherthur, con maioliche dipinte probabilmente da David Sulzer, 1700 ca. (Proprietà privata; fotografia Andreas Heege, Zugo, 2021).
Commercio e missione. Dettaglio di una stufa a torre del laboratorio Pfau a Wintherthur, con maioliche dipinte probabilmente da David Sulzer, 1700 ca. (Proprietà privata; fotografia Andreas Heege, Zugo, 2021). […]

La storia delle missioni può essere suddivisa in cinque fasi. La prima fase (II-XV secolo) è quella della cosiddetta prima missione, che portò alla cristianizzazione di ampie parti dell'Europa. Nella seconda fase (XVI-XVIII secolo) le potenze coloniali europee entrarono in contatto con le popolazioni non cristiane durante le loro sempre più frequenti spedizioni oltreoceano. La Chiesa cattolica sostenne le ambizioni coloniali di Spagna e Portogallo, conferendo loro il monopolio sull'attività missionaria. Con la fondazione della congregazione De Propaganda Fide (1622) le missioni furono rigorosamente organizzate da Roma. La missione protestante acquisì importanza solo dal tardo XVIII secolo, con l'ascesa di Inghilterra e Olanda al rango di potenze coloniali. Nella terza fase (XIX-XX secolo) il rinnovamento religioso e l'abolizionismo determinarono un rafforzamento della filantropia e dunque anche delle missioni, che conobbero un culmine nell'epoca degli imperialismi. Contrariamente alle missioni precedenti, basate sul sostegno della nobiltà e promosse sotto il protettorato reale, le missioni del XIX secolo si appoggiavano su associazioni missionarie e si finanziavano in gran parte con le modeste donazioni di tutti i ceti sociali.

La quarta fase fu avviata dalla catastrofe della prima guerra mondiale e rese evidente alle missioni che presentavano intrecci troppo stretti con l'imperialismo nei Paesi extraeuropei. Le conseguenze furono molto pesanti, ad esempio perché missionari e missionarie di nazioni avversarie furono espulsi dalle colonie o internati. Si procedette perciò a rafforzare la centralizzazione, la professionalizzazione e l'uniformazione. La lettera apostolica di papa Benedetto XV Maximum Illud (1919), incentrata sulle missioni, indicò come obiettivi dichiarati il radicamento culturale della Chiesa cattolica e la formazione di un clero locale nei Paesi in cui queste ultime erano presenti. Condannò inoltre gli interessi nazionali ed economici e prescrisse una neutralità rigorosa nelle questioni politiche.

Cassetta delle elemosine in favore del lavoro missionario della prima metà del XX secolo (Archiv Basler Mission, Basilea; fotografia Markus Gruber, Basilea).
Cassetta delle elemosine in favore del lavoro missionario della prima metà del XX secolo (Archiv Basler Mission, Basilea; fotografia Markus Gruber, Basilea). […]

L'avvio del processo globale di decolonizzazione negli anni 1950 e 1960 e i mutamenti interni alla Chiesa quali il Concilio Vaticano II (1962-1965) caratterizzarono la quinta fase. Già dopo la fine della seconda guerra mondiale le critiche alle missioni e al loro coinvolgimento nel colonialismo divennero sempre più forti. Le missioni furono costrette ad adeguare al nuovo contesto le strutture organizzative di carattere gerarchico e paternalista e i metodi basati sulla costrizione e la violenza. Si posizionarono quali organizzazioni non governative nel campo della cooperazione allo sviluppo, in cui fu attivo un numero crescente di persone laiche. Dall'amministrazione dei territori delle missioni da parte di ordini o istituzioni in Europa si passò alla cooperazione con le Chiese nelle ex colonie. Il dialogo interreligioso e interculturale, l'ecumenismo, il partenariato e i progetti di sviluppo divennero il nuovo leitmotiv delle missioni. 

Anche in Svizzera prese avvio una collaborazione più stretta tra le organizzazioni impegnate nelle missioni. Nel 1944 fu istituito lo Schweizerischer Evangelischer Missionsrat (SEMR), nel 1963 il Consiglio missionario cattolico svizzero (CMCS) e il Département missionnaire des églises protestantes de la Suisse romande (più tardi DM-échange et mission) e nel 1964 la Kooperation Evangelischer Kirchen und Missionen (KEM). Dal 1971 CMCS e KEM pubblicarono un almanacco missionario comune. Nel 2001 la Missione di Basilea, la Missione sudafricana, la Missione dei Fratelli moravi e la Missione evangelica nella valle dell'Ouango si sono unite nell'organizzazione mantello Mission 21. All'inizio degli anni 1960 furono istituiti Sacrificio quaresimale (dal 2022 Azione quaresimale) sul fronte cattolico e Pane per i fratelli (dal 1990 Pane per tutti, unitosi nel 2022 all'Aiuto delle Chiese evangeliche svizzere, ACES) su quello riformato. Entrambe le organizzazioni parteciparono nel 1992 alla creazione della Fondazione Max Havelaar (Svizzera), il cui obiettivo è la promozione di un commercio equo con i prodotti dei Paesi del sud (Terzo mondo).

Borse di iuta della Dichiarazione di Berna con le scritte «Jute statt Plastic», «Solidarité – Jute – Ecologie» e «Perché Juta?», 1976, e busta per la colletta del Sacrificio quaresimale con lo slogan «wir teilen – partageons – condividiamo – nus partain», 2000 ca. (Schweizerisches Sozialarchiv, Zurigo, F Oc-0002-085 e F 5028-Fx-004).
Borse di iuta della Dichiarazione di Berna con le scritte «Jute statt Plastic», «Solidarité – Jute – Ecologie» e «Perché Juta?», 1976, e busta per la colletta del Sacrificio quaresimale con lo slogan «wir teilen – partageons – condividiamo – nus partain», 2000 ca. (Schweizerisches Sozialarchiv, Zurigo, F Oc-0002-085 e F 5028-Fx-004). […]

Missioni e colonialismo

Le missioni presentavano molteplici intrecci con il colonialismo. Da un lato, dipendevano dall'infrastruttura coloniale (esercito, amministrazione, sistema giuridico). In cambio, in ragione dell'importanza che la «missione civilizzatrice» attribuiva loro in ambito culturale, sociale ed economico, collaboravano con gli Stati europei al mantenimento del loro dominio politico all'estero. D'altro lato, le missioni furono all'origine di mutamenti sociali, che si scontravano con le intenzioni delle potenze coloniali e portavano a conflitti fra loro.

Il governatore britannico Frederick Gordon Guggisberg nel 1926 mentre saluta gli allievi di una scuola costruita a Kumasi nella Costa d'Oro (Ghana) da missionari di Basilea. Cartolina postale realizzata sulla base di una fotografia del missionario Friedrich Adolf Jost (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA D-30.67.002).
Il governatore britannico Frederick Gordon Guggisberg nel 1926 mentre saluta gli allievi di una scuola costruita a Kumasi nella Costa d'Oro (Ghana) da missionari di Basilea. Cartolina postale realizzata sulla base di una fotografia del missionario Friedrich Adolf Jost (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA D-30.67.002). […]

Data la loro posizione nel sistema coloniale anche i rapporti con le persone nelle colonie erano profondamente ambivalenti e fragili. L'immagine paternalista che i missionari e le missionarie avevano di sé rivelava una pretesa di superiorità, che si esprimeva nella diffusione di idee impregnate di razzismo culturale. Allo stesso tempo dipendevano sensibilmente dall'accettazione e dalla cooperazione delle autorità regionali e della popolazione dei territori in cui operavano. Fu l'interesse di queste ultime per la formazione, l'agricoltura e la medicina missionarie a rendere possibile la creazione di stazioni missionarie. Il concorso nell'opera missionaria prospettava loro l'accesso a conoscenze, tecnologie e merci, che potevano essere utilizzate come strategie di autoemancipazione e per formulare proprie rivendicazioni anche politiche contro il dominio straniero coloniale.

A differenza della maggior parte dei funzionari coloniali, dei commercianti e degli scienziati, missionari e missionarie generalmente vivevano nelle colonie per periodi prolungati e si familiarizzavano da vicino con i territori e le persone del luogo per favorire la conversione. Si affermarono come esperti ed esperte riconosciuti per le osservazioni naturalistiche e di lingue, culture e sistemi sociali extraeuropei. Nella loro orbita si aprivano nuovi campi del sapere e nascevano discipline accademiche, come l'etnologia. La loro integrazione nel dibattito scientifico e divulgativo sulle colonie plasmò le concezioni del mondo e dell'essere umano ben al di là delle cerchie missionarie borghesi.

Frontespizi e pagine del titolo in lingua kannada e in inglese della pubblicazione delle pressature botaniche del missionario Jakob Hunziker del 1862, 32 x 41,5 cm (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA C.325.I.003-006).
Frontespizi e pagine del titolo in lingua kannada e in inglese della pubblicazione delle pressature botaniche del missionario Jakob Hunziker del 1862, 32 x 41,5 cm (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA C.325.I.003-006). […]

Le missioni extraeuropee erano collegate a una molteplicità di opere caritative cristiane in Europa che si occupavano del presunto problema della scristianizzazione (note come missioni interne o popolari). Rientravano in questa tipologia, tra l'altro, istituzioni di assistenza ai poveri e agli ammalati, circoli biblici e giovanili, scuole domenicali, laboratori di cucito e missioni cittadine. Si basavano sul volontariato di numerose persone, fra cui molte donne e bambini. Non da ultimo attraverso queste relazioni si formò una connessione tra attori e idee intra ed extraeuropei, stimolando nuovi dibattiti sugli ordinamenti sociali.

In Svizzera, nel XIX e XX secolo, le missioni poterono contare su un vivace associazionismo e su una variegata attività editoriale. Le loro ampie campagne di finanziamento e di promozione crearono una cultura quotidiana coloniale sotto forma di riviste, cassette delle elemosine con figurine annuenti, calendari, tradizioni carnevalesche, album da collezione e padrinati. Musei ed esposizioni delle missioni familiarizzarono un vasto pubblico con racconti, carte, fotografie e oggetti delle colonie. Missionari e missionarie raccontarono le loro esperienze durante le funzioni religiose, in occasione di mercatini di beneficenza, nelle scuole domenicali, alle feste e nei film. In questo modo influenzarono considerevolmente la visione della popolazione svizzera del mondo coloniale e di sé stessa.

Le missioni cattoliche

All'inizio dell'epoca moderna erano ca. 40-45 i gesuiti svizzeri attivi come missionari cattolici al di fuori dell'Europa. Uno dei primi fu Pietro Berno, a Goa in India dal 1579. Dopo aver fondato in Russia la prima missione territoriale di un gruppo svizzero (1719-1759), i cappuccini divennero nel XIX secolo uno degli ordini missionari cattolici più influenti della Svizzera, con missioni in India (dal 1843), Tanzania (dal 1921) e alle Seychelles (dal 1922).

Fotografie di gruppo di allieve e allievi con il personale insegnante davanti a collegi nel South Dakota, 1899 ca. A sinistra: la Farm School Band della Saint Benedict Mission School a Kenel nella riserva di Standing Rock (Collezione privata Manuel Menrath, scansione di una fotografia conservata presso i Saint Meinrad Archabbey Archives, Saint Meinrad, Indiana); a destra: la Immaculate Conception Indian School a Stephan nella riserva di Crow Creek (Archivio privato Manuel Menrath, scansione di una fotografia conservata presso i Sacred Heart Convent Archives, Yankton, South Dakota).
Fotografie di gruppo di allieve e allievi con il personale insegnante davanti a collegi nel South Dakota, 1899 ca. A sinistra: la Farm School Band della Saint Benedict Mission School a Kenel nella riserva di Standing Rock (Collezione privata Manuel Menrath, scansione di una fotografia conservata presso i Saint Meinrad Archabbey Archives, Saint Meinrad, Indiana); a destra: la Immaculate Conception Indian School a Stephan nella riserva di Crow Creek (Archivio privato Manuel Menrath, scansione di una fotografia conservata presso i Sacred Heart Convent Archives, Yankton, South Dakota). […]

Nel 1854 benedettini svizzeri dell'abbazia di Einsiedeln fondarono nello Stato confederato dell'Indiana il monastero di Saint Meinrado, che contribuì alla missione fra le popolazioni autoctone. Il presidente statunitense Ulysses S. Grant introdusse nel 1869 la cosiddetta politica di pace e incaricò le missioni cristiane di «civilizzare» le persone che vivevano nelle riserve. Martin Marty, benedettino svizzero, guidò la missione nella riserva Sioux di Standing Rock nel territorio dei Dakota. Con l'aiuto di benedettine della Svizzera centrale, di gesuiti e di francescane tedeschi costruì internati cattolici, in cui bambini sioux furono costretti all'assimilazione. Malgrado fossero sottoposti a dure sanzioni e punizioni corporali e fossero sotto il controllo dei missionari fino all'età adulta, i Sioux riuscirono in ampia misura a conservare la loro autonomia culturale e spirituale. Dal 1948 monaci di Einsiedeln svolsero attività missionarie anche in Argentina. I benedettini di Engelberg seguirono i loro confratelli di Einsiedeln negli Stati Uniti nel 1873; nel 1932 assunsero una missione nel Camerun francese. Dal 1933 canonici agostiniani del Gran San Bernardo operarono in Cina e dal 1934 canonici di Saint-Maurice in India e Perù. La congregazione missionaria dei benedettini di Sankt Ottilien, in Baviera, fondata dal lucernese Andreas Amrhein, amministrò il territorio missionario di Dar es Salaam in Tanzania durante il dominio coloniale tedesco, poi ripreso, dopo la prima guerra mondiale, dai cappuccini svizzeri. Dopo il riconoscimento giuridico da parte britannica (1922) dei missionari benedettini di Sankt Ottilien come società missionaria autonoma, con sede a Uznach, i benedettini svizzeri assunsero, sotto la supervisione del vescovo Gallus Steiger, la direzione della prefettura apostolica di Lindi, nell'Africa orientale britannica (Tanzania).

Il monaco dell'abbazia benedettina di Engelberg, Fridolin Geiger con un apprendista (il cui nome non è stato tramandato) nella calzoleria e selleria della missione di Otélé in Camerun. Fotografia, 1961 (Stiftsarchiv Engelberg).
Il monaco dell'abbazia benedettina di Engelberg, Fridolin Geiger con un apprendista (il cui nome non è stato tramandato) nella calzoleria e selleria della missione di Otélé in Camerun. Fotografia, 1961 (Stiftsarchiv Engelberg). […]

La Missione Betlemme Immensee, l'organizzazione missionaria cattolica di maggiore rilievo nel XX secolo, fu fondata nel 1921. Alla sua presenza in Cina dal 1924 e nella Rhodesia del sud (Zimbabwe) dal 1939, affiancò quella in Giappone, negli Stati Uniti, a Taiwan e in Colombia. Nel 1950 nella Rhodesia del sud fu creata una diocesi diretta da Svizzeri, in cui lavorarono più di cento sacerdoti insieme a numerosi fratelli e sorelle, persone laiche, mediche e medici missionari svizzeri. Pubblicazioni nelle lingue africane e in particolare il giornale Moto divennero un'importante cassa di risonanza per le rivendicazioni politiche della popolazione autoctona.

Complessivamente, nel XIX e XX secolo furono ca. 1000 i religiosi svizzeri impegnati in attività missionarie in tutto il mondo. Numerosi fra loro partirono in missione per conto di ordini o congregazioni straniere, ad esempio i redentoristi, i salettini, i salvatoriani, gli spiritani, i missionari di Steyl e di Mariannhill o i Padri Bianchi (oggi Missionari d'Africa), tra l'altro nel contesto della loro missione in Ruanda. Con il sostegno dapprima dell'amministrazione coloniale tedesca e dal 1916 di quella belga vi crearono il sistema formativo e fecero del cattolicesimo la religione di Stato. Quando nel 1959 il missionario vallesano André Perraudin fu consacrato arcivescovo del Ruanda, pose fine al trattamento privilegiato della monarchia tutsi in linea con la politica coloniale belga. Sotto la sua guida, la Chiesa e le istituzioni educative cattoliche si allearono con gli emergenti nazionalisti hutu, contribuendo in modo significativo alla polarizzazione tra Hutu e Tutsi.

Nello stesso periodo, i membri del clero maschili furono affiancati da un numero analogo (un migliaio) di missionarie. Nel 1874 cinque benedettine del convento di Maria Rickenbach e nel 1882 due loro consorelle di Sarnen si recarono negli Stati Uniti per collaborare alla missione presso la popolazione nativa. Nel 1883 le suore di Menzingen assunsero un incarico missionario in Sudafrica, poi altri in Africa, Asia e America del sud. Nel 1888 sei cappuccine del convento di Maria Ausiliatrice di Altstätten partirono per l'Ecuador e la Colombia e alcune benedettine del Melchtal per gli Stati Uniti. Dal 1894 suore del convento di Ingenbohl evangelizzarono in India, negli Stati Uniti, in Lituania e Manciuria. Le domenicane del convento di Ilanz furono attive in Cina dal 1920 e in seguito anche in Brasile e nelle Filippine. Le suore del convento di Baldegg accompagnarono nel 1921 i cappuccini nell'Africa orientale britannica e poi si impegnarono in Papua Nuova Guinea e in Etiopia. Le suore di Sant'Anna di Lucerna avviarono dal 1927 un'attività missionaria, soprattutto in India; le suore di Heiligkreuz operarono in primo luogo in Manciuria (dal 1931), le orsoline di Briga in Sudafrica (dal 1934) e in India (dal 1953), e le benedettine di Sarnen dal 1938 estesero la propria attività al Camerun francese. Le religiose svizzere operarono anche all'interno di ordini stranieri, specialmente con le missionarie benedettine di Tutzing, le Suore Bianche (Missionarie di Nostra Signora d'Africa) e le suore di S. Giuseppe di Cluny. Suore furono impegnate anche nello Schweizerischer katholischer Verein für missionsärztliche Vorsorge (Solidarmed), fondato nel 1926, e nella sezione svizzera della Missions-Verkehrs-Arbeitsgemeinschaft (Miva), creata nel 1932.

I numerosi impulsi e appelli alla missione lanciati dai papi Benedetto XV e Pio XI, il boom di nuove associazioni missionarie e la diffusione di nuovi mezzi e nuove vie di comunicazione contribuirono al successo della «missione universale» cattolica nel periodo fra le due guerre mondiali. La Svizzera ebbe un ruolo di particolare rilievo in questo senso, poiché era uscita indenne dal conflitto ed era considerata estranea al colonialismo e politicamente neutrale. Roma riconobbe questo potenziale e cercò di porre le basi in Svizzera per la creazione di un movimento missionario cattolico internazionale. Affermatasi come nuovo centro intellettuale della Svizzera cattolica e polo della ricerca scientifica in ambito missionario, Friburgo, assurta al ruolo di «seconda Roma», era sede, a metà del XX secolo, di 25 società missionarie e nel 1921 ospitò il primo congresso accademico missionario cattolico sul piano internazionale. Ciò portò alla fondazione dello Schweizerischer Katholischer Akademischer Missionsbund e stimolò l'opera missionaria in Svizzera. Durante la seconda guerra mondiale le missioni svizzere ebbero un'importanza centrale: nei primi quattro anni di guerra un terzo di tutti i missionari cattolici inviati dall'Europa in Africa proveniva dalla Confederazione.

Le missioni protestanti

Le missioni protestanti ebbero origine verso la fine del XVIII secolo sull'onda del pietismo e del movimento del Risveglio. Fino ad allora le Chiese riformate avevano dimostrato scarso interesse per attività missionarie al di fuori dell'Europa. Facevano eccezione i Fratelli moravi, sotto la cui egida i primi missionari svizzeri si stabilirono attorno al 1750 nelle Antille, nella colonia olandese di Berbice (Guyana) e nel Suriname.

«Predica di strada di fronte a un capotribù» del missionario Fritz Ramseyer. Fotografia scattata tra il 1888 e il 1895 (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA D-30-15.004).
«Predica di strada di fronte a un capotribù» del missionario Fritz Ramseyer. Fotografia scattata tra il 1888 e il 1895 (Archiv Basler Mission, Basilea, BMA D-30-15.004). […]

Nel 1815 fu istituita la Missione di Basilea grazie alla collaborazione tra alcune famiglie agiate e influenti del patriziato cittadino locale e la Deutsche Christentumsgesellschaft di orientamento pietista. I primi uomini, che conclusero la loro formazione presso il seminario missionario di Basilea, lavoravano per società missionarie britanniche e olandesi, e in particolare per la Church Missionary Society. La Missione di Basilea si insediò presto al di fuori dell'Europa: dal 1828 nella Costa d'Oro (Ghana), dal 1834 nell'India sudoccidentale, dal 1847 nella Cina meridionale, dal 1885 nel Camerun, dal 1900 nel Sabah (Malaysia) e dagli anni 1920 nell'Indonesia. Inoltre, fu l'unica missione svizzera a dotarsi nel 1859 di una propria società commerciale, la Basler Handelsgesellschaft, che rimase sotto la sua direzione fino al 1917. Fu pure la prima società missionaria protestante in area germanofona ad avere, dal 1885, una missione medica fissa con medici con una formazione accademica.

A Basilea nel 1840 fu fondata anche la Missione pellegrina di S. Chrischona (Comunità di Chrischona), attiva in Palestina (dal 1846) ed Etiopia (dal 1856). Nel 1897 Héli Chatelain fondò nell'Africa occidentale portoghese (Angola) la Mission philafricaine, che si dedicò alla lotta contro la schiavitù interafricana. Numerose missioni protestanti erano intrecciate con il movimento antischiavista e concepivano la loro opera di evangelizzazione in Africa come riparazione per le devastazioni causate dal commercio transatlantico di persone schiavizzate. Malgrado questa posizione chiara assunta dalle direzioni delle missioni in Europa la questione della schiavitù nelle colonie africane portò fino all'inizio del XX secolo ad aspre contrapposizioni. Una parte di missionari e missionarie temeva che un divieto totale della schiavitù avrebbe portato a un declino delle comunità cristiane e a tumulti sociali.

Nei cantoni Vaud, Ginevra e Neuchâtel furono create dagli anni 1820 società missionarie di orientamento pietista, che inizialmente ebbero difficoltà ad affermarsi all'interno delle Chiese nazionali. Erano in stretti rapporti con la Société des missions évangéliques de Paris (SMEP), fondata nel 1822, che dagli anni 1820 impiegò in Africa i primi missionari della Svizzera romanda. Negli anni 1830 la missione di Losanna inviò un piccolo gruppo di missionari presso i Sioux nell'America del nord, prima che la formazione missionaria fosse interrotta nel 1839. Nel 1874 il sinodo, tenutosi a Yverdon, della Chiesa libera vodese (già presente nell'Africa meridionale dal 1871) istituì la Mission vaudoise. Quest'ultima estese il proprio territorio di cristianizzazione dal Lesotho all'Africa orientale portoghese (Mozambico) e ottenne il sostegno delle Chiese evangeliche libere di Ginevra e Neuchâtel.

Ridenominata Mission romande dal 1883 e più tardi Mission suisse dans l'Afrique du Sud (MSAS), la società finanziata dalle tre Chiese libere si stabilì verso la fine del XIX secolo nelle regioni settentrionali del Paese, dove costruì non solo edifici di culto, ma anche scuole e ospedali. A poco a poco creò una Chiesa locale, che nel 1962 si rese indipendente con il nome Tsonga Presbyterian Church. Nel 1963 la MSAS si unì al Département missionnaire des Eglises protestantes de la Suisse romande, una nuova società missionaria allargata. In Sudafrica la MSAS ebbe a lungo un atteggiamento ambivalente verso l'apartheid, malgrado la crescente pressione globale sul regime discriminatorio. Si mostrò divisa e non si espresse pubblicamente, anche quando il movimento antiapartheid finì al centro dell'attenzione delle Chiese svizzere.

Il movimento missionario protestante dipese in modo decisivo dall'impegno finanziario, organizzativo e morale di numerose donne di diversa estrazione sociale. Contrariamente alle suore missionarie cattoliche, fino a XIX secolo inoltrato il loro operato fu circoscritto alle regioni di origine delle missioni, dove erano attive in favore delle istituzioni sanitarie ed educative della missione interna e nella raccolta di donazioni per la missione esterna. Furono perlopiù le mogli dei missionari le prime riformate a recarsi nelle missioni extraeuropee, dato che la coppia e la famiglia cristiane erano al centro del progetto missionario protestante. Nelle colonie assumevano ampi compiti, che consentivano loro di ritagliarsi nuovi spazi di azione all'interno dell'ordinamento sociale patriarcale e che in parte potevano sfruttare per emanciparsi.

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Link

Suggerimento di citazione

Marita Haller-Dirr; Linda Ratschiller ; Linda Ratschiller: "Missioni", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 26.03.2024(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/011456/2024-03-26/, consultato il 07.02.2025.