Il termine imposte indica oggi le prestazioni in denaro che le persone fisiche o giuridiche devono fornire per coprire il fabbisogno finanziario degli enti pubblici: le imposte vengono riscosse senza poter pretendere una controprestazione diretta, ciò che le distingue dalle tasse (contributi legati a beni o servizi). Nell'ambito delle scienze finanziarie, il termine viene inteso in senso più ampio comprendendo anche tutti i trasferimenti obbligatori di risorse economiche a favore del settore pubblico non legati a una contropartita diretta, incluse quindi in particolare anche le tasse di incentivazione, il cui scopo primario non è contribuire alle entrate dello Stato, e le prestazioni in natura (per esempio il servizio militare). È possibile classificare i regimi fiscali sulla base di diversi criteri, ma le due distinzioni più diffuse riguardano la sovranità fiscale (nell'attuale struttura federalista della Svizzera si distinguono quindi le imposte comunali, cantonali e federali), e le modalità di riscossione (l'imposta diretta è personale, quella indiretta è impersonale). È inoltre possibile prendere in considerazione la fonte delle entrate fiscali (imposte sul consumo, imposta sul reddito, imposta sulla sostanza), le condizioni personali (imposte personali e sugli utili, rispettivamente imposte soggettive o reali) e la durata del prelievo (imposte permanenti, provvisorie, riscosse un'unica volta).
Medioevo ed epoca moderna
Aspetti fondamentali
Prima del 1800 la definizione odierna di imposte è applicabile solo con alcune restrizioni. Molti tributi che presentavano le caratteristiche di imposte, come la decima, paragonabile all'attuale imposta sul reddito, non venivano cosiderati come tali. Inoltre nel Medioevo e nell'età moderna le imposte non consistevano necessariamente nella riscossione di somme di denaro, anche se con la diffusione dell'economia monetaria si affermò sempre più tale tendenza. Le decime continuavano a essere fornite soprattutto in natura e in alcune regioni erano anche previste corvée obbligatorie a favore della collettività (tributi feudali). Nelle società per ceti le prestazioni fiscali di una persona erano commisurate al suo status politico e sociale, come attestato ad esempio dalla tassa sul salvacondotto per gli ebrei (imposta sugli ebrei) e dall'udel, la tassa che colpiva i borghesi esterni.
Le imposte dirette sul patrimonio, presenti nel territorio dell'attuale Svizzera fin dal tardo Medioevo, nel XVI e XVII secolo furono però abolite in quasi tutti i cantoni (ad eccezione di Sciaffusa e del principato vescovile di Basilea, che dipendeva dall'Impero), dato che per coprire le spese pubbliche erano sufficienti gli introiti delle imposte indirette e le pensioni versate dagli Stati esteri per il servizio mercenario. Le spese militari, che negli altri Stati europei provocarono un forte aumento del carico fiscale, nei cantoni confederati furono invece particolarmente ridotte: in determinati periodi assunsero una certa rilevanza solo i costi generati dalla costruzione di fortificazioni cittadine (a Zurigo, Berna, Ginevra). Grazie agli avanzi di bilancio (finanze pubbliche), le autorità disponevano di notevoli margini di manovra finanziari. Nonostante tentativi di uniformare e semplificare il sistema tributario, fino al 1798 perdurarono molti privilegi legati al luogo o al ceto e si mantenne una certa autonomia locale in ambito fiscale. Anche nei territori soggetti i comuni avevano il diritto di prelevare delle imposte per assolvere i compiti pubblici (assistenza agli indigenti, costruzione di strade); lo stesso valeva per i monasteri, che nei territori cattolici beneficiavano della maggior parte delle decime. Fino alla Repubblica elvetica non furono mai riscosse imposte sul piano confederato. Nonostante l'appartenenza formale all'Impero, nel 1495 tutti i cantoni confederati rifiutarono di riscuotere il denaro comune e da allora non versarono più alcun tributo all'Impero.
Sviluppi strutturali
Diversamente dai periodi successivi, nel Medioevo le imposte non erano determinanti per l'equilibrio delle finanze pubbliche: i governanti finanziavano le loro spese (pubbliche) soprattutto con i proventi delle tenute signorili; solo le città ricorrevano prevalentemente a imposte indirette (sul commercio e sul consumo). Le imposte dirette erano limitate nel tempo, almeno in teoria, e venivano riscosse per far fronte a spese impreviste o eccezionali (come guerre, acquisizione di territori, costruzione di fortificazioni, ammortamento di debiti). Il Vallese non prelevava alcuna imposta nelle decanie, ma copriva le sue modeste spese con entrate provenienti dalle pensioni e dai tributi riscossi nei baliaggi.
Dopo la Riforma e la secolarizzazione dei beni ecclesiastici, la decima, in quanto imposta reale diretta (colpiva il possesso di un bene e non la persona) divenne un'importante fonte di introiti per i cantoni riformati. Con questi mezzi lo Stato doveva però ora finanziare i compiti che in precedenza erano a carico delle istituzioni ecclesiastiche (culto, scuola, assistenza pubblica). Tuttavia anche nelle regioni riformate la pressione fiscale pro capite risultava in generale in città più forte che in campagna. Nell'età moderna le imposte nel complesso diminuirono, anche se alcuni rami dell'economia urbana protoindustriale dovettero sopportare un carico fiscale crescente. Alla fine dell'ancien régime, nel territorio dell'odierna Svizzera il carico fiscale pro capite risultava sensibilmente più basso che nel resto dell'Europa.
La fiscalità era spesso motivo di disordini e rivolte, dove alla richiesta di revocare o ridurre determinate imposte si affiancavano ulteriori rivendicazioni (maggiore partecipazione della pop. di campagna al processo decisionale, ritorno a un precedente modello idealizzato di società), come avvenne, per esempio, nella guerra del Rappen a Basilea (1591) o durante la guerra dei contadini (1653). Da sempre i pensatori politici si interrogano sull'equità dei diversi sistemi fiscali: in epoca moderna, mentre i cameralisti sostenevano la necessità di imposte sui consumi e sulle transazioni (imposte indirette), i fautori del diritto naturale ritenevano più equo un sistema fiscale basato sulla tassazione dei redditi e dei patrimoni personali (imposte dirette).
Imposte dirette
Durante il Medioevo e l'epoca moderna non esistevano imposte sul reddito nel senso attuale. Legate a uno scopo particolare e riscosse per un periodo limitato, le imposte dirette generalmente colpivano il patrimonio dei cittadini e dei sudditi. Il testatico (o capitazione) costituiva un'eccezione, ma talvolta sostituiva l'imposta sul patrimonio nel caso di contribuenti che non disponevano di una sostanza sufficiente. Nel Medioevo le imposte dirette erano considerate alla stregua dei "consigli e aiuti" dovuti al signore, che in cambio garantiva la sua protezione. Questa concezione fu all'origine del diritto di approvazione delle imposte che detenevano le assemblee degli Stati nel Paese di Vaud e nel principato vescovile di Basilea, rispettivamente la consuetudine di alcune città di effettuare consultazioni popolari nei territori soggetti, prima che i Consigli prendessero decisioni sull'imposizione di tributi. Tuttavia già dal XV secolo in alcune regioni vennero istituite imposte senza che i sudditi fossero stati consultati; nella seconda metà del XVII secolo questo metodo autoritario si impose ovunque. In quell'epoca, diversamente che dal resto dell'Europa, la maggioranza dei cantoni confederati aveva già abolito le imposte sul patrimonio; solo alcune città, come Sciaffusa o San Gallo, le riscuotevano ancora regolarmente. In questi casi l'imposta dovuta era calcolata sulla base di una dichiarazione giurata sulla consistenza del patrimonio, una procedura diffusa già nel tardo Medioevo, e applicando aliquote degressive relativamente basse (meno dell'1‰ a Sciaffusa tra il 1517 e il 1687, più alta a San Gallo). L'imposta diretta prelevata da Lucerna tra il 1691 e il 1702, per finanziare il riarmo in vista della seconda guerra di Villmergen, consisteva in un tributo che colpiva il reddito della sostanza, ispirata ai principi cameralistici. Un caso particolare di imposta sulla sostanza è rappresentato dal diritto di migrazione, che colpiva il patrimonio trasferito all'estero in seguito a emigrazione o eredità.
Tra le imposte dirette va annoverata anche la decima. In origine riscossa sul reddito netto della produzione agricola (specialmente di cereali) e destinata a coprire le spese locali per le infrastrutture ecclesiastiche e l'assistenza ai poveri, si trasformò in seguito in un'imposta reale sul reddito, elemento importante della signoria fondiaria. Oltre alle istituzioni religiose, sempre più spesso beneficiarono della decima anche esponenti della nobiltà locale e nelle regioni riformate anche lo Stato, in seguito alla secolarizzazione dei conventi e dei beni ecclesiastici. Dato che nell'area alpina e prealpina il riscatto di gran parte delle decime era già avvenuto nel tardo Medioevo, questo tipo di tributo rimase significativo soltanto nell'Altopiano.
Imposte indirette
Le imposte indirette (accise) colpiscono i consumi e i traffici, cioè le transazioni commerciali. Nel Medioevo e nell'età moderna non sono distinguibili con chiarezza dai dazi doganali (dogane). Applicate a quasi tutte le merci vendute nei mercati, tali imposte erano particolarmente alte nel caso delle bevande alcoliche (gabella). L'imposta sul sale non veniva più prelevata al momento della vendita, quando si trattava di un monopolio delle autorità. La realtà storica non permette quindi di operare una netta distinzione concettuale tra regalie e imposte indirette. È pure difficile tracciare una distinzione tra le tasse e i contributi forniti come contropartita di uno specifico servizio, come il salvacondotto, che garantiva la protezione del signore, il forletto (Fuhrleite) per la manutenzione di strade e sentieri oppure il dazio di mercato, che dava il diritto di vendere sul mercato locale.
In origine le imposte indirette erano soprattutto strumenti della politica fiscale delle città, ma con lo sviluppo della signoria territoriale furono introdotte progressivamente anche nelle campagne. Nell'epoca moderna divennero sempre più importanti per finanziare gli apparati statali e dal XVI secolo grazie anche alla loro flessibilità garantirono introiti regolari, benché legati alla congiuntura, soprattutto ai cantoni urbani attivi nel commercio. Mentre le monarchie europee privilegiavano le imposte indirette perchè permettevano di aggirare la procedura di concertazione con le Assemblee degli Stati, nella vecchia Confederazione queste erano sostenute soprattutto dai facoltosi ceti dirigenti, che cercavano di ostacolare l'introduzione di imposte dirette che avrebbero colpito i loro patrimoni. Secondo la dottrina cameralistica le imposte indirette inducevano inoltre lo Stato a promuovere le attività protoindustriali e commerciali, dato che gli introiti erano proporzionali al livello di sviluppo economico. Oltre agli obiettivi fiscali, le imposte indirette servivano anche a indirizzare i consumi, dato che erano tassati più pesantemente alcuni beni ritenuti dannosi dalle autorità (come articoli di lusso o alcol).
XIX e XX secolo
Dalla Repubblica elvetica al 1848
La Repubblica elvetica nel 1798 elaborò il primo e unico sistema fiscale centralistico che la Svizzera ha conosciuto. I numerosi tributi feudali tradizionali furono sostituiti da un sistema di imposte dirette e indirette. Le nuove imposte dirette, come l'imposta sul capitale o sugli immobili, si basavano su patrimonio e capacità economica del contribuente e non sulla semplice proprietà terriera. La Repubblica elvetica riuscì a tassare i settori della produzione industriale e delle transazioni monetarie su vasta scala: le attività economiche furono soggette a un'imposta sul fatturato per i commercianti e a un'imposta sugli utili per fabbricanti e banchieri. Il reddito invece non venne tassato. Per compensare le perdite dovute all'abolizione dei tributi feudali e per finanziare le spese supplementari legate alla guerra, entro il 1803 furono istituite quattro imposte di guerra, che però unitamente alla revisione della legge tributaria del 1800 non furono comunque sufficienti a coprire il fabbisogno, non da ultimo per disfunzioni amministrative.
Nel periodo della Mediazione i cantoni riacquistarono la loro sovranità in materia fiscale e reintrodussero i rispettivi sistemi tributari e una parte dei tributi feudali precedentemente aboliti. Le entrate della Confederazione in questo periodo erano costituite soprattutto da contributi finanziari versati dai cantoni e dai dazi di importazione.
Neppure il Patto federale del 1815 contemplò la riscossione di imposte sul piano federale. Da allora la cassa federale di guerra venne alimentata specialmente da redditi da capitale e dazi sulle importazioni, mentre i cantoni, oltre alle entrate delle regalie, percepivano soprattutto imposte indirette sul consumo, dazi doganali e pedaggi. In seguito all'aumento dei compiti dello Stato, durante la Rigenerazione crebbe anche il fabbisogno finanziario dei cantoni, che istituirono soprattutto imposte sul patrimonio. Nel 1840 Basilea Città introdusse per la prima volta imposte progressive sul reddito.
Le imposte nello Stato federale del XIX secolo
Fino alla metà del XIX secolo, conformemente alla dottrina liberale, le imposte avevano quasi esclusivamente lo scopo di finanziare i compiti dello Stato. Con un tasso delle aliquote uniforme o tutt'al più leggermente progressivo si teneva conto del principio di commisurare l'importo dovuto alla capacità economica del contribuente. In tal modo lo Stato richiedeva a ogni cittadino un contributo uguale, proporzionalmente alle sue entrate. Di fronte alle grandi disparità di reddito e patrimonio tra ricchi e poveri, si diffuse sempre più l'idea che la fiscalità dovesse perseguire anche obiettivi di politica sociale come la ridistribuzione della ricchezza. Le contrapposizioni politiche in materia fiscale, oltre a svilupparsi lungo questa linea conflittuale, rimasero pure caratterizzate dal contrasto tra federalismo e centralismo.
La Costituzione federale del 1848 lasciò ai cantoni la tassazione delle persone fisiche, ma trasferì alla Confederazione, oltre alla regalia delle poste e delle polveri, anche i dazi doganali. Privati di una parte delle imposte indirette, i cantoni fecero sempre più ricorso alle imposte dirette, che nel 1886 rappresentavano quasi il 50% delle entrate fiscali, rispetto al 30% del 1856. Si trattava in primo luogo di imposte sul patrimonio: ancora all'inizio del XX secolo i cantoni di Svitto, Nidvaldo, Glarona, Appenzello Interno e Ginevra tassavano la sostanza, ma non il reddito. Nella maggior parte degli altri la sostanza e il reddito da attività lucrativa venivano tassati separatamente; l'accertamento del reddito globale era spesso approssimativo.
Dalla fine del XIX secolo Basilea Campagna e Soletta introdussero un'imposta progressiva sul reddito totale sul modello di Basilea Città, ma in altri cantoni l'esempio fu seguito solo durante o dopo la prima guerra mondiale. La maggioranza dei cantoni istituì inoltre imposte sulle successioni ereditarie, sulle donazioni, sui cani e in alcuni casi anche sui trasferimenti di immobili e capitali (imposte sul passaggio di proprietà, imposte sui titoli azionari, tassa di bollo) e sui consumi (gabella fino all'introduzione della Regia federale sugli alcool nel 1887, imposte sul tabacco, imposta sul lusso, quota dei cantoni sui dazi doganali). Ancora all'inizio del XX secolo la legislazione fiscale di numerosi cantoni contemplava anche un'imposta personale (testatico), che colpiva tutti gli abitanti o solo coloro che detenevano i diritti politici (Zurigo, Uri, Svitto, Obvaldo, Nidvaldo, Glarona, Zugo, Sciaffusa, Appenzello Esterno, San Gallo, Grigioni, Argovia, Turgovia).
La tassa di esenzione dal servizio militare, introdotta nel 1878 dopo due tentativi falliti, fu la prima imposta federale diretta, anche se la metà degli introiti era attribuita ai cantoni. La principale fonte di entrate per la Confederazione era comunque sempre rappresentata dalle dogane, che fino alla prima guerra mondiale fornivano più dell'80% degli introiti. Intorno al 1900 il gettito complessivo della Confederazione superò per la prima volta quello dei cantoni. Anche nel XIX secolo in Svizzera il carico fiscale pro capite risultava nettamente inferiore alla media europea.
Il periodo delle due guerre
Durante la prima guerra mondiale il rapido e massiccio aumento del fabbisogno finanziario della Confederazione rese necessaria l'istituzione di un'imposta federale diretta sulle persone fisiche e giuridiche. Nel 1915 il popolo approvò l'introduzione della prima imposta di guerra, che colpiva la sostanza e gli utili e venne esatta a partire dal 1916/1917; il 20% del gettito era destinato ai cantoni per le coprire le spese di riscossione. Da allora fu avviata una riforma del sistema fiscale svizzero, ma si scontrò con riserve di natura federalista, che fino a oggi hanno impedito di ancorare alla Costituzione federale il principio secondo cui la Confederazione ha la facoltà di prelevare imposte federali dirette a tempo indeterminato. Nel 1919 venne accettata dagli elettori una seconda imposta di guerra, prelevata dal 1921 al 1932. Al successivo contributo di crisi, deciso nel 1933 e riscosso dal 1934 al 1940, seguì il decreto governativo che alla fine del 1940 portò all'introduzione dell'imposta per la difesa nazionale, in vigore dal 1941.
Per coprire i costi della mobilitazione nel 1916 venne inoltre introdotta un'imposta sui profitti di guerra, riscossa dal 1915 (retroattivamente) al 1920. Nel 1918 la competenza di tassare le transazioni finanziarie passò dai cantoni alla Confederazione, che da allora può percepire tasse di bollo.
Dopo la prima guerra mondiale la politica fiscale fu oggetto di accesi dibattiti. Da un lato specialmente le cerchie liberali e federaliste della Svizzera francese manifestavano scetticismo di fronte al peso crescente dello Stato federale, dall'altro la sinistra avanzava richieste volte a ottenere una maggiore ridistribuzione della ricchezza. L'iniziativa del partito socialista per l'introduzione di un'imposta federale diretta fu respinta di misura nel 1918, mentre quella "per la riscossione una volta tanto di un prelevamento sul patrimonio" fu bocciata nettamente nel 1922. La crisi economica e la scadenza dell'autorizzazione per riscuotere l'imposta di guerra straordinaria rese necessaria l'elaborazione del programma finanziario della Confederazione del 1933, che prevedeva non solo nuove imposte sul consumo di tabacco e, nel 1934, di alcune bevande (in particolare la birra), ma anche un contributo di crisi che colpiva la sostanza e il reddito da capitale in misura maggiore rispetto all'imposta di guerra precedente.
Durante il secondo conflitto mondiale la Confederazione fu costretta a trovare nuove risorse: a due riprese (1940 e 1942) fu prelevata un'imposta sul patrimonio, il cosiddetto sacrificio per la difesa nazionale. L'imposta di crisi nel 1940 fu inoltre sostituita da un'imposta diretta e progressiva, che gravava sia sul reddito sia sulla sostanza, l'imposta per la difesa nazionale. Nel 1941 venne istituita anche l'imposta sulla cifra d'affari (ICA), prelevata sui consumi ma non sulle derrate alimentari di base per non penalizzare troppo le categorie di reddito inferiori. Unitamente ai dazi doganali, l'ICA divenne ben presto la principale fonte di entrate per la Confederazione.
Il secondo dopoguerra
Nel corso del XX secolo, la Confederazione beneficiò di una quota crescente delle entrate fiscali complessive: mentre nel 1900 ciascun livello dello Stato riceveva ca. un terzo del totale delle imposte, nel 2000 la Confederazione beneficiava infatti di quasi la metà del totale del gettito fiscale, ai cantoni spettava ca. il 30% e ai comuni il 25%. Dopo la seconda guerra mondiale l'innovazione più importante nel sistema fiscale svizzero fu l'introduzione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) nel 1995, in sostituzione dell'ICA. Questa nuova imposta sui consumi, estesa anche ai servizi, era stata precedentemente respinta per tre volte in votazione popolare.
Un progetto molto controverso di amnistia fiscale, che si proponeva di diminuire l'evasione fiscale, venne approvato nel 1968 e realizzato nel 1969 dopo una precedente bocciatura popolare nel 1964. Nel 1971 fu adottato un nuovo articolo costituzionale che imponeva di compensare periodicamente gli effetti della progressione a freddo. Dagli anni 1970 il dibattito politico si sofferma regolarmente sullo strumento delle tasse di incentivazione. Istituite nel 1993 nell'ambito della revisione della legge sull'ambiente, le tasse di incentivazione non assumono tuttavia un carattere fiscale, dato che devono essere restituite alla popolazione. Un'iniziativa con obiettivi analoghi, che chiedeva di tassare l'energia per finanziare l'AVS, è stata respinta in votazione nel 2001, come pure l'iniziativa per l'introduzione di un'imposta sugli utili da capitale.
Il federalismo fiscale e l'autonomia cantonale che ne deriva rimasero anche nel XX secolo caratteristiche del sistema fiscale svizzero; ogni tentativo di strutturare in modo più razionale il sistema fiscale fu soffocato sul nascere. Al contrario, la mobilità dei capitali e della popolazione produsse un aumento della concorrenza fiscale tra i cantoni. Grazie all'abolizione delle imposte cantonali di successione (dagli anni 1980) e in particolare ad aliquote attrattive (privilegi di domicilio), alcuni cantoni si sono tramutati in "paradisi fiscali" (Zugo, Svitto, Nidvaldo). Le disparità nella pressione fiscale sono aumentate: nel 2004 l'indice totale del carico fiscale nel canton Zugo ammontava soltanto a un terzo di quello vigente in altri cantoni come Giura, Obvaldo, Uri. Tale evoluzione e la crescente complessità del diritto fiscale hanno portato non solo all'istituzione e allo sviluppo della perequazione finanziaria (prevista nella Costituzione federale dal 1959 e oggetto di un'ampia revisione nel 2004), ma anche a continui sforzi per una semplificazione e un'armonizzazione formale dei sistemi fiscali svizzeri, come prescritto da un articolo costituzionale adottato nel 1977. Le forze di sinistra rivendicano inoltre anche un'armonizzazione materiale.
Anche all'inizio del XXI secolo, la Svizzera presenta un onere fiscale (22,4% del prodotto interno lordo nel 2001) nettamente inferiore a quello della maggior parte degli Stati dell'OCSE; la quota-parte fiscale, che comprende anche i contributi per le assicurazioni sociali, era del 30,1%, contro una media dei Paesi dell'OCSE del 36,9%. Nonostante l'aumento dell'IVA deciso nel 1999, il carico fiscale relativamente basso dipende soprattutto dalle aliquote ridotte delle imposte indirette.
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