Lavori dei campi nel XVI secolo sull'Altopiano, disegno tratto dalla Schweizer Chronik di Christoph Silberysen,1576 (Aargauer Kantonsbibliothek, Aarau, MsWettF 16: 1, p. 454; e-codices).
[…]
Fino al XIX sec. l'agricoltura, sia per numero di persone occupate, oltre l'80% (Contadini), sia per quota-parte del prodotto nazionale lordo, è stata l'attività economica di gran lunga più importante; questo settore ha inoltre avuto un influsso decisivo sulla Società rurale. Fattori rilevanti per l'agricoltura, che in Svizzera poteva assumere forme molto variegate data la relativa esiguità degli spazi geografici, furono i presupposti legati alle condizioni naturali (Clima), allo sviluppo demografico e all'Ordinamento agrario.
Sembra che in Svizzera i processi di sviluppo dell'economia neolitica (Neolitico), di cui l'agricoltura è una componente essenziale ma non l'unica, abbiano preso avvio verso il 5500 a.C. L'eterogeneità dei reperti archeologici non consente di proporre un modello che ripercorra la transizione dalle società degli ultimi cacciatori (stadio della predazione) a quelle dei primi agricoltori neolitici (stadio della produzione agropastorale); sembra assodata unicamente la coesistenza dei due gruppi in Boschi primari di latifoglie ancora poco modificati dall'azione antropica. Nelle regioni di Basilea e di Zurigo i dissodamenti, le colture alimentari (Farro, Farro piccolo, pisello) e quelle tessili del lino e del papavero sono attestati dal Neolitico antico; sembra che in Vallese e nel Ticino si sia affermata rapidamente una forma evoluta di economia neolitica. Nei siti del Neolitico antico la Campicoltura, l'Allevamento e la fabbricazione di utensili di pietra levigata, di ceramica e mole sono pratiche direttamente connesse.
Dal Neolitico medio (4900-3200 a.C. ca.), con la nascita dei Villaggi lacustri, l'occupazione e lo sfruttamento dei terreni si intensificarono gradualmente, in parallelo alla crescita demografica. I campi erano probabilmente sfruttati per qualche anno di seguito, con una successione di colture diverse (nell'Altopiano prevaleva il Frumento), alternate a Maggese per periodi prolungati. I terreni incolti si trasformavano rapidamente in boschi secondari di noccioli o di betulle, che fornivano con facilità legname da opera, legna da ardere e prodotti commestibili quali nocciole e mele (Economia di raccolta). Questo sistema agrario, ben adattato alla formazione boschiva ancora predominante (faggeto-abetaia), permetteva una buona rigenerazione del suolo; i dissodamenti, compiuti via via in base alle necessità (probabilmente con il fuoco), erano ancora modesti. Nel Neolitico recente e finale (3200-2200 a.C. ca.) la loro proporzione aumentò; la durata dei maggesi si ridusse, aree più vaste vennero sfruttate nei pressi dei villaggi. L'intensificazione delle pratiche agricole fu contemporanea allo sviluppo demografico ipotizzato per quel periodo.
Nel corso dell'età del Bronzo (dal 2200 al 750-700 a.C.) gli interventi sul paesaggio acquisirono forma compiuta: nel Bronzo finale il paesaggio dell'Altopiano, per esempio nei pressi del lago di Costanza, era già simile a quello medievale, con prati e campi accanto a boschi sfruttati in modo razionale. Nel Giura le prime tracce di dissodamenti risalgono al Bronzo medio e finale. L'Orzo divenne il cereale più diffuso, seguito dalla Spelta; comparve il Miglio e aumentò l'importanza delle Leguminose (fava, lenticchia, pisello). Oltre a coltivare ancora il lino e il papavero, si introdusse la camelina. L'elevato numero di piante tipiche di prati e pascoli induce a pensare che questi biotopi siano aumentati almeno a partire dal Bronzo finale. Nelle vallate alpine, durante l'età del Bronzo l'impatto antropico in prossimità del limite del bosco si fece più accentuato; nulla si sa, tuttavia, sull'estivazione del bestiame praticata prima del ME. Durante tutta l'età del Bronzo, il sistema di sfruttamento del territorio era del tipo agropastorale con colture avvicendate e brevi maggesi intercalari, usati probabilmente come pascoli. Il terreno era lavorato con aratri semplici a trazione bovina, come mostrano le incisioni rupestri della val Camonica. Da allora le colture estive (miglio, leguminose) e invernali (spelta) sono ben documentate; le seconde maturavano precocemente e avevano un rendimento superiore.
Il passaggio dall'età del Bronzo all'età del Ferro (cultura di Hallstatt, cultura di La Tène) si svolse verso l'800-750 a.C. e coincise con una fase di peggioramento climatico distribuita su un centinaio di anni. Nell'età del Ferro (fin verso il 50 a.C.) i dissodamenti si fecero più intensi; lo sviluppo della quercia e del faggio dipese probabilmente dal loro sfruttamento per la raccolta di ghiande e faggiole, mentre il carpino, nuovo venuto, forniva il legno necessario alla metallurgia. La gamma delle piante coltivate non cambiò molto rispetto all'età del Bronzo, se si eccettua la comparsa dell'Avena. Le principali innovazioni vanno ricercate nell'ambito delle tecniche agricole, perché l'artigianato del ferro consentì di diversificare in misura maggiore gli attrezzi. Gli aratri semplici vennero perfezionati; la rotazione agraria con brevi maggesi intercalari risulta sempre presente, e sembra provato anche l'impiego del concime. Quanto alle superfici erbose, si passò da una gestione estensiva di pascoli boscati allo sfalcio di prati utilizzati anche come pascoli; la fienagione si può mettere in rapporto con la comparsa della stabulazione in case-stalle. Sappiamo che gli Elvezi esportavano non solo formaggi e bestiame ma anche cereali, un dato che attesta che la loro non era più un'agricoltura di sola sussistenza.
In epoca romana (50 a.C.-400 d.C.) le principali innovazioni furono la comparsa simultanea di piantagioni di noce e di Castagno, la coltivazione della canapa e della Segale (ancora rara) e probabilmente di vigne (Viticoltura). A parte l'estensione dei campi coltivati, dei prati e dei pascoli boscati, fra età del Ferro ed epoca romana non si osserva alcuna vera frattura nello sviluppo della vegetazione, il che si traduce, verosimilmente, in una permanenza delle pratiche agropastorali. Sull'Altopiano il cereale più diffuso era la spelta. Le colture di piante tessili e oleaginose erano diversificate (lino, canapa, papavero, camelina). Leguminose, spezie, piante officinali e alberi fruttiferi, cui si era aggiunto anche il pesco, erano coltivati in orti, campi o frutteti vicini agli abitati (Villa romana). Un cambiamento significativo nell'evoluzione della coltre vegetale non compare prima dell'anno Mille, il che corrobora l'ipotesi di una continuità fra epoca romana e alto ME.
Medioevo
Autrice/Autore:
Martin Leonhard
Traduzione:
Orazio Martinetti
Per quanto riguarda l'agricoltura altomedievale, sono ancora molte le questioni aperte, dal momento che le fonti scritte contengono solo pochi riferimenti alle attività agricole (registrate in modo sommario dalla Signoria fondiaria) e che le ricerche archeologiche condotte nelle regioni rurali hanno finora dato solo scarsi risultati. Tracce della formazione di insediamenti rurali nell'ambito delle precedenti villae romane sono presenti in molti siti (ad esempio a Munzach, Dietikon, Vicques). È opinione comune che in quest'epoca l'allevamento fosse più importante che nel basso ME - come attesta la terminologia differenziata presente nelle fonti giur. per il bue domestico e il maiale -, e che non vi fossero pascoli specifici (Schweighöfe) ma aziende ad economia mista, nei cui pressi si praticava una campicoltura organizzata individualmente e di tipo estensivo. Che nel basso ME ad organizzare l'agricoltura secondo il sistema dell'Economia curtense fossero soprattutto i signori ecclesiastici, si può desumere in parte dai pochi documenti coevi rimasti (per esempio quelli dell'abbazia di San Gallo), in parte da reperti risalenti all'alto e al tardo ME.
Dal IX al XII sec. la crescita demografica determinò un aumento delle terre coltivate. Non risulta ancora chiaro se l'allevamento abbia tenuto il passo con questa evoluzione, se si sia cioè sviluppato in eguale misura: gli studiosi hanno espresso pareri divergenti sulla questione, non da ultimo a causa dell'estrema scarsità di fonti. I Dissodamenti raggiunsero la massima estensione nel basso ME, in particolare nel XII e XIII sec.: per poter nutrire la pop. in crescita, sull'Altopiano sviz. venne intensificata la Cerealicoltura, da un lato trasformando i pascoli in coltivi e riducendo il bestiame minuto come capre o pecore, dall'altro sfruttando meglio i terreni così ottenuti attraverso il passaggio alla rotazione triennale organizzata sul piano com. (Villaggio, Avvicendamento delle colture). Nonostante miglioramenti tecnologici quali l'introduzione dell'Aratro pesante (munito di versoio), regioni con suoli difficili da un punto di vista agronomico come le fasce alpine e prealpine situate in altitudine non furono toccate da questo sviluppo. Qui, soprattutto nell'area prealpina settentrionale, a partire dal XIV sec. l'agricoltura si specializzò sempre di più nell'allevamento del bestiame. Questa evoluzione fu promossa, almeno in alcune regioni della Svizzera centrale, da nuovi gruppi dirigenti dediti all'allevamento, che si orientavano in misura sempre maggiore verso la domanda dei mercati cittadini, soprattutto dell'Italia del nord (Commercio di bestiame). La specializzazione all'interno dell'agricoltura tardomedievale spinse i produttori rurali a orientarsi maggiormente ai mercati, non solo per lo smercio, ma anche per soddisfare le proprie necessità (Mercato agricolo), e favorì una regionalizzazione agraria più o meno estesa, così come poteva configurarsi nelle zone circostanti San Gallo, con il Rheintal sangallese (viticoltura), la campagna appenzellese (allevamento) e l'Altopiano orientale (cerealicoltura). Questi sviluppi portarono alla nascita di Zone agrarie che producevano secondo i principi della divisione del lavoro.
Il fiorente sviluppo delle città ebbe un forte influsso su questa evoluzione dell'agricoltura al più tardi dal XIII sec. Anche se l'Economia di sussistenza rimaneva predominante, contadini appartenenti a un ceto rurale superiore cominciarono a vendere le eccedenze nei Mercati delle città. Investimenti mirati di cittadini fecero nascere tutt'intorno ai centri urbani una fascia di colture speciali in cui si producevano prodotti facilmente smerciabili come vino, carne, legumi, frutta, lino, canapa e piante tintorie (relazioni tra Città e campagna). Tale dinamica dell'agricoltura fu favorita anche dai processi riassumibili sotto il concetto di Crisi del tardo Medioevo, che comprende, ad esempio, i mutamenti delle strutture della proprietà causati dallo sviluppo demografico, le diverse oscillazioni dei prezzi dei prodotti agricoli e il riassetto delle dipendenze e delle relazioni.
Epoca moderna
Autrice/Autore:
Albert Schnyder
Traduzione:
Orazio Martinetti
Il settore agricolo rimase di gran lunga il ramo economico più importante del Paese per tutta la fase iniziale dell'epoca moderna anche dopo l'avvio della Protoindustrializzazione, avvenuto alla fine del XVI sec. Benché manchino dati statistici esaurienti, questo fenomeno si può riscontrare in tutti i principali aspetti economici: disponibilità di capitale, investimenti, quantità e valore della produzione, e infine numero di occupati del settore. La stragrande maggioranza della pop. lavorava per e nel settore agricolo, basato fino al XIX sec. perlopiù sulle risorse disponibili sul piano regionale.
Il settore agricolo alimentò pertanto in misura considerevole le finanze pubbliche. Soprattutto nella cosiddetta "fascia cerealicola", in cui vigevano la rotazione triennale e i Tributi feudali, l'agricoltura era fortemente coinvolta nelle relazioni di dominio fra le autorità cittadine e i sudditi delle campagne. Nella cosiddetta "fascia pastorale" (Hirtenland) e in alcune zone elevate dell'Altopiano (per esempio l'Oberland zurighese), le relazioni economico-sociali e padronali erano più elastiche e meno strette.
Nelle società agrarie della prima epoca moderna rivestivano grande importanza anche i sistemi giur. e normativi com., molto diversi da una zona agricola all'altra. A questa sfera appartenevano l'organizzazione dell'andamento quotidiano della produzione agricola, in particolare gli accordi nel campo dell'uso collettivo, la regolamentazione dell'accesso ai beni comuni, l'amministrazione del trasferimento delle merci nel quadro dell'autogestione com. ma anche la politica dei diritti di cittadinanza, la politica interna di approvvigionamento e le modalità di comportamento in caso di contrasti sociali all'interno dei com. Il tutto si svolgeva in una società essenzialmente basata su disuguaglianze di tipo giur., politico e sociale.
Descrizione dei 12 mesi e dei lavori agricoli che li caratterizzano, incisa nel 1663 daConrad Meyer (Zentralbibliothek Zürich, Graphische Sammlung und Fotoarchiv).
[…]
Se si eccettuano le regioni dedite alla pastorizia, fortemente orientate all'esportazione, in Svizzera la produzione agricola dell'inizio dell'epoca moderna era in primo luogo tesa a soddisfare le necessità della pop. locale e solo marginalmente indirizzata ai mercati regionali e ancora meno a quelli sovraregionali. La produzione destinata ai mercati agricoli era inoltre prerogativa di una minoranza economica elitaria costituita da produttori rurali. Furono principalmente i grossi contadini a trarre profitto da alte congiunture nel settore agricolo, come quella che si verificò durante la guerra dei Trent'anni (esportazioni nelle regioni belligeranti della Germania meridionale). Gli ab. delle regioni rurali partecipavano perlopiù solo marginalmente, ad esempio in qualità di piccoli commercianti, al mercato agricolo regionale e continuavano a dipendere per la loro sussistenza (generi alimentari e introiti) dall'élite dei produttori rurali. Mentre per i ceti rurali superiori l'obiettivo dell'autoapprovvigionamento economico-fam. si coniugava con un interesse per il mercato, per la maggior parte della pop. rurale (ceti medi e inferiori) il conseguimento della sussistenza si fondava sulla combinazione della propria (scarsa) produzione agricola con un reddito integrativo di vario tipo proveniente dal piccolo commercio, da lavori temporanei risp. a giornata di donne e uomini nel settore artigianale o agricolo (Giornalieri).
Il notevole aumento della pop. (raddoppiata fra 1500 e il 1700 e triplicata prima del 1800), superiore alla media europea, costituì per l'agricoltura una grande sfida. Agli inizi dell'epoca moderna vennero dissodate nuove terre e i coltivi esistenti vennero sfruttati in modo intensivo. Già verso la fine del XVI sec. nei villaggi della fascia meridionale dell'Altopiano l'avvicendamento delle colture venne completato e in parte soppiantato da colture foraggere. Manifestazioni tipiche di questa intensificazione furono, nella seconda metà del XVI sec., i crescenti Conflitti sullo sfruttamento di beni. Per quanto in molte regioni agricole la produzione cerealicola riuscisse a tenere il passo con la crescita demografica (fra il 1500 e il 1700 le decime provenienti dalla cerealicoltura lucernese triplicarono), le regioni dedite prevalentemente all'allevamento o alle prese con la protoindustria dovevano far capo all'importazione di granaglie provenienti, ad esempio, dalla Germania meridionale o dal Piemonte. Altre conseguenze del forte incremento demografico furono le continue Parcellazioni, che comportarono un aumento della pop. agricola diseredata (Tauner), ripetute Carestie, impoverimento, un rialzo del prezzo dei terreni e un crescente Indebitamento agricolo.
Agli inizi dell'epoca moderna in Svizzera, a differenza che in altre parti dell'Europa dove predominava la grande proprietà terriera, l'agricoltura continuava a fondarsi sulle Aziende familiari. Nel corso del XVIII sec., con la diffusione del Lavoro a domicilio vennero a crearsi nuove possibilità di guadagno, a vantaggio soprattutto delle fam. dei ceti rurali inferiori. In particolare la combinazione di piccole unità produttive con l'industria domestica permetteva di utilizzare tutta la forza-lavoro disponibile nelle fam., offrendo nuove possibilità di sussistenza.
Tavola tratta dall'Encyclopédie ou Dictionnaire universel raisonné des connoissances humaines. Mis en ordre par M. de Félice, incisa nel 1775 daCharles Boily (Bibliothèque cantonale et universitaire Lausanne).
[…]
La seconda metà del XVIII sec. segna l'avvio di mutamenti profondi in tutta la fascia cerealicola (nella fascia pastorale le principali trasformazioni erano già avvenute nel ME). Nuove Recinzioni, l'introduzione della Patata, la dissoluzione dei beni comuni, la semina del maggese e la stabulazione estiva contribuirono, in misura diversa a seconda delle regioni, ad ammorbidire l'ordinamento agrario tradizionale. Il passaggio dall'agricoltura della prima epoca moderna a quella moderna si compì fra il 1750 e il 1850 secondo un processo discontinuo, che si potrebbe definire (in senso qualitativo, non cronologico) come Rivoluzione agricola. Le vecchie strutture scomparvero lentamente, le nuove si imposero gradualmente e in modo disomogeneo, vecchi e nuovi metodi di sfruttamento del suolo coesistettero ancora a lungo proprio in ambito com. Attorno al 1800 si stava profilando una svolta decisiva, ormai irreversibile.
XIX e XX secolo
Autrice/Autore:
Werner Baumann, Peter Moser
Traduzione:
Orazio Martinetti
Il XIX sec. comportò per l'agricoltura sviz. mutamenti incisivi. Nell'ambito dell'avvicendamento delle colture della fascia cerealicola, attorno al 1850 si era ormai compiuta la prima rivoluzione agricola (per quanto la soppressione pratica dell'obbligo del sistema unitario di coltura si sia protratta in parte fino alla seconda metà del XIX sec.). Miglioramenti nella Rotazione continua, della Concimazione, l'eliminazione del maggese e l'incipiente Meccanizzazione consentirono di incrementare resa e produttività. L'allevamento e l'Economia lattiera si diffusero nella regione prealpina e vennero aperti caseifici anche in pianura, dapprima nella Svizzera franc. All'interno della società industriale, in fase di sviluppo, l'agricoltura si trasformò progressivamente in un settore specializzato della produzione di generi alimentari e sempre più nettamente distinto dagli altri rami economici, integrato nell'economia pubblica sia grazie al mercato, sia attraverso attività commerciali e industriali situate a monte e a valle.
Lavori di aratura nella val Monastero verso il 1920 (Biblioteca nazionale svizzera, Berna, Archivio federale dei monumenti storici, Collezione Kopp).
[…]
Con la crescita industriale l'agricoltura, a dispetto (o forse proprio a causa) dei suoi progressi nel campo della produttività, si trasformò in un settore in declino: a partire dal 1880 il numero degli occupati, che nel 1860 erano ca. 500'000, cominciò lentamente a regredire. Nel 1960 si era ridotto della metà e nel successivo ventennio si dimezzò nuovamente. La percentuale di persone attive nel settore agricolo in rapporto al totale degli occupati, stimata al 60% nel 1800 e al 50% nel 1850, calò dal 31% del 1900 al 19,5% del 1950 e infine al 4% del 2000 (dal 1950 essa include il lavoro a tempo parziale). La produzione, tuttavia, grazie all'enorme aumento del rendimento e della produttività, soprattutto a partire dagli anni '50, riuscì ad assecondare la crescita demografica e le nuove esigenze in materia di alimentazione, anzi persino ad aumentare la quota di approvvigionamento del Paese. Il valore aggiunto lordo del settore primario passò dai ca. 0,5 miliardi di frs. annui nel 1880-90 agli oltre 10 miliardi degli anni '90; nel medesimo arco di tempo la sua quota al valore aggiunto nazionale è scesa dal 30% al 3%. Il peso economico della produzione agricola non è tuttavia unicamente desumibile dal numero degli occupati e dal valore aggiunto, dato che nel XX sec. i campi di attività alla base della produzione agricola o da essa derivati hanno assunto un rilievo sempre maggiore.
Aziende agricole secondo le dimensioni 1905-2000
[…]
Dopo i rivolgimenti della prima rivoluzione agraria, negli anni 1860-70 prese avvio, su pressione del mercato agricolo mondiale in via di formazione (scomparsa della tutela dovuta alla distanza, calo dei prezzi dei cereali), una seconda ondata di mutamenti che investì soprattutto l'Altopiano: l'economia lattiera divenne la branca economica principale e la cerealicoltura venne relegata in secondo piano. Le premesse naturali per questa operazione erano favorevoli e lo smercio era assicurato dall'incremento demografico interno e dalla domanda estera in aumento (dagli anni 1880-90 oltre ¼ della produzione lattiera venne destinato all'esportazione). Accanto a nuovi caseifici sorse un'industria dedita alla lavorazione del latte (latte condensato, cioccolata); in parallelo regredì la campicoltura. La superficie coltivabile, che a metà del XIX sec. con oltre 500'000 ettari copriva ancora la metà della superficie agricola utile, alla vigilia della prima guerra mondiale si era ridotta a 200'000 ettari. In realtà più della metà dei contadini coltivava ancora cereali, ma solo per il proprio fabbisogno o per ottenere Foraggi. Anche la viticoltura perse terreno, specialmente nella Svizzera orientale. Per contro, frutticoltura e orticoltura rifornivano le città e alimentavano l'industria delle Conserve alimentari, che ebbe un fiorente sviluppo dopo il 1900. Si sviluppò così un'agricoltura intensiva, in cui dominava l'economia lattiera, integrata nel mercato interno e mondiale sia attraverso gli acquisti (materie ausiliarie, Macchine agricole) sia grazie allo smercio, e in parte legata all'industria di trasformazione. Quasi tutti gli altri rami erano ad essa collegati come produttori secondari (bestiame da macello, suini) o fornitori di materie prime (zootecnia, campicoltura). Ciononostante il settore agrario sviz. rimase multiforme; la viticoltura si mantenne nella Svizzera romanda, la coltivazione dei campi soprattutto nelle regioni della "rotazione triennale migliorata" della Svizzera settentrionale.
Numero delle aziende e superficie agricola utile per ordine di grandezza 1905-1990
Dimensioni
1905
1929
1939
1955
1965
1975
1980
1985
1990
0-5 ettaria
Aziende
146 452
142 306
137 359
109 425
74 799
57 509
52 665
50 083
41 093
Superficie utile in ettari
310 193
263 326
229 121
173 158
112 828
75 292
66 566
59 714
53 208
5-10 ettari
Aziende
55 467
57 236
59 044
53 267
39 954
24 580
20 158
17 489
15 543
Superficie utile in ettari
335 968
351 081
361 707
335 437
258 184
158 205
130 894
113 467
101 497
10-15 ettari
Aziende
19 763
21 130
23 911
24 925
25 503
22 395
20 455
18 669
16 852
Superficie utile in ettari
196 049
210 212
242 137
257 004
270 025
239 082
219 797
200 903
182 504
15-30 ettari
Aziende
14 744
13 885
15 492
15 891
18 907
24 133
26 406
27 201
27 928
Superficie utile in ettari
217 722
208 118
244 708
254 788
316 675
415 212
462 108
477 975
493 503
30-50 ettari
Aziende
7 284b
2 427
2 065
1 976
2 552
3 666
4 560
5 212
5 658
Superficie utile in ettari
139 591b
53 774
54 619
54 339
76 873
113 152
141 695
160 990
173 484
>50 ettari
Aziende
1 485
610
513
699
843
1 030
1 077
1 222
Superficie utile in ettari
40 864
33 851
30 203
41 756
50 062
59 948
60 123
67 052
Totale aziende
243 710
238 469
238 481
205 997
162 414
133 126
125 274
119 731
108 296
Superficie utile in ettari
1 199 523
1 127 375
1 166143
1 104 929
1 076 341
1 051 005
1 081 008
1 073 170
1 071 348
a Nel 1905 non sono state computate le aziende di dimensioni inferiori a 0,5 ettari.
b Totale delle aziende con superficie utile di 30 ettari e più.
Numero delle aziende e superficie agricola utile per ordine di grandezza 1905-1990 - Ufficio federale di statistica
Manifesto per i vini del Vallese (1920 ca.), uno dei primi del commercio viticolo vallesano (Médiathèque Valais, Sion).
Nel periodo interbellico, l'esperienza acquisita in seguito alle difficoltà di approvvigionamento durante il primo conflitto mondiale, unitamente ai costi di una monocultura lattiera associata a un regresso dell'esportazione di formaggio, convinsero le autorità a promuovere l'estensione della cerealicoltura a spese dell'economia lattiera, ancorché agli inizi con scarso successo. Una svolta momentanea si verificò solo durante la seconda guerra mondiale con il Piano Wahlen, che comportò un raddoppiamento della superficie coltivabile, portandola a 350'000 ettari. Tuttavia dopo la guerra essa si ridusse a 250'000 ettari, per poi superare nuovamente i 300'000 ettari negli anni '80 sotto la spinta del contingentamento lattiero (dal 1977). Anche in seguito la produzione animale coprì ¾ dei proventi, anche se progressivamente gli animali da ingrasso tolsero il primato al latte. Così sia gli effettivi bovini sia gli effettivi suini oltrepassarono a tratti la soglia dei due milioni di capi (bestiame bovino: 993'000 nel 1866, 1'587'000 nel 1926; maiali: 304'000 nel 1866, 876'000 nel 1926).
Caratteri dominanti della fase post-bellica furono il rapido mutamento strutturale e l'enorme incremento dei proventi e della produttività (che crebbe più rapidamente di quella del settore industriale). Si è verificata insomma una nuova rivoluzione agraria, fondata soprattutto sui successi della zootecnia, su una rapida motorizzazione (nel 1992 il numero dei trattori ha raggiunto quello degli occupati fissi) e su un crescente impiego di fertilizzanti artificiali e di fitofarmaci. Negli anni '90, sia nella prassi agricola, sia nella Politica agricola, ha preso piede una nuova visione dell'agricoltura, maggiormente orientata verso il mercato, e un'accresciuta attenzione verso gli aspetti legati all'ecologia.
Struttura della produzione agricola 1885-1998a
1885 ca.
1911
1931-40
1951-60
1971-80
1986-90
1995-98
Cerealicoltura
7,2
2,6
5,0
6,8
4,9
4,9
8,9
Pataticoltura
4,5
3,7
3,1
3,1
1,9
1,8
2,4
Viticoltura
9,1
3,3
3,4
3,7
5,3
7,3
6,7
Frutticoltura
9,1
8,1
6,7
5,3
4,8
3,8
4,2
Orticoltura
4,8
7,4
5,1
5,0
3,0
3,4
5,3
Altri settori della produzione vegetale
1,2
0,9
0,7
1,3
2,1
2,8
3,6
Produzione vegetale (totale)
35,9
26,0
24,1
25,2
22,1
24,0
31,1
Latte/latticini
32,5
38,5
35,6
34,6
31,7
33,3
35,7
Bovini
17,7
18,2
18,3
17,4
20,7
19,3
12,9
Maiali
7,0
10,9
12,5
15,3
19,5
16,9
13,9
Altri settori della produzione animale
7,0
6,5
9,6
7,4
6,0
6,5
6,5
Produzione animale (totale)
64,2
74,1
75,9
74,8
77,9
76,0
69,0
a Quota dei principali settori in rapporto al ricavo lordo dell'agricoltura (in %). Scarti del 100% sono determinati da valori arrotondati.
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