I ruoli sessuali si fondano su norme socioculturali, che assegnano a donne e uomini comportamenti e funzioni sociali diversi; essi hanno subito, nel corso della storia, diversi mutamenti. La storia delle donne e di genere, che in una prima fase si è occupata di studiare i ruoli sessuali, dagli anni 1990 ha rivolto un'attenzione crescente ai rapporti tra i sessi, poiché questi ultimi rappresentano un campo di ricerca più vasto. Se infatti l'analisi dei ruoli sessuali si limitava al ruolo dell'uomo e della donna – spesso nelle relazioni di coppia – la ricerca sui rapporti tra i generi indaga la situazione dell'uomo e della donna in tutti gli ambiti della società.
Uomini e donne nel Medioevo
Matrimonio e diritto successorio
Le leggi germaniche e i documenti dell'abbazia di San Gallo forniscono dati piuttosto attendibili sui ruoli sessuali nell'alto Medioevo. La famiglia nucleare, inserita nella più ampia rete parentale del clan, rappresentò la struttura caratteristica del periodo medievale. Essa costituiva un'unità patrimoniale sotto la tutela del coniuge e padre, il cosiddetto mundio. Nel Medioevo la forma più diffusa di matrimonio era basata appunto sul mundio (diritto matrimoniale), che più si avvicinava al rapporto coniugale basato sul consenso reciproco, l'unica forma di unione riconosciuta dalla Chiesa. Con il matrimonio, la potestà sulla donna veniva trasferita dal padre allo sposo. La questione se le vedove necessitassero di un tutore era controversa sul piano giuridico. Poiché la donna non ereditava i beni del marito, al momento di sposarsi otteneva beni terrieri e altri valori patrimoniali come dotario. Le donne coniugate decidevano da sole o insieme al marito nelle questioni relative alla proprietà. A seconda della provenienza dei possedimenti, presso gli Alemanni vigeva il regime di unione o di divisione dei beni. Se la moglie otteneva un'eredità, questa rimaneva di sua esclusiva proprietà (diritto successorio).
Non solo i consanguinei di sesso maschile, ma anche quelli di sesso femminile erano considerati membri della famiglia. Una volta sposata, la donna non usciva quindi dalla sua famiglia di origine, ma rappresentava un anello di congiunzione per quest'ultima, che aveva contribuito ad allargare attraverso il proprio matrimonio; per questo motivo doveva essere considerata nella successione ereditaria. Gli ordinamenti successori dell'alto Medioevo anteponevano i discendenti maschi alle figlie; queste ultime potevano tuttavia ereditare proprietà fondiarie.
Queste regole erano valide in primo luogo per l'élite dei proprietari terrieri e i liberi. Il matrimonio tra servi, anche di diversi proprietari, era comune. Nel caso di matrimoni, non rari, tra liberi e servi, la condizione di servitù di un genitore veniva trasmessa ai figli. In questo modo era possibile garantire l'unità della familia curtense e il signore fondiario manteneva il controllo sulla propria manodopera (maritaggio).
Chiesa, conventi e sessualità
Nel Medioevo il tema del matrimonio venne trattato in testi di carattere teologico-dogmatico e sulla cura delle anime. Questi scritti partivano dal presupposto che entrambi i sessi provassero un desiderio sessuale e che l'istituzione del matrimonio fosse necessaria per incanalare tale impulso in un contesto regolamentato. L'uomo non poteva esigere la fedeltà dalla moglie se egli stesso non rispettava tale vincolo. L'adulterio maschile doveva inoltre essere punito in maniera analoga a quello femminile. Già Paolo rivendicava questa parità nei costumi sessuali nel settimo capitolo della prima Lettera ai Corinzi.
Un'alternativa al matrimonio era costituita dall'entrata in un convento. Le religiose potevano così accedere non solo all'istruzione e a compiti di responsabilità, ma si avvicinavano anche all'ideale cristiano della verginità. Talvolta i genitori obbligavano le figlie a entrare in convento per ragioni di politica matrimoniale o ereditaria; la scelta della vita monastica poteva anche essere favorita da un legame famigliare con un determinato istituto (fondazione, luogo di sepoltura, ecc.). Il convento offriva a entrambi i sessi un'esistenza sicura e una vita consona al proprio rango. Monaci e suore dovevano intercedere per le loro famiglie, ed erano quindi responsabili della salvezza della loro anima. L'accesso al sacerdozio era prerogativa degli uomini (clero), a cui competeva la cura delle anime delle suore. L'unione di donne non appartenenti a un ordine monastico in beghinaggi diede adito a sospetti e persecuzioni (beghine e begardi).
Il mondo dei nobili
All'interno del ceto nobiliare (nobiltà) i matrimoni venivano contratti specialmente in funzione utilitaristica: un'abile politica matrimoniale ed ereditaria permetteva di accrescere il potere famigliare attraverso la linea femminile. I ruoli sessuali nobiliari emergono in maniera esemplare dal Codice di Manesse. Le virtù del cavaliere (indulgenza, fedeltà, disciplina, moderazione, pudore e devozione al mondo femminile) e della dama sposata da lui corteggiata (bellezza, decoro, nobiltà d'animo, bontà) decantate nel Minnesang corrispondevano più all'ideale cortese che alla realtà. Occupazione principale dei nobili maschi era l'esercizio dei diritti signorili. I compiti domestici e l'amministrazione delle proprietà e dei territori soggetti erano intervallati dalla partecipazione ad attività a corte, giochi, feste, tornei, cacce o guerre. La donna nobile dal canto suo rappresentava il proprio rango e casato. Se ragioni dinastiche o l'assenza del marito lo esigevano, poteva assumere compiti signorili. A capo dell'economia domestica, era donna di compagnia e casalinga, a cui erano richieste in pari misura capacità pratiche (lavori tessili) e doti musicali e intellettuali. Le donne della nobiltà educavano le proprie figlie fino all'età adulta, i figli maschi di regola solo durante l'infanzia.
Divisione dei compiti nei villaggi
Informazioni sulla distribuzione dei compiti in base al genere nei villaggi rurali si possono ricavare dagli ordini tardomedievali. Fino a che punto questa divisione del lavoro fosse marcata è questione controversa. Si parte dal presupposto che gli uomini svolgessero attività rischiose, impegnative sul piano fisico e a distanza dalla propria abitazione, come per esempio la selvicoltura o la lavorazione del legno, i lavori nei campi (ad esempio aratura, seminatura, trebbiatura), i trasporti e l'allevamento del bestiame. Le donne lavoravano principalmente all'interno della casa o nelle sue vicinanze. In base a scavi archeologici e fonti scritte, nell'alto e pieno Medioevo esistevano laboratori femminili (ginecei); i telai delle domestiche erano collocati in umide case a fossa. Le donne erano inoltre responsabili della preparazione dei pasti (alimentazione), dell'approvvigionamento di acqua, delle scorte domestiche, dell'igiene e della cura dei malati, della produzione del vestiario e del bucato. Esse dovevano anche coltivare ortaggi, accudire il bestiame minuto (in parte anche quello grosso) e contribuire al lavoro nei campi. Al raccolto del grano e del fieno partecipavano entrambi i sessi. La produzione tessile accessoria forniva una fonte di guadagno specialmente a vedove e nubili. Accanto a guardaboschi, uscieri comunali, vaccai e porcari, tra le cariche subordinate nei comuni tardomedievali figurava anche quella della levatrice, eletta dalla comunità delle donne.
Matrimonio e lavoro artigianale nelle città tardomedievali
Negli statuti cittadini e nei regolamenti delle corporazioni del tardo Medioevo si operava una chiara distinzione tra donne sposate, nubili e vedove. Per le donne coniugate continuavano a valere le disposizioni derivanti dalla potestà del marito. Per poter iniziare un'attività economica, alle donne serviva il consenso del coniuge, anche se disponevano di beni propri immessi nel matrimonio. La tutela maschile perse invece progressivamente importanza per vedove e nubili. Se in tribunale dovevano avere un rappresentante legale, da loro stesse designato o assegnato d'ufficio, esse potevano quasi sempre decidere liberamente dei loro beni e del loro patrimonio. Negli statuti corporativi si permetteva alle vedove, in base ai cosiddetti diritti delle vedove, di proseguire l'attività del marito defunto finché questa non fosse stata rilevata da uno dei figli o non si fossero risposate (lavoro femminile salariato). Se non si verificava nessuna delle due ipotesi o se la donna era molto anziana, poteva perdere l'affiliazione alla corporazione e di conseguenza il diritto al pagamento, da parte della corporazione, dei funerali e delle commemorazioni funebri.
Le donne che esercitavano un lavoro remunerato nelle città erano principalmente attive nel settore tessile come pellicciaie, tessitrici e sarte. Secondo l'ordinamento della corporazione basilese dei pellicciai del 1226, sia le donne sia gli uomini potevano esercitare la compravendita di pellicce. È però controverso se affiliati maschili e femminili godessero degli stessi diritti. A Zurigo la presenza della corporazione femminile delle tessitrici di seta è attestata solo dal 1336. La corporazione dei cerusici riuniva il personale maschile e femminile dei bagni pubblici, di bassa estrazione sociale; le donne che svolgevano tale attività venivano accostate alla prostituzione. Negli ordinamenti corporativi dei cerusici, almeno a Friburgo in Brisgovia e a Strasburgo, uomini e donne avevano gli stessi diritti.
In seguito alla crisi agraria del XIV-XV secolo, la produzione artigianale si trasferì dai poderi rurali alle città. Il conseguente aumento del lavoro salariato agricolo e artigianale aumentò le possibilità di contrarre matrimonio e rese possibile l'affrancamento dai rapporti di dipendenza. Donne e ragazze di quasi tutti i ceti sociali lavoravano nelle economie domestiche di terzi in città e in campagna (servitù).
Mutamenti in età moderna
Alla vigilia della Riforma si moltiplicarono le lamentele sui matrimoni clandestini, le relazioni non matrimoniali e le promesse di matrimonio non mantenute. Secondo l'etica dei riformatori, gli individui dovevano condurre una vita onorevole e il matrimonio rappresentava l'unico ambito legittimo per i rapporti sessuali. Le autorità imposero tali principi per mezzo dei concistori e delle leggi suntuarie nelle città riformate, e grazie a organismi appositi nelle campagne; decadde così la giurisdizione vescovile in materia matrimoniale. Il nuovo ideale matrimoniale assegnava a marito e moglie precisi compiti in base a una chiara gerarchia e sottolineava la responsabilità di entrambi per la riuscita dell'unione matrimoniale.
In epoca moderna i manuali di economica destinati ai padri di famiglia (Hausväterliteratur) assunsero un carattere normativo per i ruoli sessuali. Questi trattati didattico-morali del XVI-XVII secolo stabilivano le regole per il funzionamento della comunità domestica, intesa come collettività ordinata gerarchicamente composta da padre, madre, figli e domestici. Obiettivo di questa comunità era soddisfare i bisogni di tutti i membri in base al loro rango, conservare e moltiplicare la proprietà ed educare figli e abiatici.
Dal XVII secolo l'élite urbana si trasformò in un'aristocrazia del denaro che ostentava la propria ricchezza. Le donne di questi ceti erano indipendenti sul piano giuridico; potevano redigere testamenti e apporre il proprio sigillo su atti e documenti. Il sostentamento delle vedove in età avanzata (previdenza per la vecchiaia) solitamente era assicurato, poiché vigeva la separazione dei beni tra marito e moglie.
Durante la protoindustrializzazione del XVIII secolo, lavoratori e lavoratrici a domicilio eseguivano le commesse dei mercanti-imprenditori tessili cittadini (lavoro a domicilio). Gli uomini erano principalmente attivi come tessitori, mentre la filatura era in primo luogo compito di donne e bambini. Le famiglie di lavoratori a domicilio modificarono il loro stile di vita, vestendosi in maniera moderna, consumando beni, divertendosi e intrattenendo relazioni informali con l'altro sesso.
I ruoli sessuali durante l'Illuminismo
L'Illuminismo sconvolse non solo i rapporti di potere, ma anche quelli tra i generi. In precedenza la società era strutturata principalmente in base al ceto; l'appartenenza sessuale aveva un peso secondario (società per ceti). La libertà d'azione degli individui era determinata dall'estrazione famigliare, non dal genere. Ciò valeva anche in Svizzera, malgrado la tradizione repubblicana. Gli uomini delle famiglie dirigenti detenevano privilegi, per esempio l'accesso al potere politico. Essi si distinguevano – come pure le donne appartenenti a queste cerchie – dagli uomini dei ceti meno abbienti grazie a una dispendiosa autorappresentazione che includeva lo sfoggio di abiti in seta e parrucche, come pure l'accentuazione di un aspetto gracile (abbigliamento).
Nel solco dell'Illuminismo e con l'inizio del movimento liberale (liberalismo) si diffuse un'idea dualistica dei ruoli sessuali, che non riguardava solo la sfera sociale ma anche quella politica. La nuova figura del cittadino assunse tratti e attributi tipicamente maschili (ad esempio attitudine alle armi). Nella società borghese tutti gli uomini dovevano godere degli stessi diritti, le donne invece essere chiaramente subordinate. Questo nuovo dualismo tra i sessi fu fondato su basi biologistiche e antropologiche, in maniera da legittimare scientificamente le differenze di genere.
Lo Stato federale e la dualità dei sessi
Attorno alla metà del XIX secolo, i ruoli sessuali furono ridefiniti e fissati più precisamente sul piano giuridico e sociale contestualmente alla fondazione dello Stato federale. La Costituzione federale del 1848 stabilì il principio dell'uguaglianza giuridica, impose l'obbligo generalizzato di prestare servizio militare e concesse a tutti gli uomini di fede cristiana gli stessi diritti civili. L'integrazione politica di tutti gli uomini andò di pari passo con la marginalizzazione delle donne. Alle barriere sociali che avevano precluso l'accesso al potere politico ai ceti subalterni durante l'ancien régime subentrò la discriminazione civile delle donne. In Svizzera il dualismo sessuale ottenne quindi una duratura legittimazione, benché anche nei decenni successivi, in particolare negli ambienti contadini e artigiani, entrambi i sessi contribuissero al sostentamento della famiglia.
Lo Stato federale era concepito come unione di uomini. In un primo tempo tuttavia non tutti gli strati sociali furono integrati in egual misura nella vita pubblica; ciò avvenne solo con l'uniformazione dei modelli maschili. Le distinzioni sociali in base alla nascita furono sempre più malviste; il tipico uomo svizzero era combattivo, lavoratore e amante della libertà. Questo paradigma fu condiviso da uomini di orientamento liberale, conservatore e, più tardi, anche socialista. Alla sua diffusione contribuirono tra l'altro le manifestazioni patriottiche di massa, le feste di tiro e di canto (feste federali) e il servizio militare. L'integrazione delle élite avvenne per mezzo delle associazioni di studenti, organizzate sul piano nazionale.
La casalinga svizzera
L'ideale della casalinga svizzera, sviluppato e propagato già nel XIX secolo, divenne realtà per la maggioranza delle donne solo dopo la seconda guerra mondiale. Si basava sulla concezione dualistica dei ruoli sessuali, che assegnava agli uomini il lavoro salariato fuori casa e alle donne i lavori domestici e compiti assistenziali tra le mura domestiche.
Le maggiori possibilità economiche degli uomini nel XIX secolo furono accompagnate dalla definizione di regole che assicurarono il predominio maschile sulle donne anche nell'ambito del diritto privato. Queste norme non riguardavano solo le questioni domestiche, ma garantivano anche che le donne non potessero esercitare un'attività professionale senza il consenso del marito o del padre e che al momento di sposarsi perdessero il diritto di disporre liberamente del proprio patrimonio. Nel diritto di famiglia questo dualismo sessuale fu sancito in maniera sostanzialmente simile in tutti i cantoni e poi sul piano nazionale con il Codice civile (1907, entrato in vigore nel 1912).
Il modello della casalinga parsimoniosa che supportava il marito nelle sue attività extradomestiche venne sostenuto da uomini di ogni strato sociale e categoria professionale. L'idea che il ruolo della donna si definisse in relazione al padre, al marito o al coniuge deceduto e che il suo compito consistesse nel servire i membri maschi della famiglia era ampiamente condivisa. Le giovani donne venivano presto abituate a questa divisione dei ruoli e coinvolte nei lavori domestici. Se l'ideale della casalinga si affermò solo lentamente – nel 1870 oltre il 50% della popolazione attiva (oltre i 15 anni) era costituito da donne –, dopo la prima guerra mondiale e fino agli anni 1970 il numero di donne attive professionalmente diminuì costantemente. Nello stesso tempo crebbe la disponibilità degli ambienti economici a pagare agli uomini stipendi che garantissero il sostentamento della famiglia (cosiddetto salario del capofamiglia). Il lavoro domestico delle donne era compensato dall'obbligo di mantenimento del coniuge. Anche il sistema scolastico e delle assicurazioni sociali si orientò sul modello dualistico dei ruoli sessuali.
Sia l'ideale maschile sia quello femminile acquisirono anche una valenza patriottica. Valori quali l'ordine, la pulizia, la parsimonia e lo zelo, già validi per la comunità produttiva famigliare, assursero a linee guida per le casalinghe svizzere dalla metà del XIX secolo. Da allora i corsi di economia domestica divennero un elemento centrale dell'educazione femminile. L'introduzione di questa disciplina venne promossa da organizzazioni femminili quali la Società femminile svizzera di utilità pubblica. Nel XX secolo i periodi di permanenza nella Svizzera francese (Welschlandjahr) non solo completavano la formazione delle giovani donne nel campo dell'economia domestica, ma consentivano loro di avere contatti con altri strati sociali e regioni linguistiche, possibilità che agli uomini era in parte data dagli studi, dalla formazione professionale o dal servizio militare.
Stagnazione e cambiamento nel XX secolo
Rispetto all'estero, in Svizzera il suffragio universale non solo venne introdotto assai precocemente, ma rimase anche più a lungo che altrove una prerogativa maschile. A questo si aggiunsero i diritti di iniziativa e di referendum; i cittadini maschi non si limitavano quindi, come negli altri Paesi, all'elezione del parlamento. Questi ampi diritti politici come pure i ruoli sessuali predominanti rafforzarono la posizione degli uomini nella famiglia e resero più difficile la lotta per i diritti democratici delle donne. Poiché in ogni famiglia vi era almeno un uomo con diritto di voto, si riteneva che la donna potesse esercitare una certa influenza politica attraverso il marito o il padre.
Benché private dei diritti politici, dal XIX secolo le donne furono sollecitate ad assumersi maggiori responsabilità, specialmente nell'educazione dei figli e in parte anche in merito al comportamento del marito. Le organizzazioni femminili appoggiarono tale posizione, interpretandola come un modello partenariale che avrebbe costituito la premessa per l'uguaglianza giuridica.
Il suffragio femminile fu introdotto in Svizzera nel 1971, nel periodo delle trasformazioni sociali indotte dal movimento del 1968 (rivolte giovanili), che comportò il parziale superamento dei vecchi ruoli sessuali. Particolarmente controversa negli anni 1970 fu la presa di distanza dal modello maschile tradizionale, espressa ad esempio attraverso la scelta di portare i capelli lunghi. Anche le donne iniziarono a indossare più spesso pantaloni o altri capi di vestiario dalla connotazione fino ad allora maschile e a fumare in pubblico. Tra gli uomini si diffuse la ribellione contro il servizio militare (obiezione di coscienza) e il carrierismo, e tra le donne quella contro il ruolo di casalinga e madre. Contemporaneamente le giovani generazioni insorsero contro il confinamento della sessualità all'interno del matrimonio. Infrangendo leggi e norme esistenti, sperimentarono la nuova libertà sessuale resa possibile da contraccettivi di tipo chimico e nuove forme di convivenza (concubinato).
Dagli anni 1970 anche il tasso di occupazione femminile salì notevolmente. Sul fronte della segregazione di genere sul mercato del lavoro e della partecipazione degli uomini ai lavori domestici non si ebbero però cambiamenti radicali. Anche le strutture sociali mutarono solo lentamente. All'inizio del XXI secolo in Svizzera numerose donne erano quindi costrette a scegliere tra la maternità e la carriera professionale, non potendo contare su offerte di assistenza esterne alla famiglia (doposcuola) – maggiormente diffusi in altri Paesi – né sul sostegno dei loro partner. I loro salari erano inoltre ancora nettamente inferiori a quelli degli uomini. Di conseguenza in Svizzera il numero di donne che dopo la nascita del primo figlio abbandonava il lavoro remunerato era più elevato che in altri Paesi europei. Dagli anni 1960 il tasso di natalità ha inoltre subito un calo più netto rispetto alla media europea (1,48 figli per donna nel 2008).
La messa in discussione dei ruoli sessuali tradizionali e la parità tra uomo e donna ancorata sul piano costituzionale nel 1981, alla base anche del nuovo diritto matrimoniale del 1988, hanno fatto sì che i ruoli di genere vengano ormai sempre più scelti e vissuti in maniera individuale. La diminuzione dei matrimoni e il numero crescente di divorzi, di separazioni e di economie domestiche costituite da persone singole (30% nel 2004) non erano interpretati come segnale di una convivenza conflittuale tra uomini e donne, ma come manifestazione del dilagante individualismo nella società. Dalla fine del XX secolo la legislazione sociale nell'ambito di varie riorganizzazioni ha recepito la parificazione dei ruoli sessuali. Parallelamente al parziale superamento dei ruoli sessuali, anche lo stile di vita e le unioni di persone dello stesso sesso (omosessualità) erano ormai sempre più accettate dall'opinione pubblica.
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