Autrice/Autore:
Ruth Ammann
Traduzione:
Christina Müller
I ruoli di genere designano norme socioculturali, aspettative e valori, che assegnano o impongono agli individui determinate maniere di agire, funzioni sociali e capacità in base al loro sesso. Con lo stesso termine si indicano anche i comportamenti individuali, quale espressione dell'identità di genere, maschile o femminile, delle persone. La nozione contempla sia meccanismi di differenziazione e gerarchizzazione sessuale sia il comportamento di singoli e presenta quindi una certa imprecisione concettuale. Formatosi ed entrato in uso in stretta relazione con la teoria sociologica dei ruoli sviluppata negli Stati Uniti dagli anni 1920, il termine è pure influenzato da una concezione del genere che con la ripresa della relativa teoria anglo-americana (gender) dagli anni 1970 ha subito varie trasformazioni. Data la sua polisemia e rilevanza per entrambi i generi, il termine è ampiamente diffuso nel linguaggio comune, ma ormai poco utilizzato nella ricerca scientifica (storia di genere).
Nonostante in senso stretto si possa parlare di ruoli sessuali solo dagli anni 1960, quando il movimento femminista problematizzò le aspettative normative legate al ruolo sociale delle donne, il termine viene usato anche per designare, in senso più ampio, la differenza di genere come elemento strutturale dell'organizzazione delle società nella storia. In questa sede verranno quindi affrontati anche i rapporti e gli ordini di genere dall'epoca medievale, come appaiono ad esempio nelle fonti del diritto, negli ordinamenti delle corporazioni e nelle sentenze di divorzio.
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler
Traduzione:
Christina Müller
Le leggi germaniche e i documenti dell'abbazia di San Gallo forniscono dati piuttosto attendibili sui ruoli sessuali nell'alto Medioevo. La famiglia nucleare, inserita nella più ampia rete parentale del clan, rappresentò la struttura caratteristica del periodo medievale. Essa costituiva un'unità patrimoniale sotto la tutela del coniuge e padre, il cosiddetto mundio. Nel Medioevo la forma più diffusa di matrimonio era basata appunto sul mundio (diritto matrimoniale), che più si avvicinava al rapporto coniugale fondato sul consenso reciproco, l'unica forma di unione riconosciuta dalla Chiesa. Con il matrimonio, la potestà sulla donna veniva trasferita dal padre allo sposo. La questione se le vedove necessitassero di un tutore era controversa sul piano giuridico. Poiché la donna non ereditava i beni del marito, al momento di sposarsi otteneva beni terrieri e altri valori patrimoniali come dotario. Le donne coniugate decidevano da sole o insieme al marito nelle questioni relative alla proprietà. A seconda della provenienza dei possedimenti, presso gli Alemanni vigeva il regime di unione o di divisione dei beni. Se la moglie otteneva un'eredità, questa rimaneva di sua esclusiva proprietà (diritto successorio).
Non solo i consanguinei di sesso maschile, ma anche quelli di sesso femminile erano considerati membri della famiglia. Una volta sposata, la donna non usciva quindi dalla sua famiglia di origine, ma rappresentava un anello di congiunzione per quest'ultima, che aveva contribuito ad allargare attraverso il proprio matrimonio; per questo motivo doveva essere considerata nella successione ereditaria. Gli ordinamenti successori dell'alto Medioevo anteponevano i discendenti maschi alle figlie; queste ultime potevano tuttavia ereditare proprietà fondiarie.
Queste regole erano valide in primo luogo per l'élite dei proprietari terrieri e i liberi. Il matrimonio tra servi (servitù della gleba), anche di diversi proprietari, era comune. Nel caso di matrimoni, non rari, tra liberi e servi, la condizione di servitù di un genitore veniva trasmessa ai figli. In questo modo era possibile garantire l'unità della familia curtense e il signore fondiario manteneva il controllo sulla propria manodopera (maritaggio).
Chiesa, conventi e sessualità
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler
Traduzione:
Christina Müller
Nel Medioevo il tema del matrimonio venne trattato in testi di carattere teologico-dogmatico e sulla cura delle anime. Questi scritti partivano dal presupposto che entrambi i sessi provassero un desiderio sessuale e che l'istituzione del matrimonio fosse necessaria per incanalare tale impulso in un contesto regolamentato (sessualità). L'uomo non poteva esigere la fedeltà dalla moglie se egli stesso non rispettava tale vincolo. L'adulterio maschile doveva inoltre essere punito in maniera analoga a quello femminile. Già S. Paolo rivendicava questa parità nei costumi sessuali nel settimo capitolo della prima Lettera ai Corinzi.
Sigillo della badessa Hemma apposto sull'atto di fondazione (oggi scomparso) di una messa annuale dell'11 febbraio 1282, proveniente dal convento di monache cistercensi di Rathausen. Litografia, 1845 ca. (Universitätsbibliothek Bern).
[…]
Un'alternativa al matrimonio era costituita dall'entrata in un convento. Le religiose potevano così accedere non solo all'istruzione e a compiti di responsabilità, ma si avvicinavano anche all'ideale cristiano della verginità. Talvolta i genitori obbligavano le figlie a entrare in convento per ragioni di politica matrimoniale o ereditaria; la scelta della vita monastica poteva anche essere favorita da un legame famigliare con un determinato istituto (fondazione, luogo di sepoltura, ecc.). Il convento offriva a entrambi i sessi un'esistenza sicura e una vita consona al proprio rango. Monaci e suore dovevano intercedere per le loro famiglie, ed erano quindi responsabili della salvezza della loro anima. L'accesso al sacerdozio era prerogativa degli uomini (clero), a cui competeva la cura delle anime delle suore. L'unione di donne non appartenenti a un ordine monastico in beghinaggi diede adito a sospetti e persecuzioni (beghine e begardi).
Il mondo della nobiltà
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler
Traduzione:
Christina Müller
All'interno del ceto nobiliare (nobiltà) i matrimoni venivano contratti specialmente in funzione utilitaristica: un'abile politica matrimoniale ed ereditaria permetteva di accrescere il potere famigliare attraverso la linea femminile. I ruoli sessuali nobiliari emergono in maniera esemplare dal Codice di Manesse. Le virtù del cavaliere (indulgenza, fedeltà, disciplina, moderazione, pudore e devozione al mondo femminile) e della dama sposata da lui corteggiata (bellezza, decoro, nobiltà d'animo, bontà) decantate nel Minnesang corrispondevano più all'ideale cortese che alla realtà. Occupazione principale dei nobili maschi era l'esercizio dei diritti signorili. I compiti domestici e l'amministrazione delle proprietà e dei territori soggetti erano intervallati dalla partecipazione ad attività a corte, giochi, feste, tornei, cacce o guerre. La donna nobile dal canto suo rappresentava il proprio rango e casato. Se ragioni dinastiche o l'assenza del marito lo esigevano, poteva assumere compiti signorili. A capo dell'economia domestica, era donna di compagnia e casalinga, a cui erano richieste in pari misura capacità pratiche (lavori tessili) e doti musicali e intellettuali. Le donne della nobiltà educavano le proprie figlie fino all'età adulta, i figli maschi di regola solo durante l'infanzia.
Divisione del lavoro nei villaggi
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler
Traduzione:
Christina Müller
Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso. Particolare di un dipinto murale raffigurante un episodio della Genesi nell'antica chiesa parrocchiale di S. Maria a Lenz, 1400 ca. (Fotografia Romano Pedetti, Bad Ragaz).[…]
Informazioni sulla distribuzione dei compiti tra uomo e donna nelle società rurali si possono ricavare dagli ordini, che regolavano tra l'altro i rapporti in seno alle comunità di villaggio; risalgono, tuttavia, solo al tardo Medioevo. La questione se nel Medioevo fosse praticata una marcata divisione del lavoro è controversa.Si parte dal presupposto che gli uomini svolgessero attività rischiose, impegnative sul piano fisico e a distanza dalla propria abitazione, come per esempio la selvicoltura o la lavorazione del legno, i lavori nei campi (ad esempio aratura, seminatura, trebbiatura), i trasporti e l'allevamento del bestiame. Le donne lavoravano principalmente all'interno della casa o nelle sue vicinanze. In base a scavi archeologici e fonti scritte, nell'alto e pieno Medioevo esistevano laboratori femminili (ginecei); i telai delle domestiche erano collocati in umide case a fossa. Le donne erano inoltre responsabili della preparazione dei pasti (alimentazione), dell'approvvigionamento di acqua, delle scorte domestiche, dell'igiene e della cura dei malati, della produzione del vestiario e del bucato. Esse dovevano anche coltivare ortaggi, accudire il bestiame minuto (in parte anche quello grosso) e contribuire al lavoro nei campi. Al raccolto del grano e del fieno partecipavano entrambi i sessi. La produzione tessile accessoria forniva una fonte di guadagno specialmente a vedove e nubili. Accanto a guardaboschi, uscieri comunali, vaccai e porcari, tra le cariche subordinate nei comuni tardomedievali figurava anche quella della levatrice, eletta dalla comunità delle donne.
Matrimonio e lavoro artigianale nelle città tardomedievali
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler
Traduzione:
Christina Müller
Negli statuti cittadini e nei regolamenti delle corporazioni del tardo Medioevo si operava una chiara distinzione tra donne sposate, nubili e vedove. Per le donne coniugate continuavano a valere le disposizioni derivanti dalla potestà del marito. Per poter iniziare un'attività economica, alle donne serviva il consenso del coniuge, anche se disponevano di beni propri immessi nel matrimonio. La tutela maschile perse invece progressivamente importanza per vedove e nubili. Se in tribunale dovevano avere un rappresentante legale, da loro stesse designato o assegnato d'ufficio, esse potevano quasi sempre decidere liberamente dei loro beni e del loro patrimonio. Negli statuti corporativi si permetteva alle vedove, in base ai cosiddetti diritti delle vedove, di proseguire l'attività del maestro defunto finché questa non fosse stata rilevata da uno dei figli o non si fossero risposate. Se non si verificava nessuna delle due ipotesi o se la donna era molto anziana, poteva perdere l'affiliazione alla corporazione e di conseguenza il diritto al pagamento, da parte della corporazione, dei funerali e delle commemorazioni funebri.
Le donne che esercitavano un lavoro remunerato nelle città erano principalmente attive nel settore tessile come pellicciaie, tessitrici e sarte (industria dell'abbigliamento, lavoro femminile salariato). Secondo l'ordinamento della corporazione basilese dei pellicciai del 1226, sia le donne sia gli uomini potevano esercitare la compravendita di pellicce. È però controverso se affiliati maschili e femminili godessero degli stessi diritti. A Zurigo la presenza della corporazione femminile delle tessitrici di seta è attestata solo dal 1336. La corporazione dei cerusici riuniva il personale maschile e femminile dei bagni pubblici, di bassa estrazione sociale; le donne che svolgevano tale attività venivano accostate alla prostituzione. Negli ordinamenti corporativi dei cerusici, almeno a Friburgo in Brisgovia e a Strasburgo, uomini e donne avevano gli stessi diritti.
In seguito alla crisi agraria del XIV-XV secolo, la produzione artigianale si trasferì dai poderi rurali alle città. Il conseguente aumento del lavoro salariato agricolo e artigianale (salari) aumentò le possibilità di contrarre matrimonio e rese possibile l'affrancamento dai rapporti di dipendenza. Donne e ragazze di quasi tutti i ceti sociali lavoravano nelle economie domestiche di terzi in città e in campagna (servitù).
Mutamenti in età moderna
Autrice/Autore:
Martin Gabathuler, Lynn Blattmann
Traduzione:
Christina Müller
Nell'epoca moderna la posizione dell'individuo nella gerarchia sociale era determinata dallo statuto giuridico, generalmente definito dalla nascita; la categoria del genere aveva un peso secondario (società per ceti). La libertà d'azione del singolo dipendeva dalla sua estrazione famigliare, non in primo luogo dal sesso.
Alla vigilia della Riforma si moltiplicarono le lamentele sui matrimoni clandestini, le relazioni non matrimoniali e le promesse di matrimonio non mantenute. Secondo l'etica dei riformatori, gli individui dovevano condurre una vita onorevole e il matrimonio rappresentava l'unico ambito legittimo per i rapporti sessuali. Le autorità imposero tali principi per mezzo dei concistori e delle leggi suntuarie nelle città riformate, e grazie a organismi appositi nelle campagne; decadde così la giurisdizione vescovile in materia matrimoniale (tribunale vescovile). Il nuovo ideale matrimoniale assegnava a marito e moglie precisi compiti in base a una chiara gerarchia e sottolineava la responsabilità di entrambi per la riuscita dell'unione matrimoniale.
In epoca moderna i manuali di economia destinati ai padri di famiglia (Hausväterliteratur) assunsero un carattere normativo per i ruoli sessuali. Questi trattati didattico-morali del XVI-XVII secolo stabilivano le regole per il funzionamento della comunità domestica, intesa come collettività ordinata gerarchicamente composta da padre, madre, figli e domestici. Obiettivo di questa comunità era soddisfare i bisogni di tutti i membri in base al loro rango, conservare e moltiplicare la proprietà ed educare figli e abiatici.
Gli uomini delle famiglie dirigenti avevano privilegi, doveri di rappresentanza e accesso al potere politico. Si distinguevano dagli uomini dei ceti meno abbienti grazie a una dispendiosa autorappresentazione. Soprattutto dal XVII secolo l'élite urbana si trasformò in un'aristocrazia del denaro che ostentava la propria ricchezza, compreso lo sfoggio di abiti di seta e parrucche, nonché l'accentuazione di un aspetto gracile (abbigliamento). Le donne appartenenti a un certo gruppo sociale o familiare, a determinate condizioni potevano partecipare alla vita politica e al potere, ad esempio quali badesse o sovrane. Le esponenti di questi ceti urbani erano indipendenti sul piano giuridico; potevano redigere testamenti e apporre il proprio sigillo su atti e documenti. Il sostentamento delle vedove solitamente era assicurato (previdenza per la vecchiaia), poiché vigeva la separazione dei beni tra marito e moglie. Per le donne della nobiltà, della borghesia e della servitù, fino alla fine del XVIII secolo le risorse da destinare a un abbigliamento ritenuto consono erano stabilite in dettaglio.
Durante la protoindustrializzazione del XVIII secolo, lavoratori e lavoratrici a domicilio eseguivano le commesse dei mercanti-imprenditori tessili cittadini (lavoro a domicilio, Verlagssystem). Gli uomini erano principalmente attivi come tessitori, mentre la filatura era in primo luogo compito di donne e bambini. Le famiglie di lavoratori e lavoratrici a domicilio modificarono il loro stile di vita, vestendosi in maniera moderna, consumando beni, divertendosi e intrattenendo relazioni informali con l'altro sesso.
Ordinamento di genere borghese nell'Illuminismo e nel giovane Stato federale
Autrice/Autore:
Lynn Blattmann, Ruth Ammann
Traduzione:
Christina Müller
Durante l'Illuminismo e nel contesto del movimento liberale (liberalismo), alcune donne furono protagoniste della convivialità, per un certo periodo mista, dei salotti. Ben presto, tuttavia, le donne della borghesia furono costrette in un rigido corsetto, che attribuiva loro un ruolo ben definito nella società, apparentemente fondato sulla «natura» femminile e ben distinto dalla posizione degli uomini. Nell'ordinamento di genere della società borghese, concepito in maniera complementare, gli uomini, individui liberi dotati di diritti e doveri, erano gli interlocutori dello Stato: il cittadino era per definizione maschio, corredato dei relativi attributi (ad esempio il valore in campo militare) e posto sullo stesso piano degli altri individui della sua categoria.
L'idea del soggetto moderno definito come cittadino e uomo si fondava sull'esclusione sistematica della donna come categoria e genere biologico, un salto di qualità rispetto al passato. Questa visione fu supportata da una produzione senza precedenti di lavori scientifici in discipline accademiche nuove o in via di costituzione, in primis la biologia, la medicina e l'antropologia. Nel processo di trasformazione da una società di stampo rurale e artigianale in una nazione industriale e dei servizi (società industriale), gli uomini furono liberati dai loro doveri nell'economia domestica e spinti verso il lavoro retribuito fuori casa (popolazione attiva). Quale risultato di questa dissociazione normativa tra casa e lavoro, le donne furono sempre più estromesse dalla produzione economica e dalla partecipazione politica.
I ruoli sessuali vennero ancorati nel diritto costituzionalecontestualmente alla fondazione dello Stato federale. La Costituzione federale del 1848 stabilì il principio dell'uguaglianza giuridica degli uomini, impose l'obbligo generalizzato di prestare servizio militare e concesse a tutti gli uomini di fede cristiana (dal 1867 anche ebraica) gli stessi diritti civili (diritto di cittadinanza). L'integrazione politica del corpus maschile andò di pari passo con la marginalizzazione delle donne. Alle barriere sociali che avevano precluso l'accesso al potere politico alle classi subalterne subentrò la discriminazione civile delle donne. Le distinzioni per ceto furono sempre meno accettate; l'uomo svizzero doveva essere combattivo, lavoratore e amante della libertà. Questo paradigma fu condiviso da uomini di orientamento liberale, conservatore e, più tardi, anche socialista. Alla sua diffusione contribuirono tra l'altro le manifestazioni patriottiche di massa, le associazioni,le feste di tiro e di canto (feste federali) e il servizio militare. L'integrazione delle élite avvenne per mezzo delle associazioni di studenti, organizzate sul piano nazionale. La caratteristica strutturale dello Stato federale, l'unione di uomini, si consolidò fino alla fine del XIX secolo e divenne una pietra miliare dell'identità nazionale.
«Il ciclo di vita della donna». Litografia anonima della fine del XIX secolo (Dokumentationsstelle Oberer Zürichsee, Wädenswil).
[…]
«Il ciclo di vita dell'uomo». Litografia anonima della fine del XIX secolo (DokumentationsstelleOberer Zürichsee, Wädenswil).
[…]
Quale pendant del modello del cittadino, dal XIX secolo si sviluppò l'idea della casalinga svizzera: la moglie e madre borghese (maternità) era responsabile del lavoro domestico nella famiglia, si prendeva cura di bambini, anziani e malati e supportava il marito nelle sue attività extradomestiche. Attorno al 1900 questa divisione dei ruoli fu sostenuta da uomini di ogni strato sociale, categoria professionale (professione) e orientamento politico (partiti). L'idea che il ruolo della donna si definisse in relazione al padre, al marito o al coniuge deceduto e che il suo compito consistesse nel servire i membri maschi della famiglia era ampiamente condivisa. Sia l'ideale maschile sia quello femminile acquisirono anche una valenza patriottica. Valori quali l'ordine, la pulizia, la parsimonia e lo zelo, già validi per la comunità produttiva famigliare, assursero a linee guida per le casalinghe svizzere dalla metà del XIX secolo.
Se durante l'industrializzazione crebbero le opportunità d'impiego (mercato del lavoro), i salari rimasero però talmente bassi che nel ceto operaio (operai) – e similmente in quello dei piccoli artigiani-contadini – uomini e donne continuarono a contribuire al mantenimento della famiglia, con lavori sia di sussistenza sia remunerati (aziende familiari). La classe borghese benestante si distanziò da questa nuova classe di lavoratrici e lavoratori anche attraverso la promozione dell'ideale della casalinga: il lavoro femminile salariato divenne un criterio di esclusione dei ceti inferiori dal potere economico e politico. Da allora, il lavoro femminile fu paradossalmente considerato onorevole se prestato a titolo gratuito nel contesto familiare e declassato e sottopagato se fornito dietro compenso. Se per la gestione dell'economia domestica la donna borghese impiegava ovviamente delle domestiche, queste ultime non erano invece contemplate nel modello della casalinga. Per le figlie della borghesia, dal canto loro, non era prevista una formazione volta a svolgere un lavoro retribuito e a raggiungere l'indipendenza economica dal padre o dal marito – uno dei motivi per il rafforzamento dal 1870 del movimento femminista come movimento per l'educazione (educazione femminile).
Il lavoro mal pagato delle donne operaie, rispettivamente quello gratuito delle figlie e mogli, assicurava maggiori possibilità economiche agli uomini, garantite nel XIX secolo anche nell'ambito del diritto privato. Le donne non potevano esercitare un'attività professionale senza il consenso del marito o del padre e al momento di sposarsi perdevano il diritto di disporre liberamente del proprio patrimonio (Codice napoleonico). Violazioni contro le norme di genere furono tassate come «oziosità» negli uomini e «dissolutezza» nelle donne, in particolare nei ceti più bassi, e sanzionate (internamento amministrativo). Nel diritto di famiglia il dualismo sessuale fu sancito in maniera sostanzialmente simile in tutti i cantoni e poi sul piano nazionale con il Codice civile (CC; 1907, entrato in vigore nel 1912).
Trasformazioni e continuità dal XX secolo
Autrice/Autore:
Lynn Blattmann, Ruth Ammann
Traduzione:
Christina Müller
Rispetto all'estero, in Svizzera il suffragio universale venne introdotto molto presto, ma rimase anche molto a lungo una prerogativa maschile. Considerato che i cittadini maschi godevano anche dei diritti di iniziativa e di referendum, quelli svizzeri non si limitavano quindi, come negli altri Paesi, a eleggere il parlamento. Grazie a questi ampi diritti politici, l'elettorato maschile aveva la facoltà di negare il diritto di eleggibilità e di voto alle donne. Per giustificarlo si argomentava tra l'altro che in ogni famiglia vi era almeno un uomo con diritto di voto e che la donna poteva esercitare una certa influenza politica per il tramite dei parenti maschi.
Secondo Congresso svizzero per la difesa degli interessi femminili a Berna, tenutosi nell'ottobre del 1921. Fotografia pubblicata sulla rivista La Patrie suisse, 1921, n. 733.
[…]
Il suffragio femminile fu introdotto nel 1971, nel periodo delle trasformazioni sociali indotte dal movimento del 1968 (rivolte giovanili), che misero in discussione e resero più permeabili anche i ruoli sessuali. Negli anni 1970 fu particolarmente controverso il superamento del tradizionale modello maschile, espresso ad esempio attraverso la scelta di portare i capelli lunghi. Tra gli uomini si diffuse la ribellione contro il servizio militare (obiezione di coscienza) e il carrierismo, mentre le donne indossavano più spesso pantaloni o altri capi d'abbigliamento fino ad allora connotati al maschile e fumavano in pubblico. Contemporaneamente le giovani generazioni insorsero contro il confinamento della sessualità all'interno del matrimonio e sperimentarono nuove forme di convivenza (concubinato). Donne e uomini omosessuali lottarono per ottenere il riconoscimento del loro stile di vita e delle loro unioni (omosessualità). Il Movimento di liberazione della donna (MLD) degli anni 1970 criticò la riduzione della donna al ruolo di casalinga e madre e la mancata valorizzazione del lavoro femminile (non retribuito). Con l'entrata in vigore del nuovo diritto matrimoniale (1988), il predominio maschile nelle relazioni coniugali e familiari fu sostituito da un modello più paritario. Sul piano giuridico furono quindi abolite le norme che regolavano il rapporto tra i sessi e la divisione dei compiti in base al genere.
Nel corso del XX secolo le differenze sociali, per le quali rimase determinante l'aspetto del lavoro femminile salariato, si declinarono anche secondo la provenienza geografica. Donne occupate in settori d'attività legati all'economia domestica costituirono una percentuale importante dell'immigrazione in Svizzera; dapprima vennero principalmente dalla Germania e dall'Austria, dagli anni 1960 dall'Italia, dalla Spagna e dal Portogallo e dagli anni 1980 dai Paesi dell'ex Jugoslavia, dalla Turchia e dal Sud del mondo. La condizione delle lavoratrici migranti nelle case svizzere era simile a quella delle domestiche proletarie di un tempo. Per loro valevano altre norme: come le operaie di fabbrica e le impiegate nella sanità di nazionalità straniera, non era previsto che fossero «casalinghe» o madri.Nell'alta congiunturatra il 1945 e il 1980 crebbe la disponibilità dell'economia a pagare agli uomini dei cosiddetti salari da sostentatore. Il lavoro casalingo gratuito svolto da molte donne, fino agli anni 1990 fu quindi saldato indirettamente tramite lo stipendio dell'«uomo di casa» che garantiva il mantenimento (coniugale). Pure il sistema scolastico (scuola), le assicurazioni sociali, il diritto del divorzio e il regime migratorio erano improntati su questo modello di genere.
Madri con figli in un centro commerciale a Ginevra. Fotografia, 2001 (Interfoto, Ginevra).[…]
La segregazione sessuale sul mercato del lavoro e nell'economia domestica, tuttavia, non ha subito grandi trasformazioni, nonostante una certa elasticizzazione delle norme di genere. Anche all'inizio del XXI secolo il tasso di lavoro salariato degli uomini con figli rimane alto. Malgrado la moltiplicazione dei compiti domestici nelle comunioni con figli, i padri con un'attività remunerata lavorano di più degli uomini senza figli. A causa del versamento insufficiente di contributi sociali, nella vecchiaia le donne sono più toccate dalla povertà, le migranti, inoltre, in misura sproporzionata dallo sfruttamento e dalla violenza. Gli sforzi per ottenere la parità di genere di regola sono incentrati sull'integrazione delle donne nel mercato di lavoro.
Lavoro remunerato e lavoro domestico, 2000-2020
[…]
Lavoro remunerato e lavoro domestico, 2000-2020
[…]
Per effetto della maggiore varietà di ruoli e dell'uguaglianza formale e giuridica tra uomo e donna, gli individui percepiscono e vivono la propria biografia come una scelta, indipendentemente dall'appartenenza di genere. Il calo dei matrimoni e l'aumento di divorzi, separazioni ed economie domestiche di una persona (37,2% nel 2022) nonché il basso tasso di natalità non sono interpretati come un problema dell'ordinamento di genere, ma come indicatori del crescente individualismo della società. Riallacciandosi alla lotta contro la discriminazione e l'eteronormatività, dagli anni 2010 il movimento LGBT chiede l'estensione delle categorie sessuali oltre il binarismo di genere.
Storia dei concetti e critiche
Autrice/Autore:
Ruth Ammann
Traduzione:
Christina Müller
Nelle scienze storiche i ruoli sessuali hanno un’importanza marginale come concetto analitico; si sono, tuttavia, imposti come categoria rilevante nella ricerca, nella politica di genere e nella società. In Svizzera la sociologia recepì la teoria dei ruoli sviluppata negli Stati Uniti, tra gli altri da Herbert Mead, che si affermò entro gli anni 1960. Attorno al 1970 uscirono diverse pubblicazioni sulla condizione femminile basate su questo concetto, che ebbero una notevole influenza sulla parità di genere in Svizzera, mettendo ad esempio in luce la situazione conflittuale vissuta dalle donne nel «doppio ruolo» di madri e lavoratrici. La categoria del gender, che definisce il genere come complesso di comportamenti sociali acquisiti (a differenza del sesso biologico, sex), ripresa dalla ricerca anglo-americana dalla fine degli anni 1970, aderiva in ampia misura alla concezione sociologica dei ruoli. Negli anni 1980 e 1990 la storica statunitense Joan W. Scott sviluppò ulteriormente l’idea del genere come categoria di analisi storica. Secondo Scott il genere non costituisce solo una componente essenziale delle relazioni sociali, ma anche della configurazione dei rapporti di potere. Come strumento di analisi, il ruolo passò quindi in secondo piano. Dagli anni 2000 l’accezione di gender è nuovamente cambiata: inteso come identità soggettiva e non più come classificazione binaria, si basa ora sull'idea di una varietà di identità sessuali, che mette l'accento su pratiche sovversive individuali di accettazione rispettivamente rifiuto del genere. Le tesi della teoria dei ruoli sessuali sono ormai divenute implicite.
Il concetto dei ruoli sessuali divenne un elemento centrale della politica per la parità di genere negli anni 1990. Accanto a miglioramenti della condizione femminile in ambito giuridico e politico, fu promossa anche una riflessione di fondo sui ruoli sessuali: le donne non avrebbero più dovuto concentrarsi principalmente sulla famiglia, ma orientarsi verso il lavoro retribuito per raggiungere l’indipendenza economica e sociale dai loro coniugi e padri dei loro figli; gli uomini, dal canto loro, non avrebbero più dovuto accontentarsi del ruolo di sostentatore della famiglia, ma assumere maggiori responsabilità nella cura dei bambini e nei lavori domestici. A questo scopo era necessario superare i cosiddetti ruoli sessuali tradizionali. Espressioni quali «stereotipi», «modelli comportamentali», «pregiudizi» o «tipico del genere» divennero concetti chiave nella politica per la parità dei sessi e nella ricerca sulla discriminazione di genere. Il discorso si spostò quindi dalla mera descrizione e analisi della gerarchia di genere, che il movimento femminista degli anni 1970 aveva tentato di cogliere con termini come «sessismo» o «patriarcato», verso la maniera di confrontarsi con le aspettative della società in merito alla tradizionale divisione dei ruoli e del lavoro e su come superarle. Anche il movimento per i diritti degli uomini iniziò a riflettere sugli stereotipi legati al genere maschile e alle sue conseguenze negative, dapprima con un riferimento prevalentemente positivo al movimento femminista. Il ricorso al concetto di ruolo consentiva di interpretare il genere come categoria distintiva e di evidenziare come anche gli uomini subissero le ripercussioni delle aspettative e delle coercizioni legate ai sessi.
Sia il concetto dei ruoli sessuali sia l’idea del genere inteso come gender sono, tuttavia, sempre stati oggetto di critiche. Già all’inizio degli anni 1970 femministe marxiste come Frigga Haug rimarcarono che utilizzando il ruolo come cerniera analitica tra il singolo e la società, con l'assunzione del proprio ruolo un individuo più o meno «libero» avrebbe dovuto legarsi a una società più o meno «costrittiva», negando sostanzialmente il rapporto di interdipendenza tra il singolo e la società e annullando esperienze esistenziali come la nascita, i legami interpersonali e i bisogni corporali nonché il lavoro prestato dalle donne in questi contesti. L’idea di società come somma di tutti gli individui, infine, non avrebbe permesso di rispondere agli interrogativi sociologici sulle caratteristiche sovrastrutturali, sui rapporti di potere e sulla loro normalizzazione. La critica al concetto di gender, mossa negli Stati Uniti in particolare da Nancy Fraser e in Svizzera da Tove Soiland, andava nella stessa direzione; entrambe sottolinearono che l’idea del genere come ruolo normativo si affermò nel dibattito scientifico proprio nel momento in cui dagli anni 1980 un apparato statale e burocratico di stampo neoliberista smantellò alcuni privilegi giuridici e professionali degli uomini (posizione di capofamiglia, salario unico, pregiudizi relativi alle prestazioni delle donne ecc.) e le norme persero rilevanza a livello sociale. A loro modo di vedere, questa idea di gender che invocava la sovversione dei ruoli poteva anche essere interpretata come elemento di un paradigma di ottimizzazione dell’individuo, che favoriva un sistema di economia flessibilizzata e a livello terminologico mascherava piuttosto le persistenti disuguaglianze tra uomini e donne. Dagli anni 2000 si discute inoltre, se la ricusa di dover appartenere a un genere aiuti a superare la gerarchizzazione in base al sesso o se la presunta scelta non rafforzi piuttosto un’accezione dell’individuo di matrice maschile-universale.
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