3.5.1820 Ligornetto, 3.10.1891 Ligornetto, cattolico (poi libero pensatore), di Ligornetto. Scultore, professore di scultura, artista socialmente e politicamente impegnato.
Vincenzo Vela era l'ultimo dei sei figli di Giuseppe Vela e di Teresa nata Casanova, entrambi di Ligornetto. I quattro fratelli furono tutti attivi in Italia: Luigi come falegname a Milano, Giovanni come scalpellino a Crema (cittadino austriaco dal 1853), Lorenzo come scultore di decorazione e docente all’Accademia di Brera a Milano e Vincenzo come scultore a Milano e Torino. Il padre era un piccolo agricoltore e la madre gestiva un’osteria. Vela sposò il 21 febbraio 1853, a Torino, Sabina Dragoni, che aveva conosciuto negli anni 1840 a Milano, dove la giovane lavorava come modella nello studio di Benedetto Cacciatori. Un anno dopo Sabina diede alla luce il loro unico figlio, Spartaco, attivo a Milano nell’ultimo ventennio del XIX secolo come pittore.
Intorno al 1832 (o al 1829 secondo alcune fonti), dopo aver ricevuto i primi rudimenti di istruzione elementare, venne avviato all’apprendistato di tagliapietre nelle cave di Besazio e, successivamente, di Viggiù, passando, entro il 1834, alla bottega milanese di un marmista attivo per la fabbrica del duomo. Sostenuto dal fratello Lorenzo, si iscrisse nel 1835 all’Accademia di Brera, dove fu allievo di Ferdinando Albertolli e, dal 1841 al 1844, dello scultore purista Benedetto Cacciatori qualificandosi come il suo più apprezzato collaboratore per la scultura di figura. Nel 1842 vinse il grande concorso di scultura dell’Accademia di Venezia.
Nel 1845 il Monumento al vescovo Giuseppe Maria Luvini, scolpito per il palazzo governativo di Lugano, attirò entusiastici consensi, guadagnando all’artista esordiente il determinante appoggio di numerosi esponenti del romanticismo milanese, tra cui il pittore Francesco Hayez, il poeta Andrea Maffei e i critici Carlo Tenca, Giuseppe Mongeri e Giuseppe Rovani, che lo identificarono come iniziatore di una nuova tendenza realista in scultura. Ottenne quindi importanti incarichi da parte di una committenza aristocratica e borghese capace di apprezzare il nuovo gusto, aggiornato sui modelli del romanticismo hayeziano e d’oltralpe (ad esempio ne La preghiera del mattino, esposta alla mostra annuale dell’Accademia di Brera nel 1846) e i contenuti simbolici risorgimentali dei suoi lavori. Nel 1847, dopo aver trascorso alcuni mesi a Roma per completare la propria formazione, militò come volontario nelle truppe federali durante la guerra del Sonderbund e, l’anno seguente, partecipò come volontario all’insurrezione lombarda (Cinque giornate di Como) e alla successiva campagna contro gli Austriaci. Frattanto aveva ideato e modellato lo Spartaco – grande nudo virile eroico, assurto a simbolo delle aspirazioni italiane all’indipendenza e all’unità nazionale – poi scolpito in marmo per il duca Antonio Litta ed esposto a Brera nel 1851 e all’Esposizione universale di Parigi nel 1855. Nel luglio del 1852, per evitare ogni compromesso con il governo austriaco, rifiutò il titolo onorario di socio d’arte dell’Accademia di Brera e venne espulso dalla Lombardia.
Vela si stabilì a Torino, dove godette della protezione degli aristocratici lombardi in esilio e di importanti esponenti della politica risorgimentale e unitaria avviata da Vittorio Emanuele di Savoia, come Camillo Benso conte di Cavour e Massimo d’Azeglio (dei quali realizzò notevoli ritratti). Qui scolpì importanti monumenti commemorativi (tra cui quelli a Cesare Balbo, all’esercito sardo, a Maria Teresa e Maria Adelaide di Sardegna e a Carlo Alberto di Savoia) e funerari (ad esempio della famiglia Prever, di Tito Pallestrini e di Giacinto Provana di Collegno) e venne nominato professore di scultura all’Accademia Albertina di belle arti nel 1856 (tra i suoi allievi Giuseppe Grandi).
Il successo riscosso a Parigi (Salon del 1863 ed Esposizione universale del 1867), con l’ordinazione da parte dell’imperatrice Eugenia di un Monumento a Cristoforo Colombo (1864-1867) e l’acquisto da parte di Napoleone III del marmo Gli ultimi momenti di Napoleone I (1866), gli aveva aperto le porte di una committenza anche internazionale. Nel 1867, dopo il trasferimento della capitale del nuovo regno d’Italia a Firenze e il tramonto degli ideali politici che avevano infiammato la sua adesione al Risorgimento italiano, abbandonò Torino per stabilirsi definitivamente nella sontuosa villa-studio edificata a Ligornetto, che oggi ospita il museo federale a lui intitolato, comprendente la sua gipsoteca e le collezioni artistiche della famiglia (Museo Vincenzo Vela). Qui proseguì nei decenni successivi la propria attività lavorando a due impegnativi progetti non realizzati per i monumenti al duca Carlo II di Brunswick (per Ginevra) e a Daniele Manin (per Venezia) e contribuendo in maniera determinante al rinnovamento del linguaggio scultoreo europeo dell’ultimo quarto del secolo nel ritratto e nella scultura funeraria (monumenti a Beatrice Barbiano di Belgiojoso e a Maria Scala De Martini) e celebrativa (Le vittime del lavoro, ideato in memoria dei caduti nel cantiere del traforo del Gottardo, e i monumenti ad Agostino Bertani, a Milano, e a Giuseppe Garibaldi, a Como) in direzione simbolista e verista.
Insignito di numerosi premi per le opere presentate in esposizioni nazionali e internazionali, fu socio onorario di varie accademie e istituti di belle arti e fece spesso parte di commissioni per l’assegnazione di premi e di commissioni pubbliche. Fu membro consultivo del Consiglio cantonale ticinese di pubblica educazione (1862-1877) e della Commissione permanente di belle arti del regno d’Italia (1881-1884). Collaborò alla progettazione di riforme dell’insegnamento artistico (nuovo statuto e regolamento dell’Accademia di Brera, 1860), fu tra i sostenitori di un progetto per l’istituzione di un’Accademia federale di belle arti in Ticino (1885-1887) e fautore della cooperazione tra gli artisti e tra i lavoratori attraverso la partecipazione a numerose società locali di promozione delle arti e di mutuo soccorso. Considerato una delle figure di riferimento del radicalismo ticinese, Vela fu deputato del Partito liberale radicale (PLR) al Gran Consiglio ticinese per una legislatura (1877-1881). L'impegno politico risorgimentale e liberale di Vela fu costante e coerente, a partire dalla lotta armata nelle campagne del 1847-1848 in Svizzera e nel Lombardo-Veneto, fino alla militanza nel PLR, al fianco dell’amico Carlo Battaglini, e alla strenua opposizione, negli ultimi anni, al governo conservatore del cantone, culminata nel suo parziale coinvolgimento nei cosiddetti fatti di Stabio del 22 ottobre 1876 e nel relativo processo del 1880. Ma è nel campo della pratica artistica e dell'attività didattica che risultano più evidenti le posizioni ideologiche di Vela e il suo partecipato sostegno alle rivoluzioni sociali, politiche, economiche e culturali che segnarono la vita della borghesia e del proletariato non soltanto nelle sue due patrie, quella elvetica e quella italiana, ma in tutta l’Europa, nella seconda metà del XIX secolo. Vela si spense nel 1891 da artista acclamato nella sua casa-museo a Ligornetto.
La critica romantica progressista sostenne fin dagli esordi il rinnovamento stilistico da lui proposto in scultura, leggendo in chiave ideologica risorgimentale il suo insistito realismo e la vibrante espressione emotiva delle sue figure. Altri rimproverarono a Vela di aver aperto la strada, con le seduzioni delle sue figure femminili di un realismo tattile e quasi epidermico, al sentimentalismo e alle pruriginose minuzie della scultura naturalista dei suoi epigoni, che tanto successo avrebbe riscosso alle esposizioni italiane e internazionali della seconda metà del XIX secolo. Il ricorso a una virtuosistica lavorazione delle superfici in funzione luministica, quasi pittorica, che caratterizza l’opera matura dell’artista influenzò direttamente, nell’ultimo quarto del secolo, le sprezzature della Scapigliatura di Grandi e, in parte, anche la resa atmosferica di Medardo Rosso. La potente sintesi volumetrica ed espressiva dell’altorilievo Le vittime del lavoro inaugurò nel 1882 la corrente del verismo sociale in scultura, rifacendosi direttamente ai modelli del realismo francese della metà del secolo e anticipando le analoghe soluzioni di Constantin Meunier.
Celebrato in vita e negli anni immediatamente successivi alla morte (si vedano le monografie di Augusto Guidini, Walther von Arx, Romeo Manzoni e, più tardi, Marco Calderini), il profilo di Vela finì poi per essere parzialmente ridotto, soprattutto negli studi d’area ticinese, piemontese e lombarda, a quello di figura locale e tuttalpiù a modello pedagogico della possibilità di un riscatto sociale attraverso l’arte. La rivalutazione complessiva della cultura artistica ufficiale, dell’arte accademica, dei soggetti storici e della scultura monumentale del XIX secolo europeo avviata – dopo decenni di trascuratezza – nella seconda metà degli anni 1970 ha coinvolto sin da subito l’opera di Vela, con gli approfondimenti di Nancy J. Scott, Barbara Cinelli, Gianna Piantoni e Donata Massola. L’interesse, anche internazionale, per l’artista è stato poi rilanciato in particolare grazie ai nuovi studi promossi dagli anni 1990 dal Museo Vincenzo Vela, sotto la direzione di Gianna A. Mina.