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Libero scambio

Il libero scambio si affermò come principio fondamentale del commercio internazionale verso la fine del XVIII secolo. Alla sua base vi erano le teorie economiche liberali sulla ricchezza delle nazioni enunciate da Adam Smith (liberalismo) e la teoria sui vantaggi comparati di David Ricardo (capitalismo), che indicavano i motivi per cui il commercio transfrontaliero privo di ostacoli era preferibile alla politica economica protezionistica propugnata dal mercantilismo. Nella prima metà del XIX secolo il concetto di libero scambio risultò in concorrenza con quello di «economia nazionale», ispirato soprattutto a Friedrich List e orientato prevalentemente al mercato interno, che poneva l'accento sul ruolo protettivo dello Stato e sul sostegno delle forze produttive locali nel quadro di un sistema economico chiuso verso l'esterno (regolamentazione del mercato).

Il Consigliere federale Johann Schneider-Ammann e il ministro del commercio della Repubblica popolare cinese Gao Hucheng sottoscrivono il 6 luglio 2013 a Pechino il trattato di libero scambio tra la Cina e la Svizzera (KEYSTONE, immagine 177272124).
Il Consigliere federale Johann Schneider-Ammann e il ministro del commercio della Repubblica popolare cinese Gao Hucheng sottoscrivono il 6 luglio 2013 a Pechino il trattato di libero scambio tra la Cina e la Svizzera (KEYSTONE, immagine 177272124).

Occorre distinguere tra il libero scambio come idea guida per la politica commerciale di un Paese e la sua attuazione effettiva (commercio estero). Sono sempre esistite restrizioni agli scambi, soprattutto sotto forma di dazi (dogane), in parte volti alla protezione del mercato interno, in parte conformati alla politica economica estera dei Paesi limitrofi o semplicemente istituiti a scopo puramente fiscale. In linea di principio un singolo Stato può aspirare al libero scambio, ma per tradurlo in pratica necessita della collaborazione dei partner commerciali.

Nel XIX e XX secolo la Svizzera, caratterizzata da una economia nazionale di dimensioni ridotte orientata all'esportazione e dotata di un mercato interno ristretto, perseguì una politica commerciale fortemente improntata al principio del libero scambio, ma con margini di manovra limitati, dettati dalle mutevoli circostanze esterne e interne.

Dal XIX secolo alla prima guerra mondiale

Prescindendo dalla creazione forzata di un sistema doganale e di controllo delle frontiere nel quadro del blocco continentale francese, nella prima metà del XIX secolo l'accesso ai mercati mondiali costituì il principale obiettivo della politica commerciale della Dieta federale e dei cantoni, vista la presenza di industrie fortemente orientate all'esportazione (soprattutto tessili e orologeria). In ambito economico, il Patto federale del 1815 ristabilì quasi interamente la sovranità dei cantoni. Il dazio di confine riscosso dalla Dieta per alimentare la cassa federale di guerra era di entità modesta e non aveva nessuna finalità di politica commerciale; anche i tributi e i dazi cantonali erano in genere contenuti e avevano soprattutto scopi fiscali. Benché anche in Svizzera attorno al 1820 si fosse sviluppato un dibattito su vantaggi e svantaggi del libero scambio e del protezionismo, i primi tentativi di ottenere una riduzione delle alte tariffe doganali francesi tramite dazi di ritorsione promossi da concordati intercantonali fallirono. Anche l'adesione allo Zollverein tedesco, presa in considerazione da alcuni cantoni di confine della Svizzera orientale, non poté essere attuata per ragioni politiche. Per questo motivo gli accordi stipulati dalla Dieta o da singoli cantoni con Paesi stranieri rimasero l'unico strumento di politica commerciale con l'estero.

Con la nascita dello Stato federale, la conclusione di accordi doganali e commerciali con l'estero divenne una prerogativa della Confederazione, le dogane interne furono abolite e i dazi vennero riscossi solo ai confini nazionali. La prima tariffa doganale federale, introdotta nel 1849, mirava soprattutto a compensare la diminuzione delle entrate per i cantoni e a coprire le spese della Confederazione, fornendo solo una protezione limitata alle attività artigianali e ai settori industriali particolarmente esposti alla concorrenza internazionale. Nel complesso prevalsero gli interessi dell'economia d'esportazione, di orientamento prevalentemente liberoscambista, mentre le richieste degli ambienti protezionisti furono accolte solo in modo molto limitato.

Con il graduale passaggio della Gran Bretagna al libero scambio a metà del XIX secolo e la conclusione di una serie di accordi commerciali che contenevano la clausola della nazione più favorita, le condizioni quadro in cui si svolgeva il commercio internazionale in Europa mutarono profondamente. La crescita degli scambi su scala mondiale fu favorita anche dallo sviluppo delle reti ferroviarie (ferrovie) e dalla stabilità del sistema monetario internazionale, basato sul bimetallismo (valutazione monetaria).

La Svizzera ebbe difficoltà a inserirsi nel sistema di accordi commerciali intraeuropei improntati al libero scambio, poiché a causa del basso livello della sua tariffa doganale in pratica non poteva offrire contropartite ai propri partner commerciali. Dalla metà del decennio 1870 le tendenze protezioniste si rafforzarono soprattutto in Germania, Francia e Austria. Anche in Svizzera aumentarono le rivendicazioni di dazi protettivi da parte dei settori agricolo (agricoltura) e artigianale, ma anche dell'industria cotoniera (cotone), gravemente colpita dalla crisi degli anni 1870. Il Consiglio federale reagì alla crescente pressione interna ed esterna adeguando più volte la tariffa doganale negli anni 1880 e 1890. Con questi dazi di ritorsione, in seguito spesso nuovamente ridotti, si riuscì a rafforzare la posizione negoziale della Svizzera nei confronti dell'estero. Tuttavia in un primo momento le richieste di adottare una politica di limitazione delle importazioni mediante dazi protettivi, avanzate dalle cerchie agricole e artigianali, vennero perlopiù ignorate.

Il periodo tra le due guerre mondiali

Con la prima guerra mondiale e il conseguente crollo del sistema monetario aureo, le basi su cui si reggeva il commercio internazionale risultarono fortemente indebolite. Al termine del conflitto, il ritorno a un ordine economico internazionale improntato al liberalismo si rivelò difficile a causa delle ripercussioni del periodo bellico e dell'instabilità politica.

L'aumento dei dazi nel quadro della tariffa doganale del 1921 non servì unicamente a compensare l'inflazione indotta dalla guerra e ad aumentare i margini negoziali nei confronti dell'estero: per la prima volta in Svizzera vennero introdotti veri e propri dazi protettivi in favore dell'agricoltura. La situazione precaria delle finanze federali comportò inoltre un aumento dei dazi fiscali. Sul piano valutario (denaro), il ripristino della parità prebellica già alla fine del 1924 costituì un presupposto favorevole per un ritorno al liberalismo economico dell'anteguerra; per altri Paesi ciò risultò tuttavia molto più difficile. Anche nella liberalizzazione delle politiche commerciali e doganali i progressi furono lenti: solo la Conferenza economica mondiale convocata a Ginevra nel 1927 dalla Società delle Nazioni portò alla riaffermazione generalizzata del principio della nazione più favorita.

Con l'abbandono forzato del gold standard da parte della Gran Bretagna (1931) in seguito alla crisi economica mondiale, la conseguente serie di svalutazioni delle valute nazionali e l'introduzione di misure protezioniste negli scambi commerciali e nelle transazioni finanziarie (movimenti di capitali) internazionali, il processo di liberalizzazione degli anni 1920 venne revocato in breve tempo. Anche la Svizzera dovette perlopiù sostituire alla politica commerciale multilaterale, basata sul principio del libero scambio, relazioni bilaterali che prevedevano la conclusione di accordi di pagamento e di clearing (transazioni finanziarie) con i singoli Stati. Durante la seconda guerra mondiale, le esigenze dell'economia di guerra e il contesto geostrategico comportarono ulteriori restrizioni agli scambi internazionali.

Il dopoguerra

Sul piano istituzionale, le premesse per l'ordine economico mondiale del secondo dopoguerra furono create già nel 1944 con gli accordi di Bretton Woods, che miravano a ripristinare il multilateralismo e una maggiore libertà negli scambi attraverso la costituzione del Fondo monetario internazionale (FMI) e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (Birs o Banca mondiale). Considerata la sua favorevole situazione economica, la Svizzera, Paese creditore che disponeva di una valuta convertibile, in un primo tempo non ritenne vantaggiosa l'adesione alle istituzioni di Bretton Woods, divenuta effettiva solo nel 1992.

Nell'immediato dopoguerra, la liberalizzazione dei mercati mondiali e il libero scambio si imposero solo gradualmente. Come nella prima metà del XIX secolo, nell'Europa occidentale si delinearono due tendenze della politica commerciale internazionale, in parte contrastanti: da un lato l'aspirazione a un «libero scambio globale», volto a una liberalizzazione delle transazioni finanziarie e del commercio nel maggior numero di Stati nel quadro dell'Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE, poi Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE) e dell'Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio (Gatt, Organizzazione mondiale del commercio, OMC), e dall'altro l'integrazione degli Stati europei finalizzata alla creazione di un grande mercato comune. Quest'ultima tendenza portò alla costituzione della Comunità europea (dal 1993 Unione europea, UE), che aveva finalità anche politiche, e dell'Associazione europea di libero scambio (AELS), che si poneva invece obiettivi puramente economici.

Il direttore della divisione del commercio Paul R. Jolles e il Consigliere federale Ernst Brugger (sulla destra) firmarono il 22 luglio 1972 a Bruxelles l'accordo bilaterale di libero scambio tra la Confederazione e la Comunità europea (Museo nazionale svizzero, Zurigo, Actualités suisses Lausanne).
Il direttore della divisione del commercio Paul R. Jolles e il Consigliere federale Ernst Brugger (sulla destra) firmarono il 22 luglio 1972 a Bruxelles l'accordo bilaterale di libero scambio tra la Confederazione e la Comunità europea (Museo nazionale svizzero, Zurigo, Actualités suisses Lausanne).

La Svizzera sostenne il progressivo abbattimento delle barriere doganali nell'ambito di organizzazioni internazionali in base al principio del libero scambio globale: già nel 1948, la Confederazione aderì all'OECE, e sin dagli esordi fece parte dell'Unione europea dei pagamenti, nata nel 1950, che favorì il passaggio dal bilateralismo al multilateralismo negli scambi intraeuropei e la liberalizzazione del commercio. Al 1958 risale l'adesione – dapprima provvisoria – al Gatt; l'unica riserva riguardava la protezione del settore agricolo nazionale, un obiettivo peraltro condiviso dalla maggior parte degli Stati europei. La Svizzera fu anche tra i Paesi fondatori dell'AELS nel 1960, mentre nutrì forti riserve, soprattutto di carattere politico, nei confronti delle Comunità europee.

Dagli anni 1970 il basso livello dei dazi sui prodotti industriali e la deregolamentazione accelerata dei mercati finanziari nazionali (mercato di capitali) seguita al crollo del sistema di Bretton Woods hanno contribuito in maniera determinante a indirizzare ulteriormente l'economia mondiale verso il libero scambio globale; settori in precedenza protetti sono stati progressivamente esposti alla concorrenza internazionale (movimenti di capitali). Questo fenomeno, riassunto nel concetto di globalizzazione, suscita grandi speranze di sviluppo economico generalizzato, ma anche crescenti critiche a causa dei rapidi mutamenti strutturali che comporta e delle ripercussioni sociali che ne risultano, difficilmente prevedibili.

Riferimenti bibliografici

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  • Halbeisen, Patrick; Müller, Margrit: «Ökonomische Motive und Erwartungen – ihr Einfluss auf die Bundesstaatsgründung», in: Ernst, Andreas; Tanner, Albert; Weishaupt, Matthias (a cura di): Revolution und Innovation. Die konfliktreiche Entstehung des schweizerischen Bundesstaates von 1848, 1998, pp. 117-136.
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  • Hug, Peter; Kloter, Martin: «Der "Bilateralismus" in seinem multilateralen Kontext. Die Aussenpolitik der Schweiz zur Sicherung ihres Aussenhandels und Zahlungsverkehrs 1920/30-1958/60», in: Hug, Peter; Kloter, Martin (a cura di): Aufstieg und Niedergang des Bilateralismus. Schweizerische Aussen- und Aussenwirtschaftspolitik 1930-1960. Rahmenbedingungen, Entscheidungsstrukturen, Fallstudien, 1999, pp. 13-139.
  • Humair, Cédric: Développement économique et Etat central (1815-1914). Un siècle de politique douanière suisse au service des élites, 2004.
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Suggerimento di citazione

Margrit Müller; Patrick Halbeisen: "Libero scambio", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 31.01.2025(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/026193/2025-01-31/, consultato il 16.06.2025.