Autrice/Autore:
Georg Kreis
Traduzione:
Alberto Tognola
Per l'analisi della politica estera sviz. occorre distinguere tre fasi: la vecchia Conf., il periodo di transizione dalla fine dell'ancien régime alla fondazione dello Stato fed. e la Svizzera moderna. Nella vecchia Conf. la politica estera verteva essenzialmente su questioni militari ed economiche. Fino alla Repubblica elvetica essa comprendeva due sfere distinte: le relazioni interne alla Conf. (cioè i rapporti tra i cant. sovrani) e quelle con i Paesi stranieri. Se fino alla fine del XV sec. i rapporti con l'estero ebbero principalmente finalità espansionistiche, nel XVII sec. l'accento fu posto sulla neutralità. I primi tentativi di trasferire competenze dai cant. a un'istituzione superiore (Dieta fed.), manifestatisi nella fase di transizione tra il 1798 e il 1848, si concretizzarono con la fondazione dello Stato fed., soprattutto perché la politica estera divenne prerogativa del Consiglio fed.
Fino al termine della Guerra fredda (1989/90), la cosiddetta politica estera classica, finalizzata al mantenimento dell'indipendenza dello Stato e tradotta in massime operative dopo il 1945, si fondò su cinque pilastri: Neutralità, Solidarietà (collaborazione intern., mantenimento della pace), universalità (relazioni diplomatiche a tutto campo e senza pregiudiziali ideologiche), disponibilità (attività di mediazione sul piano intern., Buoni uffici) e benessere. La neutralità risultava preminente rispetto agli altri quattro principi. Il processo di globalizzazione e la distensione intern. resero necessaria e contemporaneamente favorirono la collaborazione interstatale anche al di fuori degli ambiti tradizionali. Sul piano intern. si rafforzò la volontà di cooperare in settori in passato prerogativa della politica interna, come ad esempio l'ambiente, il diritto d'asilo, i trasporti, la formazione e la lotta al crimine. Dal 1993 il Consiglio fed. ha posto la tutela degli interessi nazionali al centro della politica estera, finalizzata al mantenimento della pace, alla promozione dei diritti umani, della democrazia, dello Stato di diritto e del benessere nonché alla riduzione delle differenze sociali e alla protezione delle risorse naturali. Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso cinque linee guida di pari importanza: solidarietà, sicurezza collettiva, integrazione europea, collaborazione e codecisione, neutralità.
Vecchia Confederazione
Autrice/Autore:
Georg Kreis
Traduzione:
Alberto Tognola
Fino alla caduta della vecchia Conf. nel 1798, occorre distinguere tra le due sfere della politica estera (relazioni all'interno della Conf., rapporti con l'estero), di regola comunque interconnesse. Tra le "potenze straniere" assumevano una particolare importanza gli Asburgo, l'Impero, la Francia, la Spagna, Milano, Venezia, la Savoia, lo Stato pontificio, gli Stati generali olandesi e, in misura minore, l'Inghilterra.
Costituiscono esempi di politica estera "interna" tra l'altro il Patto fed. del 1315 - che oltre alla mutua assistenza prevedeva indirettamente una politica comune nei confronti dell'estero, dato l'obbligo di sottoporre accordi bilaterali con terzi all'approvazione dei membri dell'alleanza - e la convenzione di Sempach del 1393, che prescriveva la comune rinuncia a campagne militari "arbitrarie" di saccheggio e conquista (Patti federali). Ripetutamente si verificarono tensioni e anche scontri armati che videro opposti futuri membri della Conf. (più volte ad esempio Svitto e Zurigo, Lucerna e Zofingen nella guerra di Sempach, Basilea e i Conf. nella guerra di Svevia, Berna e il Vallese durante la conquista del Paese di Vaud).
Nella politica estera in senso stretto rientrano ad esempio la Pace perpetua del 1474 tra gli otto cant. conf. e il duca Sigismondo d'Asburgo, che sancì il riconoscimento reciproco dei rispettivi possedimenti, o la Pace perpetua del 1516 con la Francia. Le alleanze con Rottweil (1463) e Mulhouse (1466), che non portarono all'integrazione delle due località nella Conf., si collocano invece a metà tra le due sfere.
In entrambi i casi, la politica estera non è costituita dall'insieme di tutte le forme di relazione con l'estero, ma dall'instaurazione di rapporti tra detentori dell'autorità signorile risp. statale per mezzo di accordi; l'analisi storica non deve però limitarsi allo studio di tali accordi, ma anche e soprattutto prestare attenzione alla loro genesi e attuazione pratica. Inizialmente la politica estera era circoscritta a due settori: quello militare, con i patti di assistenza e di non aggressione, le capitolazioni (Servizio mercenario) e gli accordi sul transito delle truppe, e quello economico, strettamente legato al primo, con la concessione di Privilegi commerciali (spec. per le forniture di sale) e la regolamentazione del diritto di domicilio.
Nella vecchia Conf. la politica estera "interna" era a geometria variabile. I 13 cant. avevano diritti e obblighi diversi: le città di Berna e Zurigo godevano ad esempio di una maggiore autonomia dei tre cant. primitivi. Dal XIII alla fine del XV sec. le autorità bernesi mantennero un proprio sistema di alleanze con Soletta, Bienne e Friburgo, che prima del 1481 non facevano ancora parte della Conf. (Confederazione burgunda). L'ingresso nell'alleanza di Basilea (1501) fu vincolata alla singolare condizione di non intraprendere guerre per proprio conto senza l'approvazione della maggioranza della Dieta fed. Anche nella politica estera "esterna" vigevano parametri diversi: Zurigo ad esempio aderì alla Pace perpetua con la Francia solo nel 1614 e, insieme a Berna, concluse alleanze particolari con Strasburgo (1588) e Venezia (1615). Le intese separate erano frequenti in entrambe le sfere della politica estera: si vedano ad esempio il patto di comborghesia perpetua tra le città di Zurigo, Berna, Lucerna, Friburgo e Soletta (convenzione di Stans, 1477), la Comborghesia cristiana tra Zurigo e Costanza (1527), l'Alleanza cristiana tra i cinque cant. della Svizzera centrale e l'Austria (1529) e il cosiddetto Trücklibund (1715) tra Luigi XIV e i cant. catt. (Alleanze).
Protagonisti della politica estera risultavano di regola i Piccoli Consigli risp. le fam. dominanti dei vari cant. Talvolta vi era anche la ricerca di un consenso plebiscitario: singoli accordi venivano sottoposti all'approvazione della Landsgemeinde; a Zurigo, in seguito alla sconfitta nella seconda guerra di Kappel (1531), il Consiglio dovette impegnarsi di fronte agli ab. della campagna a consultarli prima di prendere decisioni importanti. Anche a Berna furono occasionalmente promosse consultazioni popolari relative a singoli trattati. Alle ratifiche facevano di solito seguito solenni giuramenti, sia presso la controparte (vedi ad esempio l'"arazzo dell'alleanza" presso il Museo nazionale sviz., che ritrae gli inviati sviz. alla corte franc. nel 1663) sia in patria (raffigurazioni del rinnovo dell'alleanza con la Francia a Soletta, "città degli ambasciatori", nel 1777, presso la Biblioteca centrale di Soletta).
Insieme all'amministrazione dei baliaggi comuni, la politica estera era il più forte collante tra i Conf., e rese necessaria la creazione del primo organismo comune, la Dieta fed., che si riunì regolarmente dal 1421. Dopo l'esperienza delle guerre di Borgogna, alla Dieta di Stans del 1481 Berna propose di uniformare le politiche estere tramite la creazione di un'"alleanza comune, ugualitaria e decorosa". La limitazione esplicita degli obblighi dei coalizzati al significato letterale dell'«alleanza giurata» impedì però una conduzione unitaria della politica estera conf. Anche un ulteriore tentativo di limitare la sovranità dei singoli cant. in favore della Conf., intrapreso nel 1503 con il cosiddetto trattato sulle Pensioni, non ebbe successo. La Dieta dal canto suo era troppo debole per riuscire ad armonizzare gli interessi dei cant. sovrani.
Fino alla fine del XV sec., la politica estera della Conf. fu prevalentemente espansionistica. Protagonisti furono in primo luogo i cant. direttamente interessati: Zurigo, Svitto e Glarona per l'espansione verso nord est, soprattutto Uri per quella verso sud e Berna per quella verso ovest. La fine di questa fase si preannunciò già con i contrasti emersi durante la Dieta di Stans del 1481, cioè quasi 40 anni prima dell'evento che secondo la storiografia tradizionale segnò la fine della politica di potenza della Conf., vale a dire la sconfitta nella battaglia di Marignano. Le frasi attribuite a Nicolao della Flüe - "non erigete lo steccato troppo lontano […] non fatevi carico degli affari altrui" - tratte dal testo di Johannes Salat del 1537, costituiscono comunque un monito propagandistico dei cant. catt. e della Svizzera centrale contro la rif. Berna, che l'anno precedente aveva conquistato il Paese di Vaud. Nel XVI sec. la politica estera conf. e le relative alleanze furono finalizzate in primo luogo al consolidamento delle posizioni acquisite nel rispetto degli equilibri confessionali.
Nel XVII sec., e in particolare durante la guerra dei Trent'anni, la politica di neutralità, che in seguito assunse un'importanza sempre maggiore, divenne un ulteriore strumento a tutela dell'integrità terrioriale conf. Rifiutandosi implicitamente di riconoscere la Camera imperiale, già con la pace di Basilea seguita alla guerra di Svevia del 1499 la Conf. si era distaccata dall'Impero. Per la città di Basilea, entrata nella Conf. solo nel 1501, Johann Rudolf Wettstein (1594-1666) ottenne separatamente l'indipendenza dall'Impero in occasione della pace di Vestfalia del 1648; contestualmente nel trattato di Osnabrück e in quello di Münster venne ribadita l'esenzione dall'Impero anche dei restanti cant. conf. e il riconoscimento intern. del Corpo elvetico. Wettstein, oggi molto lodato, in quel contesto assunse una posizione nettamente diversa rispetto a quella attribuita a Nicolao della Flüe, dichiarando - non secondo una vaga leggenda, ma in una lettera tramandata - quanto segue: "Non è sufficiente incrociare le braccia; occorre immischiarsi negli affari altrui e aiutare a spegnere l'incendio che divora la casa del vicino, al fine di preservare intatta la propria. […] Oggi la ragione di Stato chiede ben più che far lucidare e pulire le alabarde".
Dalla Repubblica elvetica allo Stato federale
Autrice/Autore:
Georg Kreis
Traduzione:
Alberto Tognola
Un ministero degli affari esteri fu creato per la prima volta durante l'Elvetica, dunque proprio in un periodo in cui il margine di autonomia della Svizzera era particolarmente ridotto a causa del ruolo dominante della Francia. In seguito, il fatto che in questa fase il territorio sviz. fosse diventato il "campo di battaglia d'Europa" (guerre di Coalizione) rappresentò un'importante giustificazione per gli sforzi volti a salvaguardare l'indipendenza nazionale.
Durante il congresso di Vienna venne stabilito il nuovo ordine europeo. Con la dichiarazione del 20.3.1815 fu riconosciuta l'estensione territoriale odierna della Svizzera, mentre nel quadro della seconda pace di Parigi venne sancita la "neutralità perpetua" del Paese inclusa la Savoia settentrionale, di cui la Conf. si impegnò a garantire la neutralità (20.11.1815).
Il Patto fed. del 1815 uniformò solo parzialmente la politica estera: se infatti la competenza di concludere alleanze e trattati commerciali fu attribuita alla Dieta fed., i cant. mantennero il diritto di concludere capitolazioni militari e accordi di natura economica. Durante la Restaurazione, la Svizzera fu ripetutamente sottoposta alle pressioni delle potenze conservatrici, e in particolare dell'Austria; il Conclusum sulla stampa e sugli stranieri del 1823 rappresentò il risultato più conosciuto di queste sollecitazioni. Esemplare per numerosi altri casi meno noti fu la richiesta franc. del 1838 di espellere il principe Luigi Napoleone Bonaparte, accusato di ordire piani insurrezionali dalla Svizzera. Nel 1845, l'unione difensiva dei cant. catt., volta a "tutelare la loro sovranità e i loro diritti territoriali", fu un tardivo esempio di alleanza separata di vecchio tipo (Sonderbund).
Dalla fondazione dello Stato federale all'inizio del XXI secolo
Autrice/Autore:
Georg Kreis
Traduzione:
Alberto Tognola
Nella fase cruciale della nascita dello Stato fed. (novembre 1847-gennaio 1848), le potenze conservatrici (Francia, Austria e Prussia) tentarono di ostacolare tale processo, mentre l'Inghilterra seguì gli avvenimenti con una certa benevolenza. In materia di politica estera, la Costituzione fed. del settembre del 1848 sancì un ulteriore trasferimento di competenze dai cant. al governo nazionale. L'art. 90 (art. 102 della Costituzione del 1874) affidava la "conservazione degli interessi della Conf. all'estero, e spec. i rapporti di diritto intern." al Consiglio fed., "in generale [...] incaricato degli affari esteri". Nell'art. 10 si stabiliva che "i rapporti ufficiali tra i cant. ed i governi degli Stati esteri, siccome pure coi rappresentanti di questi, hanno luogo per mezzo del Consiglio fed.". L'art. 9 comunque lasciava ai cant. la facoltà di stipulare in via eccezionale trattati con l'estero in materia "di economia pubblica, di rapporti di vicinato e di polizia", e lo stesso art. 10 permetteva ai cant. di stabilire contatti diretti con autorità e funzionari subordinati di un Paese straniero. Nei primi anni di vita dello Stato fed., il Consiglio fed. dovette più volte ricordare ai cant., ai propri funzionari e alle rappresentanze estere che la Conf. costituiva ormai un organismo unitario.
Nel novembre del 1848 il nuovo Stato si dotò di un ministero degli affari esteri, che assunse la denominazione provvisoria - poi però mantenuta per 130 anni - di Dip. politico fed. (DPF; dal 1978 Dip. fed. degli affari esteri, DFAE). Inizialmente il Dip. fu affidato al pres. della Conf., che cambiava ogni anno. Tale soluzione venne adottata in linea di principio fino al 1914, ad eccezione degli anni 1887-92 (Numa Droz) e 1893-95 (Adrien Lachenal). Una certa continuità nella conduzione degli affari esteri fu resa possibile solo a partire dal 1869, con la nomina di un segr. Nel 1888 il DPF venne ulteriormente potenziato sotto la direzione di Droz; la rete delle rappresentanze diplomatiche all'estero rimase comunque modesta (Diplomazia). Per lungo tempo ci si accontentò delle legazioni di Parigi (dal 1798) e Vienna (dal 1802) ereditate dalla vecchia Conf.; solo in seguito all'unità d'Italia e alle guerre condotte dalla Prussia ne furono aperte altre due, la prima nel 1864 a Torino (poi trasferita a Firenze), e la seconda nel 1867 a Berlino. A causa delle pressioni statunitensi e del crescente numero di emigrati, nel 1882 venne creata la legazione di Washington. Nel 1891 seguirono le rappresentanze in Argentina (Buenos Aires), terra d'emigrazione, e a Londra (nei decenni precedenti, i rapporti anglo-sviz. erano stati affidati alla missione diplomatica inglese a Berna con la soddisfazione di entrambe le parti). Dopo aver marcato la propria presenza nel continente americano, nel 1906 l'attenzione venne rivolta verso est, con l'apertura di legazioni a San Pietroburgo e Tokio. Ancora l'anno precedente, il Consigliere fed. Ludwig Forrer aveva dichiarato che quattro legazioni nei Paesi limitrofi erano in fondo sufficienti.
A causa dell'esigua estensione territoriale, del particolarismo federalistico e dei contrasti interni (ad esempio di natura confessionale), prima del 1848 la Svizzera aveva spesso subito ingerenze estere. Compito prioritario del giovane Stato fed., accerchiato dalle monarchie, divenne quindi di difendere la propria sovranità ponendo fine agli interventi stranieri e di salvaguardare contemporaneamente gli esiti della rivoluzione liberale del 1847. Particolarmente problematica a tale proposito risultava la questione dei rifugiati e degli esuli (Profughi). Quando le autorità rifiutavano di concedere un'espulsione richiesta da uno Stato estero, agivano più per dimostrare la propria autonomia che per solidarietà. La ragion di Stato indusse comunque il Consiglio fed. a fare concessioni alle due potenze maggiormente toccate dal problema, l'Austria e la Prussia, comminando restrizioni ed espulsioni. Tra i vari motivi che portarono alla soppressione del servizio mercenario entro il 1859, uno dei più importanti fu la volontà di ridurre la dipendenza politica dall'estero. L'integrità territoriale fu difesa con la massima fermezza: in occasione del cosiddetto affare di Büsingen (1848), il neocostituito Stato fed. mobilitò 25'000 uomini per dimostrare inequivocabilmente la propria determinazione a non tollerare violazioni dei confini anche minime. Arrestando ed espellendo nel 1889 l'ispettore di polizia ted. incaricato di sorvegliare l'emigrazione socialista (affare Wohlgemuth), la Svizzera, ormai consolidatasi, mostrò di non tollerare attività di spionaggio sul proprio territorio. Quando nel 1902 le autorità fed. pretesero il richiamo del ministro it. in Svizzera (affare Silvestrelli), la vertenza non nasceva da dispute territoriali, ma dall'atteggiamento arrogante del diplomatico, che aveva accusato il Consiglio fed. di essere responsabile della pubblicazione di un foglio anarchico.
Lo statuto ambiguo sul piano del diritto intern. del cant. Neuchâtel, a cui il re di Prussia non aveva formalmente rinunciato dopo la rivoluzione repubblicana del 1848, alla lunga si rivelò intollerabile per la sovranità sviz. Nel 1856-57 il fallito colpo di Stato dei realisti neocastellani e le minacce prussiane portarono a una dimostrazione inequivocabile della fermezza militare della Conf. e infine alla piena integrazione nel consesso nazionale degli ex possedimenti prussiani (affare di Neuchâtel).
Nei momenti di guerra incombente (conflitti tra Italia e Austria, 1859 e 1866; affare del Lussemburgo, 1867; guerra Franco-prussiana, 1870), la Svizzera ribadì con forza la propria sovranità, evidentemente non ancora pienamente consolidata. L'accento veniva posto soprattutto sulla tutela dell'integrità territoriale, e solo secondariamente sul rispetto della neutralità. L'attività di mediazione, considerata tradizionale complemento alla neutralità, assunse importanza solo in seguito. La Svizzera ad esempio non partecipò ufficialmente alla fondazione della Croce Rossa nel 1863; il Consiglio fed. venne coinvolto solo l'anno seguente quando si trattò di convocare una conferenza intern. a Ginevra. L'internamento dell'esercito di Bourbaki diede poi un forte impulso all'idea di una Svizzera umanitaria, isola di pace e terra d'Asilo.
In seguito al celebre arbitrato dell' Alabama del 1872, la Svizzera ebbe modo di profilarsi quale promotrice dei tribunali arbitrali. Quale piccolo Stato era favorevole alla soluzione di conflitti per via giur., che costituiva peraltro un'antica prassi per dirimere le vertenze intercant. Solo tra il 1890 e il 1903, la Svizzera partecipò a ben 14 procedure arbitrali intern. Durante le conferenze di pace dell'Aia (1899, 1907), per tutelare i propri interessi la Svizzera mantenne un atteggiamento piuttosto prudente (convenzioni dell' Aia, buoni uffici).
L'idea dell'utilità intern. della Svizzera in virtù della sua natura di piccolo Stato neutrale assunse l'importanza odierna solo nel 1920, con la scelta di Ginevra quale sede della Società delle Nazioni. Già in precedenza comunque numerose Organizzazioni internazionali si erano stabilite nella Conf. (Unione telegrafica intern., 1869; Unione postale universale, 1874; ufficio intern. dei brevetti, 1883; Unione per la protezione delle opere letterarie ed artistiche, 1886; ufficio centrale dei trasporti ferroviari intern., 1890), a cui seguirono anche organismi non governativi (Ufficio intern. per la pace, 1891; Unione interparlamentare, 1892).
Prima del 1914 il Consiglio fed. riteneva che la Svizzera in quanto piccolo Stato non conducesse una politica estera in senso stretto, ma che si limitasse alla conclusione di accordi su questioni specifiche (ad esempio commercio, trasporti, emigrazione, diritto di domicilio, rettifiche minori delle frontiere, correzione dei corsi d'acqua confinanti, tratta delle bianche, epizoozie, epidemie). Grande importanza assumeva la politica commerciale. In un primo momento si trattò di introdurre il dazio unico ai confini nazionali (Dogane), istituito per compensare il calo delle entrate cant., dovuto alla soppressione dei diritti doganali interni, e per finanziare la neocostituita amministrazione fed. In linea di principio la Conf. mantenne un orientamento liberoscambista. Punto di partenza dei negoziati era la tariffa generale, su cui venivano offerte riduzioni in cambio di speculari concessioni della controparte. Per contrastare misure protezionistiche da parte sviz. si ricorreva anche all'introduzione temporanea di dazi di ritorsione. Dopo una fase di forte crescita all'insegna del Libero scambio, tra il 1875 e il 1890 la Svizzera adottò gradualmente una politica protezionistica. Dato che i funzionari fed. non erano in grado di far fronte alla crescente complessità della politica economica con l'estero, essendo in pochi e per giunta privi delle necessarie competenze specifiche, le federazioni, e in particolare l'Unione sviz. del commercio e dell'industria, assunsero un forte peso nelle trattative. Nel 1895 la divisione del commercio fu trasferita dal DPF al Dip. fed. dell'economia pubblica. In seguito venne a più riprese avanzata la proposta di aggregarla nuovamente al DPF risp. al DFAE, con la motivazione che ciò avrebbe permesso una migliore coordinazione tra i rapporti politici e i rapporti economici con l'estero.
Se da un lato l'integrità territoriale sviz. era considerata nemmeno temporaneamente violabile, dall'altro all'interno del Paese occasionalmente si manifestarono spinte in direzione dell'ampliamento del territorio nazionale, ad esempio tramite l'annessione della Savoia settentrionale (affare della Savoia) o di parti dell'Alsazia o dell'Italia settentrionale. Con la corsa alla conquista delle ultime colonie, nel 1885 in parlamento ci si interrogò se anche la Svizzera dovesse muoversi in tal senso. Il Consiglio fed. si dichiarò contrario, sottolineando che il Paese era privo di un accesso al mare e di una flotta.
Con l'aggravarsi dell'antagonismo franco-prussiano, e comunque al più tardi dal 1870, si acuì anche il problema della posizione sviz., ad esempio in relazione al tracciato, al finanziamento e all'appalto dei lavori delle linee ferroviarie transalpine. Sia la linea del Gottardo sia, sorprendentemente, quella del Sempione-Lötschberg favorirono il Reich ted. Per quanto sia possibile generalizzare, nei decenni precedenti alla Grande guerra la Germania assunse un peso maggiore nell'ambito della politica estera della Conf. a scapito della secolare predominanza franc. Espressioni di tale mutamento furono la visita ufficiale dell'imperatore ted. per assistere alle manovre militari sviz. e la crescente contrapposizione tra Svizzera ted. e franc. già prima del 1914. Una netta cesura si ebbe durante la prima Guerra mondiale con le rapide dimissioni di Arthur Hoffmann, Consigliere fed. responsabile per la politica estera, dovute al tentativo di promuovere una pace separata tra la Germania e la Russia in violazione della neutralità.
Terminata la fase in cui aveva prevalso l'influenza ted., dal 1918 si fece nuovamente sentire il peso della Francia, spec. in relazione alla disputa sulle zone franche. La Conf. cercò quindi di ristabilire "l'equilibrio delle potenze", importante per un piccolo Paese come la Svizzera, favorendo la reintegrazione della Germania nella comunità intern. I rapporti con l'Unione Sovietica furono tesi sin dalla sua costituzione; le relazioni diplomatiche si normalizzarono solo nel 1946. Nei confronti dei regimi totalitari it. (1922) e ted. (1933) la posizione ufficiale sviz. al contrario fu manifestamente amichevole, da un lato perché ci si appellò alla formula del buon vicinato, evitando giudizi di valore sulle due dittature, e dall'altro perché tali forme di totalitarismo risultavano comunque meno in contrasto con l'identità elvetica dominante rispetto al modello sovietico. Dopo il 1945 si affermò il principio dell'universalità, in base al quale Stati risp. governi venivano riconosciuti indipendentemente dalla loro connotazione politica, a condizione che esercitassero il controllo effettivo del loro territorio.
Protagonista della politica estera nel periodo tra le due guerre mondiali fu il Consigliere fed. Giuseppe Motta, che come il suo predecessore Hoffmann (1914-17) diresse il DPF senza soluzione di continuità (1920-40). Con l'adesione alla Soc. delle Nazioni nel 1920, accolta a debole maggioranza in votazione popolare, la Svizzera entrò a far parte di un organismo collettivo per la salvaguardia della pace. Gli anni seguenti furono caratterizzati dalla dottrina della neutralità differenziata (partecipazione a sanzioni economiche ma non a quelle militari). Le esperienze fatte nel 1935 con la partecipazione alle sanzioni durante la guerra d'Etiopia e le pressioni delle potenze dell'Asse, uscite dalla Soc. delle Nazioni, nel 1938 indussero la Svizzera a ritornare alla neutralità integrale.
Nella seconda Guerra mondiale, la sconfitta della Francia nell'estate del 1940 fece venir meno i presupposti per una politica estera equilibrata; in particolare si accrebbe la dipendenza nei confronti del Terzo Reich. Il Consigliere fed. Marcel Pilet-Golaz, all'epoca capo del DPF, è considerato il maggiore responsabile dell'atteggiamento accondiscendente verso il regime nazista e del mancato avvio di relazioni diplomatiche con l'Unione Sovietica già nel 1942-43. Quanto la collaborazione economica con le potenze dell'Asse fosse oggettivamente inevitabile risp. quanto fosse il frutto della volontà di arricchimento privata rimane oggetto di valutazioni discordanti. Ad ogni modo, dopo la disfatta del nazifascismo la Svizzera dovette concentrarsi sul ristabilimento di buoni rapporti con le potenze occidentali. Tale obiettivo fu raggiunto nel 1946 con l'accordo di Washington, che regolamentò l'impiego degli averi ted. depositati in Svizzera, e soprattutto nel 1948 con l'adesione all'Org. europea di cooperazione economica (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico). Le due guerre mondiali rafforzarono notevolmente la percezione tradizionale di una Svizzera come isola e "caso particolare" (Sonderfall). A questo proposito, l'esperienza della Grande guerra risultò addirittura più importante dello "spirito del ridotto nazionale" emerso durante il secondo conflitto mondiale, considerato all'origine delle persistenti tendenze isolazioniste ancora presenti negli anni 1990-2000.
L'adesione all'Organizzazione delle Nazioni unite (ONU), fondata nel 1945, fu presa in considerazione, ma poi rinviata sine die; la questione tornò poi di attualità negli anni 1960-70. Respinta a forte maggioranza nel 1986, l'entrata nell'ONU è stata approvata in votazione popolare nel 2002. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, il margine di manovra della Svizzera aumentò solo di poco, dopo che si era ristretto fortemente nel periodo tra le due guerre mondiali. Durante il mandato del Consigliere fed. Max Petitpierre (1944-60), solidarietà, universalità e disponibilità assursero a parole d'ordine della politica estera sviz., che continuava comunque a essere incentrata sulla dottrina della neutralità. Con "disponibilità" si intendeva l'ampliamento dei buoni uffici miranti a garantire le relazioni diplomatiche tra Stati in conflitto, rivelatisi di grande importanza nel corso del secondo conflitto mondiale. Nell'era della Guerra fredda la Svizzera assunse il ruolo di Stato neutrale nel blocco occidentale, come testimonia la partecipazione alla Commissione di supervisione sull'armistizio in Corea nel 1953. L'ultimo eclatante successo dell'attività di mediazione sviz. fu la conclusione degli accordi di Evian tra Francia e Algeria nel 1962.
Il 20.5.2003 Micheline Calmy-Rey, direttrice del Dipartimento federale degli affari esteri, ha varcato la linea di demarcazione tra la Corea del Nord e la Corea del Sud © KEYSTONE.
[…]
La Conf. adottò un atteggiamento molto prudente nei confronti del processo di integrazione europea. Di fronte all'alternativa tra un'unione doganale o una zona di libero scambio, scelse quest'ultima opzione e quindi aderì all'Associazione europea di libero scambio nel 1960, e non alla Comunità economica europea (Unione europea); l'entrata nel Consiglio d'Europa avvenne solo nel 1963. Non furono oggetto di particolari contestazioni l'accordo di libero scambio concluso nel 1972 con la Comunità economica europea e la partecipazione attiva alla costituzione della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nel 1973. La partecipazione allo Spazio economico europeo (SEE) venne invece respinta di stretta misura nella votazione del 6.12.1992, perché molti ritenevano di dover difendere la sovranità nazionale consolidatasi nei sec. e temevano che la libera circolazione delle persone avrebbe comportato un'immigrazione eccessiva. Per scongiurare il pericolo di un isolamento nei confronti del resto del continente, in seguito sono stati conclusi gli Accordi bilaterali I (sottoscritti nel 1999, approvati in votazione popolare nel 2000 ed entrati in vigore nel 2002) e II (firmati nel 2004 ed entrati progressivamente in vigore a partire dal 2005) con l'Unione europea.
Dopo l'accordo sull'emigrazione dei lavoratori it. in Svizzera raggiunto nel 1964, gli oppositori dell'"inforestierimento" iniziarono a organizzarsi, lanciando in seguito diverse iniziative popolari - sempre respinte - per limitare il numero degli stranieri. Con l'aumento delle domande d'asilo negli anni 1980-90, i timori si indirizzarono contro coloro che erano ritenuti falsi rifugiati ("rifugiati economici"). L'idea che la Svizzera non debba abbandonare la sua vocazione umanitaria, come era invece successo durante la seconda guerra mondiale, è rimasta comunque prevalente.
Malgrado il peso relativamente ridotto della politica estera nel dibattito politico, il coinvolgimento ideale di singoli gruppi nelle vicende estere risultò talvolta piuttosto forte, tanto più che la pop. e gli organi di informazione non sono vincolati alla neutralità di opinione. Manifestazioni di solidarietà (a volte all'origine di tensioni interne) si ebbero nei confronti della Giovane Europa nel 1834, dei nordisti durante la guerra di secessione americana (1860-65) e dei Tedeschi risp. dei Francesi nel 1914; vanno inoltre menz. l'impegno diretto o indiretto nella guerra civile spagnola (1936-39) e le azioni di sostegno promosse dopo la rivolta in Ungheria (1956) e la Primavera di Praga (1968).
Nel 1960, dieci anni dopo la concessione del primo credito per l'aiuto allo sviluppo (Cooperazione allo sviluppo), il sostegno finanziario ai Paesi del Terzo mondo venne istituzionalizzato con la creazione del servizio della cooperazione tecnica (dal 1996 Direzione dello sviluppo e della cooperazione). Malgrado l'ordinamento democratico, la politica estera rimase a lungo prerogativa del potere esecutivo, sottratta alla partecipazione e al controllo da parte del parlamento e del popolo. Mentre in altri ambiti politici senza alcun problema erano state create apposite commissioni parlamentari, il Consiglio fed. e una minoranza delle Camere fed. si opposero ad analoghi organismi per la politica estera. Dopo vari tentativi, le commissioni vennero infine istituite nel 1936 (Consiglio nazionale) risp. nel 1945 (Consiglio degli Stati).
Primi elementi di democrazia diretta vennero introdotti nel 1921 con il referendum facoltativo in materia di trattati intern., risultato tardivo del movimento di opposizione formatosi in seguito alla ratifica del trattato sul riscatto della Ferrovia del Gottardo (convenzione del Gottardo) nel 1913. A causa della formulazione insoddisfacente di tale diritto, dell'urgenza di una revisione in seguito al lancio di un'iniziativa xenofoba e di fronte all'importanza sempre maggiore degli accordi con l'estero, nel 1977 il referendum sui trattati intern. venne esteso. Le notevoli conseguenze che l'accordo sullo Spazio economico europeo del 1992 - poi comunque respinto - avrebbe avuto per i cant. resero evidenti la necessità di introdurre una procedura atta a garantire un loro parziale coinvolgimento già nelle prime fasi delle trattative (poi garantito sul piano giur. con la revisione della Costituzione fed. del 1999). Già in precedenza erano state estese le competenze in materia di politica estera delle relative commissioni delle Camere fed.