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Morte

Fino all'epoca moderna la morte è stata onnipresente, in Svizzera come altrove, nella coscienza umana. Si trattava di una percezione alimentata dalla brevità della durata media della vita, dalla forte Mortalità infantile, dalle numerose cause di decesso costituite da Malattie, Epidemie, carestie, sottoalimentazione, guerra e Catastrofi naturali, prove nei confronti delle quali l'essere umano si trovava praticamente senza difesa; questa percezione può essere riassunta nell'antifona lat. media vita in morte sumus ("a metà della vita, siamo già sulla strada del morire"), a lungo attribuita per errore al monaco sangallese Notker Balbulus ma in realtà risalente all'XI sec. Da millenni l'uomo ha reagito a questo termine esistenziale attraverso l'elaborazione di svariati Riti funerari e la credenza in un aldilà.

La morte nella storia delle mentalità

L'analisi dello storico franc. Philippe Ariès sul rapporto dell'essere umano con la morte a partire dall'alto ME può essere applicata, a grandi linee, anche alla Svizzera. Ariès sottolinea il passaggio dalla "morte addomesticata" del ME classico, spogliata dei suoi aspetti terrorizzanti e simboleggiata dalle figure giacenti di gradevole aspetto, pacificate e giovani, alla morte come realtà "selvaggia" (dopo il 1300 ca.), che di nuovo mostra il suo volto orribile. A La Sarraz, nella cappella di S. Antonio o dello Jaquemart, il cenotafio di François de Montferrand (1360/80) rappresenta ad esempio la decomposizione del cadavere. A queste fasi segue poi quella moderna e attuale, della morte "negata", socialmente rifiutata. Questa tendenza generale rifletteva una progressiva individualizzazione del trapasso e della morte; tuttavia, essa non corrispose necessariamente a un'evoluzione così lineare come la descrizione degli storici lascerebbe intendere. Le testimonianze al proposito provengono inoltre in genere dalle classi superiori, mentre sono scarse, soprattutto per il ME, le informazioni sugli atteggiamenti assunti dalle classi inferiori.

L'ideale cristiano della buona morte

Vetrata con gli stemmi di Johann Anton Truttmann e Maria Elisabeth von Rechberg, datata 1701 e attribuita all'artista-vetraio zughese Franz Joseph Müller (Museo nazionale svizzero, Zurigo).
Vetrata con gli stemmi di Johann Anton Truttmann e Maria Elisabeth von Rechberg, datata 1701 e attribuita all'artista-vetraio zughese Franz Joseph Müller (Museo nazionale svizzero, Zurigo). […]

Il credente cristiano non considera la morte come la fine della vita, ma vede in essa il momento di passaggio (Riti di passaggio) alla vita vera, nell'aldilà, peraltro rappresentato, nell'immaginazione popolare, con ampie analogie con la vita mondana. Il timore della morte non risiede dunque nel suo carattere di finitezza, ma proprio nel transitus stesso e nella comparsa di fronte al giudizio divino e dunque nella determinazione della salvezza o della dannazione. Questa concezione era costantemente ricordata all'uomo delle epoche medievale e moderna dalle rappresentazioni in chiese, cappelle, ossari, croci lungo i sentieri e Vie Crucis (scene del Giudizio universale, per esempio nella collegiata di S. Vincenzo a Berna, e del momento del trapasso). Scopo del catechismo e di numerosi atti religiosi era quello di preparare l'uomo alla morte; analoga finalità avevano le Ars moriendi. I cristiani di questa epoca aspiravano alla "buona morte" e di conseguenza temevano la morte improvvisa, che non permetteva il pentimento e l'accoglimento consapevole dei sacramenti; da questo profilo non vi erano differenze di rilievo tra le concezioni catt. e rif. La vita aveva il medesimo senso, differivano unicamente il percorso e i mezzi per svolgerlo. Per i rif., la strada per la salvezza passava attraverso una vita pia e virtuosa, ma la salvezza stessa dipendeva dalla grazia di Dio; la Chiesa catt. prevedeva invece una serie di mezzi sacramentali e liturgici - preghiere per la buona morte e per i defunti, estrema unzione o sacramento dell'unzione degli infermi, pellegrinaggi, donazioni prima e dopo il decesso, confraternite della buona morte (spec. in epoca barocca) - destinati alla salvezza del defunto e ancora oggi praticati. L'onnipresenza della morte, in particolare nell'immaginario catt. e più specificatamente nelle Danze macabre (molto noti i cicli di Basilea e di Berna, cui si affianca ad esempio la danza macabra settecentesca e meno conosciuta di Emmetten, restaurata nel 1999), la rese un fatto corrente e quotidiano. La falciatrice che cammina tra i viventi, imaginatio, diviene così anche incantatio, in quanto scongiurante l'angoscia della morte.

Morti che ritornano alla vita e anime in pena

In prospettiva etnologica occorre distinguere due livelli in questa antica rappresentazione della morte: il primo, descritto in precedenza, è legato agli insegnamenti della Chiesa, sia catt. sia rif., e si basa sui medesimi; il secondo, più difficile da cogliere, è subliminale e ufficialmente proscritto ma è stato presente per sec. nella coscienza popolare. Secondo quest'ultimo, almeno in una prima fase i morti restano tra i viventi, da cui non sono separati; rispetto a questi conducono un'esistenza parallela e influenzano la vita degli umani come antenati benevoli o vendicatori, recando prosperità o infelicità a seconda della soddisfazione o meno delle loro aspettative da parte dei discendenti. È una mentalità che si ritrova nei racconti dei morti che ritornano, delle anime in pena che ritrovano le loro fam., credenze che sono documentabili in diverse parti della Svizzera fino alla metà del XX sec. In alcuni momenti dell'anno i morti, pop. notturna, attraversano in corteo spettrale le vallate delle Alpi vodesi, del Vallese o dei Grigioni percorrendone le creste. Benché non vi sia una continuità assoluta, queste credenze possono essere considerate come le vestigia di un'antica concezione del mondo che si è mantenuta accanto alla dottrina cristiana dell'aldilà e malgrado quest'ultima, di cui ha peraltro adottato alcuni elementi. Si tratta in ogni caso di una concezione antitetica rispetto alla redenzione cristiana: le anime dei morti non sono salvate da Dio, ma dagli uomini; se l'uomo si comporta correttamente e compie il necessario, può vivere in armonia con la società parallela dei morti.

Nuove rappresentazioni

Pietra tombale di Maria Magdalena Langhans. Copia in biscuit della lapide scolpita da Johann August Nahl per la chiesa di Hindelbank, realizzata verso il 1800 da Valentin Sonnenschein presso la manifattura di porcellana di Nyon (Museo nazionale svizzero, Zurigo).
Pietra tombale di Maria Magdalena Langhans. Copia in biscuit della lapide scolpita da Johann August Nahl per la chiesa di Hindelbank, realizzata verso il 1800 da Valentin Sonnenschein presso la manifattura di porcellana di Nyon (Museo nazionale svizzero, Zurigo). […]

Il cambiamento nel modo di concepire la morte ebbe uno sviluppo lento ed eterogeneo, con caratteri specifici a seconda dei contesti; originato dalla perdita della certezza della fede, fu essenzialmente un frutto dell'Illuminismo e riguardò dapprima le classi sociali che avevano accesso agli scritti dei Lumi e solo più tardi le classi popolari. Si trattò di un processo che, avviatosi alla fine del XVIII sec., attraversò quello successivo e conobbe un'accelerazione nel XX, spec. nella seconda metà del sec. Le tradizionali rappresentazioni di inferno e paradiso, in precedenza dai contorni chiari e netti, cui i catt. (ma anche altri) aggiunsero il purgatorio, lasciarono spazio ad altre immagini; di impronta romantica ed elegiaca, queste ultime nascondevano e dissimulavano il carattere definitivo della morte attraverso rappresentazioni e simboli di vita. Le immagini di lutto raramente facevano ricorso ai tradizionali codici, che ispiravano repulsione, della decomposizione dei corpi (scheletri, crani); le nuove rappresentazioni fecero la loro comparsa dapprima sui monumenti funerari della borghesia, nei testi consolatori in versi o in prosa incisi sulle pietre tombali (soprattutto nelle regioni rif.). Dalla fine del XX sec. la concezione della morte oscilla tra l'idea del nulla, o privazione dell'essere (dissoluzione completa di anima e corpo), e la credenza nella reincarnazione o nelle tradizionali aspettative cristiane sull'aldilà; vi si affiancano ideologie mistico-naturalistiche come il culto degli alberi in cui le ceneri del defunto sono sparse ai piedi del tronco. Un'inchiesta statistica condotta negli anni 1980-90 ha messo in luce come una maggioranza degli Svizzeri creda in una vita dopo la morte, ma in forma vaga e incerta.

L'idea che la morte sia al giorno d'oggi rimossa è in certa misura riduttiva. Anche gli uomini di inizio terzo millennio vivono con la consapevolezza della propria finitezza. Sotto forme diverse, la morte è reintrodotta nella vita quotidiana, divenendo persino, a ondate periodiche, un tema alla moda. La pubblicità la utilizza come argomento shock, i giovani sprayano teschi sui muri, la stampa e la televisione presentano giornalmente immagini di morte, esposizioni (come quella tenutasi a Basilea nel 1999) attirano le folle mostrando corpi denudati nella loro dimensione anatomica, mentre nei riti di Halloween, importati dagli Stati Uniti negli anni 1990-2000, soffiano secondo i commenti giornalistici i venti di un culto celtico dei morti. Tutte queste espressioni moderne non hanno più il ruolo di memento mori, di stimolo al pentimento che avevano un tempo; al contrario, incoraggiano la gioia di vivere, il principio del carpe diem. Se la morte è un concetto familiare all'uomo contemporaneo, è altrettanto vero che quest'ultimo raramente assiste a un'agonia e di fatto quasi sempre affida la preparazione del corpo del morto ad agenzie specializzate.

Aspetti medici, giuridici ed etici

Le trasformazioni della medicina nel XIX e XX sec. hanno riguardato anche gli ambiti dell'agonia e della morte. Gli ecclesiastici, cui era affidata la registrazione del decesso nei registri parrocchiali, persero la loro posizione preminente in questo rito di passaggio con il trasferimento di questo compito agli ufficiali dello Stato civile (1874). Inoltre, la causa della morte (art. 22, par. d della vecchia legge sullo stato civile) doveva essere indicata, se possibile, sulla base di un'attestazione medica.

Constatare e poi diagnosticare la morte

L'obbligo di produrre un certificato di morte stilato da un medico attribuì una nuova competenza al corpo medico e legò la morte alla medicina. Per l'Europa del XVIII sec. una conferma ufficiale del decesso era divenuta importante perché allora era largamente diffuso il timore della morte apparente; si aveva paura di essere sepolti ancora vivi, ciò che spiega anche il termine di attesa di 48 o 72 ore tra la morte e l'interramento del corpo. L'auscultazione cardiaca e altri nuovi mezzi per diagnosticare con sicurezza la morte fecero scomparire questo pensiero angoscioso nel corso del XIX sec., anche se ancora all'inizio del XX sec. vi erano persone, ad esempio ad Amden nel cant. San Gallo, incaricate di esaminare i cadaveri per individuarne le tipiche macchie ipostatiche.

Dal profilo giur. si ammette che i medici seguano le direttive dell'Acc. sviz. delle scienze mediche (ASSM) nel constatare e dichiarare un decesso. Dubbi sulla possibilità di determinare con esattezza il momento della morte sono riemersi alla fine degli anni 1950-60. La scoperta della rianimazione ha fatto sorgere interrogativi sulle condizioni e il momento di interruzione dei trattamenti per mantenere il paziente in vita; la questione è divenuta ancora più complessa dopo l'introduzione, negli anni 1960-70, del concetto di morte cerebrale, la cui diagnosi precoce aumenta le possibilità di successo del trapianto di organi. Le direttive dell'ASSM del 1969, aggiornate nel 1983, nel 1996 e nel 2011, hanno avuto lo scopo di regolare questo delicato ambito. La legge fed. sul trapianto di organi, tessuti e cellule del 2004 stabilisce che una persona è morta quando le funzioni del cervello, incluso il tronco cerebrale, sono cessate irreversibilmente.

L'assistenza alla morte

La diagnosi di morte cerebrale, che solo un'unità di medicina intensa è in grado di formulare, è un esempio eloquente del processo di medicalizzazione della vita umana. Dal XIX sec. si muore in effetti sempre meno al proprio domicilio e sempre più all'ospedale, che a causa delle sue strutture e malgrado la presenza di cappellani non è in grado di offrire un compiuto accompagnamento psicologico ai moribondi. La medicalizzazione della morte pone in primo piano anche la questione dell'eutanasia. La proibizione per il medico di aiutare il proprio paziente a morire, contenuta nel giuramento di Ippocrate (IV sec. a.C.), ha a lungo influenzato il dibattito medico al proposito, ma alla fine del XVIII sec. si è posto con sempre maggiore urgenza il tema dell'assistenza alla morte. Un sec. più tardi ebbero larga diffusione le discussioni sull'eliminazione dei meno capaci (Darwinismo sociale, Eugenica) e l'igiene della razza. Accesi dibattiti percorsero in misura crescente gli anni 1920-30 attorno alla legalizzazione dell'omicidio su richiesta della vittima e la soppressione di una vita ritenuta non degna di essere vissuta; la discussione ebbe un nuovo slancio negli anni 1950-70, con la comparsa della medicina intensiva. Vi fu un sostanziale consenso generale sulla possibilità ad alcune condizioni di rinunciare a mettere in atto i provvedimenti necessari al mantenimento in vita o a interrompere tali provvedimenti (eutanasia passiva). L'ASSM fu il primo organismo in Europa a emanare, nel 1976, direttive sull'eutanasia che furono ampiamente riprese anche all'estero; l'eutanasia passiva vi è ammessa sia per i moribondi sia per pazienti condannati da una malattia incurabile.

Exit e Dignitas, create risp. nel 1982 e nel 1998, si definiscono quali ass. per il diritto a una morte dignitosa (così peraltro l'acronimo di Exit della Svizzera franc., ADMD). L'aiuto al Suicidio da esse prestato obbedisce a regole precise (malato incurabile ma in grado di discernere, attivo in prima persona nell'assunzione della bevanda con il medicamento letale). Numerose critiche si sono sollevate nel 2007 di fronte al fatto che Dignitas ha acconsentito a che diversi stranieri si trasferissero in Svizzera per morirvi, e quindi contro il "turismo della morte". Vaud è stato nel 2012 il primo cant. a dotarsi di una legge sull'assistenza al suicidio concessa, a precise condizioni, all'interno di case per anziani e ospedali. Le cure palliative, che offrono ai malati incurabili la migliore qualità di vita possibile e che non danno né ritardano la morte, godono di un'approvazione praticamente universale; si tratta tuttavia di un'offerta che solo alcuni ospedali offrono e una struttura come Rive-Neuve a Villeneuve (VD), casa di cura e centro di formazione sorto nel 1988, è ancora l'eccezione. Per colmare le lacune in questo settore la Conf. ha elaborato la "Strategia nazionale in materia di cure palliative 2010-12". La prima cattedra univ. in cure palliative è stata istituita nel 2006 (Univ. di Losanna e Ginevra).

Riferimenti bibliografici

La morte nella storia delle mentalità
  • ASV, 2, 258
  • J. Guntern, Volkserzählungen aus dem Oberwallis, 1978
  • P. Ariès, L'uomo e la morte dal Medioevo a oggi, 1980 (franc. 1977)
  • G. Condrau, Der Mensch und sein Tod, 1984 (19912)
  • A. Nassehi, G. Weber, Tod, Modernität und Gesellschaft, 1989
  • A. Imhof, Ars moriendi, 1991
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  • A. Hauser, Von den letzten Dingen, 1994
  • Last Minute: Ein Buch zu Sterben und Tod, cat. mostra Lenzburg, 1999 (20023)
  • P. Hugger, Meister Tod, 2002
  • S. Leutert, Geschichten vom Tod, 2007
Aspetti medici, giuridici ed etici
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  • T. Schlich, C. Wiesemann (a cura di), Hirntod, 2001
Link

Suggerimento di citazione

Paul Hugger; Aline Steinbrecher: "Morte", in: Dizionario storico della Svizzera (DSS), versione del 10.02.2015(traduzione dal tedesco). Online: https://hls-dhs-dss.ch/it/articles/027291/2015-02-10/, consultato il 19.03.2024.