I prati sono terreni coltivati a erba, arati meno frequentemente dei campi (Campicoltura). In Svizzera l'estensione di entrambi ha conosciuto profondi mutamenti nel tempo; dal ME a oggi la loro evoluzione è risultata comunque indissociabilmente legata. L'estensione dei prati naturali, poi artificiali, riflette le modifiche dei consumi interni e le variazioni della domanda e dell'offerta estere. Fino all'inizio del XIX sec. essa rispecchiava anche il quadro istituzionale, vista la forte opposizione alla trasformazione dei campi in prati dovuta al timore di una diminuzione dei tributi feudali e signorili, e in particolare della Decima.
Tre fattori furono all'origine della trasformazione dei terreni. Nel XIV-XV sec., nelle regioni collinari e prealpine, i campi lasciarono in parte il posto ai prati necessari all'allevamento di bestiame grosso (Foraggi), un fenomeno chiaramente evidente a Friburgo, Obvaldo e Glarona. La crescente domanda di formaggio e burro da parte delle città sviz. ed estere accelerò una conversione che preoccupava i contemporanei, che temevano una penuria di cereali. Dal XVII e soprattutto dal XVIII sec. i contadini tentarono di accrescere la produzione e il rendimento delle superfici erbose tramite l'Irrigazione o la creazione di prati artificiali (trifoglio, erba medica, lupinella), spesso sui terreni a Maggese. I diritti collettivi sui prati davano costantemente origine a problemi, dato che la possibilità per le greggi della comunità di accedervi dopo il primo taglio comportava la perdita del fieno di secondo taglio per i proprietari.
Il secondo fattore fu di carattere politico. La ridefinizione dei diritti di proprietà sulla terra (soppressione dei Diritti d'uso collettivi e dei Tributi feudali all'inizio del XIX sec.), imposta alle autorità e ai vecchi proprietari, lasciò ai contadini la libertà di sfruttare la terra a proprio piacimento, ciò che permetteva di ridurre le superfici coltivate in favore dei prati e quindi facilitava la stabulazione. Di fatto l'estensione dei prati naturali aumentò soprattutto dalla metà del XIX sec.; in quanto campi precedentemente arati, si trattava di terreni di buona qualità.
Il terzo fattore fu l'influenza dei mercati esteri. L'arrivo massiccio di cereali a basso costo dall'Europa centrale e orientale e da oltreoceano obbligò i contadini a convertire gran parte dei campi coltivati in pascoli (riduzione di ca. due terzi della superficie adibita alla campicoltura tra il 1855 e il 1914), ciò che trasformò la Svizzera da "gialla" in "verde" (Christian Pfister). Nelle regioni di montagna come ad esempio i Grigioni, la perdita di importanza della produzione per l'autoconsumo nei primi decenni del XX sec. contribuì anch'essa alla diminuzione dei terreni seminati a grano a beneficio dei prati. In Svizzera la rilevanza assunta da questo processo risultò eterogenea, così come il rapporto tra prati artificiali e prati naturali. In alcune regioni di viticoltura intensiva come il Lavaux o La Côte, i prati e le colture foraggere mantenevano ancora una forte importanza negli anni 1930-40 (quasi il 50%, ma solo ca. il 20% in Vallese). In Turgovia l'arboricoltura si sviluppò in simbiosi con le superfici prative; ancora nel 1929, 10 milioni di alberi da frutto ad alto fusto crescevano per la maggior parte su prati naturali.
Dopo la riduzione delle superfici erbose per un breve periodo durante la seconda guerra mondiale (Piano Wahlen), l'utilizzo dei terreni venne fortemente influenzato dalle politiche dello Stato, e in particolare dalla scelta, fino agli anni 1990-2000, di sostenere la campicoltura per mezzo di sovvenzioni. Con le riforme della politica agricola, le sovvenzioni sono state rimpiazzate da pagamenti diretti vincolati a prestazioni ecologiche e a un miglioramento delle condizioni di vita degli animali. Nel 1993 sul piano legislativo vennero ad esempio stabilite compensazioni per lo sfruttamento solo estensivo dei prati magri con una variegata flora e fauna.