Lavoratori indigeni riempiono sacchi di cacao nel deposito ad Accra della Missions-Handlungs-Gesellschaft di Basilea alla presenza del commerciante Hugo Hafermalz. Fotografia, 1904 ca. (Archiv Basler Mission, Basilea, QU-30.003.0137).
Il commercio di transito è un commercio di intermediazione internazionale, in cui il transitario non ha sede né nello Stato da cui la merce viene esportata né in quello in cui viene importata, ma in un Paese terzo in cui la transazione viene organizzata. Le operazioni di import-export si svolgono quindi tra Stati situati al di fuori del territorio economico del Paese, in cui il transitario ha sede. Per gli Stati che ospitano le società di transito, si tratta di una forma particolare di commercio estero (economia d'esportazione), e più precisamente di esportazione di servizi. Nel contesto dell'economia mondiale, il commercio di transito «combina in modo vantaggioso la specializzazione nazionale e la divisione internazionale del lavoro»(Emil Michael Bammatter). Il commerciante di transito, che ha una visione d'assieme della produzione mondiale e trae profitto dalle differenze internazionali, trasferisce merci dai luoghi di produzione ai Paesi di destinazione, secondo la domanda.
Nel caso del commercio di transito detto direttole merci non passano dallo Stato in cui il transitario ha sede. In quello indicato invece come indirettole merci entrano fisicamente nel Paese, tuttavia non vengono sdoganate. Immagazzinate temporaneamente in depositi doganali o porti franchi, vengono all'occorrenza lavorate (pulite, assortite, mescolate) o etichettate nuovamente prima di essere rivendute all'estero.
Il commercio di transito si distingue dal commercio di intermediazione generale e da quello mondiale per la collocazione del suo baricentro: le transazioni che genera fanno sempre riferimento allo Stato in cui si trova la sede fiscale del transitario. A differenza di importazioni ed esportazioni, fino alla metà del XX secolo non figuravano nelle statistiche commerciali nazionali e perciò solo in casi eccezionali attirarono l'attenzione degli storici economici. La neutralità politica del Paese in cui ha sede può essere rilevante per il transitario, soprattutto per quanto concerne i flussi finanziari (piazza finanziaria). Le società di transito dipendono dalla fluidità delle transazioni finanziarie internazionali, necessitano del supporto di banche, specialisti di finanza e di diritto economico, desiderano alla fine convertire i loro guadagni in una valuta sicura (politica monetaria) ed evitare di pagare imposte elevate sui profitti e sul capitale. Al contrario dell'industria, le società commerciali non possono servirsi di brevetti (proprietà intellettuale), di marchi o dei vantaggi associati al luogo di produzione. Di fronte alla concorrenza straniera attiva nello stesso settore, possono dunque avvalersi unicamente delle condizioni quadro offerte dallo Stato in cui hanno sede sui piani del commercio estero, finanziario e fiscale.
Dalla metà del XIX secolo la Svizzera costituisce uno dei fulcri mondiali del commercio di transito. Vi predomina nettamente la sua variante diretta, ossia quella in cui dal territorio nazionale passano unicamente le transazioni finanziarie, e non le merci, solitamente materie prime. L'arrivo di ditte straniere comportò un considerevole aumento di questa attività economica, dagli anni 1960 e soprattutto dopo il 2000. All'inizio degli anni 2020 si stimava che la Svizzera controllasse da un quinto a un quarto del commercio mondiale di materie prime. Uno studio pilota, condotto su incarico dell'Ufficio federale dell'ambiente (UFAM), ha calcolato che nel 2017 questa percentuale fosse per 15 materie prime addirittura del 42%.
Già prima dell'età moderna il territorio dell'attuale Svizzera era strettamente connesso ai traffici commerciali transfrontalieri. I cantoni confederati importavano cereali (politica annonaria) e sale ed esportavano formaggio e bestiame. L'importazione di materie prime rispettivamente l'esportazione di prodotti della protoindustria, quali tessuti di seta e cotone oppure orologi (orologeria), ebbero un ruolo di rilievo per l'integrazione della Confederazione nel commercio internazionale. Si sviluppò presto anche l'esportazione di servizi: gli imprenditori militari confederati procuravano contingenti di truppe ai signori della guerra stranieri (servizio mercenario) e ricchi imprenditori, banchieri privati e governi di cantoni sovrani (fra cui Berna, Friburgo, Soletta, Zurigo e Sciaffusa) percepivano gli interessi dei capitali investiti all'estero (movimenti di capitali).
Anche il commercio offriva la possibilità di investire in modo proficuo il denaro. Dalla Pace perpetua con la Francia del 1516 i mercanti confederati erano esonerati dalle nuove tasse alle dogane, clausola che interpretarono fino alla fine del XVIII secolo come una completa esenzione da dazi e imposte. I soldati e i mercanti svizzeri erano inoltre dispensati dall'albinaggio, ossia dal diritto del sovrano di confiscare i beni degli stranieri deceduti sul suo territorio. Forti di questi privilegi, in epoca moderna i mercanti svizzeri commerciarono, attraverso la Francia, con la Spagna e il suo intero impero coloniale (colonialismo).
Quando nel tardo XVII secolo si sviluppò il commercio triangolare sull'Atlantico, che per diversi aspetti anticipava il moderno commercio di transito (commercio marittimo), mercanti e investitori svizzeri vi parteciparono al pari di altri imprenditori europei. Nel XVII e XVIII secolo molti Confederati aprirono succursali nelle città portuali francesi, investirono nell'equipaggiamento di navi schiaviste (schiavitù) o ne armarono di proprie. Christoph Burckhardt, figlio dell'omonimo commerciante basilese, fondò ad esempio nel porto bretone di Nantes la società commerciale Bourcard Fils & Cie, che trafficava cotone, caffè e altri prodotti coloniali.
Ditte svizzere attive nel commercio internazionale
L'industrializzazione e la globalizzazione dei mercati si intensificarono dalla metà del XIX secolo. I nuovi mezzi di trasporto (ferrovie, navigazione a vapore) e di comunicazione (telegrafo), l'avvento delle banche commerciali e la crescente affermazione del sistema monetario aureo resero allora per la prima volta possibile il trasferimento su grande scala di beni da località lontane ai Paesi industrializzati. Nel contempo le società commerciali potevano ridurre i rischi, compensando gli affari conclusi sul mercato a contanti (mercato effettivo) con le nuove operazioni sul mercato a termine, con cui indipendentemente dalla successiva evoluzione del mercato potevano acquistare beni a un prezzo stabilito al momento della conclusione della transazione (futures). Contadini in India o nella Costa d'Oro (Ghana), che in precedenza producevano per i mercati locali, furono integrati nell'economia globale. Con la moltiplicazione del commercio mondiale crebbe la richiesta di servizi commerciali. Specialmente le piccole e medie imprese, che producevano merci industriali, erano spesso troppo piccole per dotarsi di reparti per l'acquisto diretto di materie prime e la vendita dei loro prodotti. Fra le grandi società svizzere attive sul mercato internazionale, che allora estesero i propri affari oltreoceano o vennero nuovamente fondate, vi erano imprese quali la Simonius, Vischer & Co, ditta basilese attiva nel commercio della lana (menzionata la prima volta nel 1719 con la ragione sociale Fürstenberger), la Basler Handelsgesellschaft (fondata nel 1859 con il nome Missions-Handlungs-Gesellschaft), la Gebrüder Volkart di Winterthur (1851), la casa di commercio Paul Reinhart ancora in attività negli anni 2020 (fondata nel 1788 con il nome Geilinger & Blum), l'impresa di commercio di cereali André di Losanna (aperta a Nyon nel 1877), la ditta di commercio di seta Sulzer Frizzoni (fondata nel 1889, denominata dal 1928 Charles Rudolph & Co, dal 1950 Desco von Schulthess) come pure le imprese specializzate nei mercati asiatici Diethelm & Co (1887), Ed. A. Keller (1887) e Siber Hegner (fondata nel 1865 con la ragione sociale Siber & Brennwald), che all'inizio degli anni 2020 erano riunite nella holding DKSH.
Le fotografie, tratte dall'album ricordo di Desco, mostrano le operazioni di carico di seta greggia su una nave da trasporto a Yokohama e di scarico a Genova. L'immagine a sinistra fu realizzata tra il 1920 e il 1940, quella a destra il 10 marzo 1954 (Zentralbibliothek Zürich, Hs AR l: 50, n. 22 e HS AR I: 57, n. 47 ).
Queste aziende non si basavano più sul commercio di schiavi, ma di prodotti agricoli destinati al mercato globale (cash crops). Di regola si specializzavano nel traffico con determinate regioni del mondo o di alcune materie prime, quali cotone, cereali, cacao o seta. Benché operassero talvolta per conto dell'industria svizzera, non dipendevano da quest'ultima e non ne costituivano il prolungamento all'estero. A differenza delle dinastie commerciali del XVIII secolo non si limitavano ad acquistare esclusivamente presso intermediarinelle grandi città portuali, ma costituivano una propria rete di filiali, con agenzie per l'acquisto dei prodotti nell'entroterra e succursali per la vendita nei Paesi di destinazione. Tuttavia non controllavano mai la catena commerciale per intero. Ad esempio la Gebrüder Volkart non acquistava praticamente mai il cotone indiano direttamente dai coltivatori, ma da intermediari locali, molti dei quali erano anche creditori dei piccoli produttori.
Il commercio all'ingrosso di materie prime richiede molti capitali; fin nel tardo XX secolo l'acquisto di merci doveva essere finanziato completamente in anticipo ricorrendo a mezzi propri e crediti. Solo il credito documentario (o lettera di credito), uno strumento contrattuale che consente una compensazione dei rischi tra venditore e acquirente, lo rese possibile dagli anni 1970 senza cospicui mezzi propri. La maggior parte delle imprese di transito non faceva però fruttare il proprio capitale sul mercato azionario, ma lo manteneva nella cerchia ristretta della famiglia (come ditta individuale, società in nome collettivo o in accomandita), riservandosi così il vantaggio di conservare il controllo sulle informazioni riguardanti i propri affari.
Trasferimento di sacchi di cacao tra la spiaggia e la nave da carico tramite piccole imbarcazioni ad Accra. Fotografie degli anni 1920; l'immagine a sinistra è tratta da una serie della Union Trading Company International sul commercio di cacao sulla Costa d'Oro, quella di destra è di Eduard Wunderli della Missione di Basilea (Archiv Basler Mission, Basilea, QU-30.003.0070 e E-30.82.007).
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Dal 1880 al primo conflitto mondiale il commercio internazionale crebbe e con esso anche il commercio di transito svizzero. La maggior parte delle imprese realizzò solidi guadagni anche durante la Grande guerra, poiché la riduzione dell'offerta causata dalle ostilità fu accompagnata da un aumento dei prezzi. Grazie alla loro flessibilità le società di transito poterono compensare le perdite subite in una regione del mondo con i profitti realizzati in un'altra; molte ditte divennero solo allora attrici veramente globali. Poterono approfittare di questa duttilità anche nel periodo fra le due guerre mondiali. Mentre l'interdipendenza tra le economie pubbliche e il commercio interno all'Europa si ridussero rispetto al periodo prebellico, gli scambi commerciali tra Asia e Stati Uniti d'America, ad esempio, crebbero allora considerevolmente. Anche la Missions-Handlungs-Gesellschaft di Basilea, le cui proprietà in Africa e in India erano state gradualmente espropriate dalla Gran Bretagna tra il 1916 e il 1919 per aver intrattenuto relazioni commerciali con il nemico, riuscì a rilanciare la propria attività negli anni 1920: fondò una nuova società per il commercio con la Costa d'Oro e, separatasi già in precedenza dalla Missione di Basilea, più tardi si trasformò in una holding sotto la ragione sociale Basler Handelsgesellschaft.
Le società svizzere di transito si scontrarono con problemi di rilievo per la prima volta negli anni 1930 a seguito dell'introduzione di controlli sui movimenti di capitali. Nell'autunno 1931 la Svizzera concluse accordi di compensazione dapprima con l'Austria e poco dopo con l'Ungheria: i crediti degli esportatori vennero da allora compensati direttamente con i debiti degli importatori, così che non fosse necessario trasferire valuta. Nel 1934 con la Germania nazionalsocialista – il partner principale per il commercio di transito svizzero – si passò a un regolamento degli scambi tramite clearing, adottato in seguito anche con altri Stati. Poiché i transitari svizzeri per lungo tempo non poterono recuperare le somme che erano loro dovute, secondo la chiave di compensazione stabilita dagli accordi di clearing, esse accumularono grossi crediti all'estero, per cui non c'era alcuna prospettiva di rimborso. Nell'ottobre 1934 fondarono perciò l'Associazione delle imprese svizzere attive nel commercio di transito e internazionale (Verband schweizerischer Transit- und Welthandelsfirmen, VSTW). Nel 1935 ne facevano parte 71 ditte, che si stimava corrispondessero al 90% di tutte le società di transito con sede in Svizzera. Per la prima volta nella loro storia i commercianti di transito apparirono pubblicamente, esercitarono pressioni sulla Confederazione e attirarono l'attenzione su di sé divulgando cifre. Incaricarono lo specialista di storia economica Fritz Mangold di svolgere un'inchiesta confidenziale, i cui risultati furono pubblicati nel 1935. Secondo questi dati, nel periodo compreso tra il 1923 e il 1928 il fatturato lordo del commercio di transito svizzero oscillò tra 1,3 e 1,4 miliardi di franchi annui, mentre il profitto netto ammontava almeno a 40 milioni all'anno (tra tutti gli esportatori di servizi, solo le banche operavano all'estero per cifre paragonabili a quelle dei commercianti di transito). La politica doveva dunque agevolare un settore economico tanto importante.
Il commercio di materie prime si comporta spesso in maniera anticiclica per l'economia, ciò che si verificò anche durante la seconda guerra mondiale. Malgrado il crollo del fatturato, riconducibile all'aumento dei prezzi innescato dalla riduzione dell'offerta, molte società poterono aumentare considerevolmente i loro profitti. Strategie mirate furono messe in campo per prevenire il pericolo di finire sulla lista nera degli Alleati per aver intrattenuto relazioni commerciali con il nemico. Diverse ditte attribuirono responsabilità a succursali a New York o a Londra, che trasformarono in società affiliate indipendenti. Siber Hegner, ad esempio, americanizzò una filiale a New York attraverso un voting trust, ossia cedette provvisoriamente partecipazioni e diritto di voto a un fiduciario con sede negli Stati Uniti. La sede principale in Svizzera si ritirò dall'attività operativa e divenne in prevalenza una holding, che deteneva quote azionarie delle sue società affiliate all'estero. Costrutti simili consentirono di mantenere una concentrazione del capitale in Svizzera, conseguendo così un'ottimizzazione fiscale (privilegi riservati alle holding) e rendendo nel contempo più flessibili le attività commerciali.
Liberalizzazione e marketing della piazza economica
Dopo la seconda guerra mondiale le società di transito svizzere, che realizzavano i loro guadagni all'estero, approfittarono delle nuove organizzazioni internazionali, senza tuttavia attenersi ai loro embargo. Scettica rispetto al multilateralismo, la Confederazione non aderì né all'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) né alle istituzioni sorte dagli accordi di Bretton Woods (Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, Birs; Fondo monetario internazionale, FMI) e fino al 1958 non sottoscrisse l'accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (Gatt; Organizzazione mondiale del commercio, OMC). Le entrate derivanti dal commercio di transito svizzero crebbero notevolmente dopo la guerra e, insieme ad altre esportazioni di servizi (ad esempio nel turismo), compensarono il deficit del commercio estero nella bilancia dei servizi.
La disponibilità e la convertibilità delle valute ebbero un'importanza centrale per le società commerciali, che cercavano di contenere i rischi legati alle fluttuazioni dei cambi nelle transazioni a medio e lungo termine. Nel 1946 la Banca nazionale svizzera (BNS) si dichiarò pronta a ricomperare i dollari che un transitario aveva ottenuto da una banca svizzera per pagare merci; alla liquidazione di queste ultime, i dollari venivano riacquistati al tasso di cambio del giorno in cui erano stati comperati, dietro presentazione di un certificato emesso dalla banca che li aveva venduti. Da parte sua, la Banca d'Inghilterra autorizzò dal 1940 gli istituti di credito svizzeri e statunitensi a tenere dei cosiddetti conti registrati (registered accounts). I depositi in sterline di questi conti non solo potevano essere utilizzati per le importazioni dall'area della sterlina, ma pure essere convertiti in dollari e franchi svizzeri.
Per eludere i controlli sui movimenti di capitali e continuare a commerciare con i Paesi a valuta debole, le aziende ricorsero inoltre sempre più spesso a cosiddette «operazioni triangolari»: al posto che in valuta un'esportazione veniva saldata con l'importazione di merci da un altro Stato. Questa transazione poteva estendersi, a seconda del caso, su diversi Stati, fino a quando l'operazione non si concludeva con un pagamento in denaro o con una fornitura di merci. Nel secondo dopoguerra anche le operazioni di clearing all'interno di uno stesso gruppo guadagnarono importanza: le holding compensavano le passività interne tra le unità aziendali, assicurando così una gestione ottimale della liquidità all'interno dell'intero gruppo. Queste compensazioni interne favorirono sempre più il trasferimento dei profitti ai fini di un'ottimizzazione fiscale (transfer pricing).
Sede principale della ditta Glencore situata ai margini del comune zughese di Baar. Fotografia, scattata il 7 febbraio 2012, quando è stata resa nota la fusione tra Glencore e Xstrata (KEYSTONE / Sigi Tischler, immagine 133326085).
Dal 1950 il traffico dei pagamenti nell'Europa occidentale fu agevolato dall'Unione europea dei pagamenti, fondata dagli Stati europei nel quadro del piano Marshall e a cui aderì anche la Svizzera. L'obiettivo era assicurare la convertibilità generale delle valute attraverso un clearing multilaterale; vennero quindi ampiamente meno le limitazioni delle importazioni. Per le società di transito svizzere l'Unione europea dei pagamenti acquisì rilievo soprattutto per il rimpatrio dei profitti. Quando l'Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE, divenuta più tardi Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, OCSE) si adoperò per una liberalizzazione dei servizi (partite «invisibili»), diplomatici svizzeri di spicco si impegnarono affinché nel codice di liberalizzazione fosse creata una rubrica per i guadagni conseguiti con operazioni di transito. Nel luglio 1951 i profitti ottenuti con l'esportazione di servizi all'interno dell'Unione europea dei pagamenti furono apertamente esentati da restrizioni. Le società commerciali svizzere approfittarono immediatamente delle facilitazioni: nel 1951 solo dall'area della sterlina furono trasferiti in Svizzera 28 milioni di franchi.
Sempre negli anni 1950 specialisti di diritto economico e associazioni svizzere cominciarono a esercitare forti pressioni a favore della piazza economica svizzera; l'élite borghese aveva realizzato, che il trasferimento in Svizzera di ditte straniere generava entrate fiscali sia per la Confederazione sia per i cantoni e che ne risultavano nuove opportunità economiche nei settori del notariato, del private banking, della revisione dei conti, del consulting e della consulenza fiscale. In seguito numerose holding statunitensi attive nel settore delle materie prime si insediarono in Svizzera, dove poterono beneficiare di agevolazioni fiscali concordate individualmente. Nel 1956 la Philipp Brothers, un tempo la principale azienda al mondo attiva nel commercio di minerali metalliferi e metalli, si stabilì nel canton Zugo, che offriva condizioni fiscali vantaggiose. Inizialmente rurale, Zugo divenne progressivamente il cantone finanziariamente più forte della Svizzera. Lo stesso anno Cargill, potente commerciante statunitense di cereali, aprì a Ginevra una sua filiale sotto la ragione sociale Tradax. Tra il 1959 e il 1961 circa 400 imprese multinazionali statunitensi si stabilirono in Svizzera, la metà delle quali nella regione del Lemano, da dove conducevano i loro affari nell'ambito del commercio di transito. Più tardi arrivarono ditte come il gruppo Vitol (fondato nel 1966), la Marc Rich + Co AG (costituita nel 1974 da Marc Rich, ex trader della Philipp Brothers, e rinominata in seguito Glencore) o la Gunvor (creata nel 1997 dall'imprenditore svedese Torbjörn Törnqvist con l'oligarca russo Gennadij Timčenko).
La crescente importanza del commercio di transito si riflette nell'evoluzione della sua quota del prodotto interno lordo (PIL). Nel 2006 per la prima volta ha superato quella del turismo, nel 2009 quella dei servizi finanziari internazionali delle banche. Da allora le entrate complessive del commercio di transito sono più che raddoppiate. [Fonte: portale dei dati della Banca nazionale svizzera, commercio estero, bilancia dei pagamenti della Svizzera, bilancia delle transazioni correnti. Le cifre relative al commercio di transito si basano su stime e sulle dichiarazioni delle imprese. Grafica: DSS]
Benché la Banca nazionale svizzera tenesse dal 1947 una bilancia dei pagamenti e valutasse dunque l'ammontare delle entrate derivanti dall'esportazione di servizi, il commercio di transito rimase un settore economico sfuggente. Nel 1953 l'Associazione delle imprese svizzere attive nel commercio di transito e internazionale (Verband schweizerischer Transit- und Welthandelsfirmen) commissionò un nuovo studio a Emil Gsell, professore all'Università di San Gallo. L'esigenza di trasparenza si era però ridotta: solo 48 ditte risposero al questionario. Gsell non diede infine indicazioni sulle entrate e menzionò soltanto il fatturato, che nel 1953 per le 48 ditte ammontava a poco meno di 2 miliardi di franchi. Gsell stimò che il fatturato complessivo del commercio di transito dovesse essere di 5 miliardi di franchi, pari all'incirca a quello dell'intera industria di esportazione. Dal 2002 il settore del commercio delle materie prime è cresciuto in modo esponenziale, in primo luogo come conseguenza del crollo del blocco orientale. Nel 2017 il settore generava entrate annuali pari a 25 miliardi di franchi, secondo le indicazioni della Confederazione, mentre quelle della Banca nazionale svizzera ammontavano a 40 miliardi di franchi. Il Rapporto di base sulle materie prime, pubblicato nel 2013 da Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), Dipartimento federale dell'economia, della formazione e della ricerca (DEFR) e Dipartimento federale delle finanze (DFF), sottolinea la grande importanza del commercio di materie prime nell'economia nazionale. Menziona però anche le problematiche poste da questo settore, in relazione ai diritti umani, alla situazione ambientale, alla lotta contro la corruzione nonché al fenomeno della «maledizione delle risorse» nei Paesi in via di sviluppo. La Svizzera è presto divenuta uno degli attori della globalizzazione. La lunga storia del commercio di transito svizzero attesta continuità, ma anche rotture: i global player attuali, che concludono affari internazionali a partire da un piccolo Stato neutrale, non hanno più molto in comune con le società attive nel commercio di transito sorte nel XIX secolo. Tuttavia, come allora, anche oggi il settore è poco regolamentato: al contrario di quello bancario, manca un'autorità di vigilanza sul mercato delle materie prime.
Bandiere della campagna sull'iniziativa popolare «per imprese responsabili». Montaggio di diverse fotografie, scattate il 13 ottobre 2020 a Losanna (KEYSTONE / Jean-Christophe Bott, immagine 429915063).
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