L'internamento amministrativo designa la privazione della libertà in un istituto ed era disposto da un'autorità amministrativa cantonale per una durata perlopiù illimitata. Dalla metà del XIX secolo costituì uno strumento di sanzione cui ricorsero le autorità dell'assistenza pubblica, tutorie (tutela) e di profilassi dell'alcolismo (temperanza) al fine di redimere e disciplinare (disciplinamento sociale) le persone internate; si fondava sul diritto amministrativo cantonale e, dal 1912, sul diritto tutorio della Confederazione. Non presupponeva né un reato né un procedimento giudiziario. L'ingerenza nella libertà individuale veniva giustificata con lo stile di vita della persona e con la necessità di garantire l'ordine pubblico. Il carattere problematico sul piano giuridico e l'arbitrarietà dell'esecuzione furono ripetutamente oggetto di critiche. Nel 1981 la privazione della libertà a scopo di assistenza sostituì le precedenti leggi sull'internamento. Nel 2014 l'Assemblea federale ha riabilitato le persone sottoposte a internamento amministrativo e ha dato il via a un processo di riparazione e di rielaborazione storica.
Evoluzione terminologica e giuridica
Nella storia del diritto l'internamento amministrativo non è definito in modo univoco. È ad esempio problematica la delimitazione di questo concetto rispetto a misure di diritto penale e civile, ospedalizzazioni psichiatriche (malattie mentali) o sanzioni del diritto migratorio (carcerazione in vista di un rinvio coatto, carcerazione amministrativa). Nel XIX secolo si ricorreva all'aggettivo «amministrativo» soprattutto per distinguere queste misure dalle pene detentive e per indicare la competenza (autorità amministrative) o la procedura («per via amministrativa»). All'inizio del XX secolo si diffuse l'uso dell'espressione «internamento amministrativo» come termine generico per il ricovero in istituto di persone adulte o giovani nell'ambito dell'assistenza pubblica. Nelle ricerche più recenti questo termine viene nuovamente definito in senso più ampio.
La coesistenza di disposizioni cantonali e federali portò a un confuso coacervo di regolamentazioni. L'internamento amministrativo fece la sua prima apparizione a metà del XIX secolo come strumento di sanzione dell'assistenza pubblica (ad esempio decreti dei cantoni Grigioni nel 1839 e nel 1840, Turgovia nel 1849, Lucerna nel 1872). Il contesto storico era caratterizzato dalla moralizzazione della povertà (di massa) e dal sovraccarico delle istituzioni assistenziali esistenti. Nel solco delle case di lavoro della prima età moderna i poveri idonei al lavoro, ma stigmatizzati come «oziosi» o «dissoluti», dovevano essere educati al lavoro e gli ospizi per persone povere sgravati di «casi difficili». Le sanzioni andavano ben oltre le contravvenzioni applicate per reati legati all'accattonaggio (mendicità) o all'abuso dell'assistenza. La rinuncia a un procedimento giudiziario veniva motivata soprattutto con ragioni di economia procedurale e finalità preventivo-pedagogiche.
L'internamento amministrativo si affermò in prima battuta nella Svizzera tedesca. I cantoni della Svizzera francese e il Ticino seguirono l'esempio più tardi e posero l'accento in modo più marcato sulla profilassi dell'alcolismo (Vaud, 1906; Friburgo, 1919 e 1924; Vallese, 1926; Ticino, 1929). Nella prima metà del XX secolo l'internamento amministrativo divenne uno strumento ad ampio raggio per il controllo sociale delle persone che non si conformavano alle aspettative della società, si opponevano alle autorità, ai tutori o ai genitori o sfuggivano alle maglie della sicurezza sociale. Le disposizioni sulla tutela contenute nel Codice civile (CC), approvato dalle Camere federali nel 1907, e le leggi cantonali ampliate sull'internamento (ad esempio Berna, 1912; Zurigo, 1925; Friburgo, 1942) consentivano di privare della libertà individui considerati «disadattati», quali alcolisti, disoccupati di lunga data (disoccupazione), giovani che avevano commesso reati minori, pregiudicati e – in particolare nella Svizzera francese (Vaud, 1939; Neuchâtel, 1939) – prostitute (prostituzione), senza che questi vivessero necessariamente in povertà, sotto tutela o avessero commesso reati. Ad eccezione di Ginevra, fino alla seconda guerra mondiale tutti i cantoni prevedevano forme di carcerazione amministrativa.
I primi cantoni abrogarono le loro legislazioni nel 1942, quando entrò in vigore il Codice penale svizzero (ad esempio Argovia, Zugo), altri lo fecero negli anni 1970 (come Vaud, San Gallo, Svitto). Altrove le leggi cantonali sull'internamento rimasero invariate fino al 1981 (ad esempio Zurigo, Friburgo). Alcuni cantoni le rividero nel secondo dopoguerra (ad esempio Vaud, 1941 e 1949; Soletta, 1954; Lucerna, 1954 e 1966; Berna, 1965) e anticiparono così, senza rinunciare completamente alla logica del disciplinamento, elementi del nuovo ordinamento del 1981. Le norme rivedute circoscrivevano il ricorso all'internamento amministrativo, miglioravano la tutela giurisdizionale e prevedevano un maggior ricorso a misure a basso impatto (ammonimenti, sospensione dell'internamento con la condizionale) o interventi di medicina sociale (assistenza ambulatoriale). I collocamenti in istituto furono sempre più considerati un'ultima ratio. Le disposizioni del CC, rimaste invariate fino al 1981, non furono interessate da riforme.
Prassi ed esecuzione della pena
La base giuridica frammentata condizionò anche la prassi dell'internamento. Le decisioni in quest'ambito competevano in parte ai governi cantonali, in parte a istanze amministrative distrettuali o comunali. Faceva eccezione il canton Vaud, in cui la pertinenza era attribuita a specifiche commissioni di esperti. Il CC prevedeva che gli internamenti amministrativi fossero disposti dalle autorità tutorie. Laddove a decidere erano istanze subordinate, l'inoltro ad autorità superiori offriva una tutela giuridica minima, ma poco efficace. Una verifica da parte di un giudice era possibile solo in casi eccezionali prima del perfezionamento del diritto amministrativo dagli anni 1960. Il quadro legale spesso solo rudimentale, il ricorso a concetti giuridici indeterminati quali «oziosità», «dissolutezza» o «carattere asociale» e i diritti procedurali limitati concedevano alle autorità poteri discrezionali eccessivi e portavano a ingerenze nella libertà personale arbitrarie e sproporzionate.
Gli internamenti amministrativi costituivano per le autorità strumenti di pressione e di sanzione flessibili, cui ricorrere per spingere le persone a cooperare in situazioni di conflitto, per imporre norme sociali e rafforzare le gerarchie già esistenti. Servivano pure come soluzione di ripiego poco onerosa, in assenza di alternative più indicate, e avevano probabilmente anche effetti di prevenzione generale. Non di rado era la cerchia sociale (vicinato, autorità tutorie, famiglie) a chiedere un internamento amministrativo. Persone autorevoli come agenti della polizia locale, insegnanti, parroci e pastori o funzionari dei servizi di assistenza svolgevano in questo processo un'importante funzione di mediazione.
Gli internamenti amministrativi venivano eseguiti perlopiù in istituti chiusi con l'obbligo di lavorare (penitenziari, istituti di lavoro forzato). A differenza di una pena detentiva, di regola la durata non era decisa in anticipo, ma dipendeva dalle direzioni degli istituti, a dimostrazione del carattere di prova attribuito alle sanzioni, ciò che generava grande incertezza per le persone internate. Erano diffusi periodi di detenzione fino a due anni; talvolta – ad esempio per i giovani o in caso di recidiva – potevano durare anche più a lungo. Istituti di lavoro forzato creati appositamente, come ad esempio Fürstenau (1840), Kalchrain (1849, nel comune di Hüttwilen) o Bitzi (1871, nel comune di Mosnang), servirono inizialmente all'esecuzione. Nel XX secolo lo spettro di istituzioni si ampliò ad altre tipologie, quali ospizi per poveri, asili per la cura degli alcolisti o istituti di rieducazione, come pure, per trasferimenti di breve durata, anche carceri distrettuali o cliniche psichiatriche (istituti di internamento). Numerose strutture, in particolare complessi multifunzionali come Bellechasse, Realta o Hindelbank per le donne, servivano anche per l'esecuzione delle pene. La reclusione con coercizione al lavoro era organizzata in molti luoghi in modo tale che le persone internate la vivessero come una punizione. Le condizioni igieniche, l'alimentazione, l'assistenza sanitaria e la situazione di lavoro rimasero precarie fino ad anni 1960 inoltrati. Mancava in parte una rigida separazione di genere. In molti istituti regnava un clima di disciplina imposta con la forza, compresa la violenza fisica e sessuale. Ad eccezione di poche opportunità di formazione professionale per giovani maschi, il lavoro assegnato consisteva in attività fisicamente provanti e monotone senza alcun carattere qualificante (ad esempio lavori agricoli, domestici, montaggio) e assumeva spesso una connotazione di sfruttamento. Le persone costrette al lavoro, anche se lo svolgevano per conto di ditte esterne, ricevevano solo un compenso minimo.
Gruppi soggetti all'internamento, fattori di rischio, effetti sulle persone internate
Si stima che solo nel XX secolo almeno 60'000 persone adulte e in parte anche giovani furono sottoposte a internamento amministrativo. Le misure raggiunsero il culmine tra il 1930 e il 1945 e in seguito diminuirono progressivamente. Negli anni 1970 in media 250 persone all'anno furono internate per decisione amministrativa. Circa i quattro quinti di coloro che subivano questa misura erano uomini. La ricerca attribuisce questa disparità di trattamento alle diverse aspettative della collettività e alle diverse forme di controllo sociale per uomini e donne (ruoli sessuali). Poiché secondo l’ordine costituito gli uomini dovevano provvedere al sostentamento della famiglia, erano accusati più rapidamente e facilmente di non aver voglia di lavorare, di trascurare i doveri di assistenza o di eccedere nel consumo di alcol. Accuse attinenti alla sfera della sessualità erano, per contro, rivolte in particolare alle donne, che sottostavano inoltre a un controllo più forte da parte della famiglia, ciò che riduceva il rischio di internamento in particolare per le mogli. Nel dopoguerra vennero invece internate più giovani donne, che si erano sottratte alla sorveglianza dei genitori e dei tutori per quanto riguarda il comportamento durante il tempo libero e la sessualità. Gli internamenti amministrativi servivano quindi anche quale mezzo di stabilizzazione dell'ordinamento di genere predominante.
Internamenti amministrativi furono disposti soprattutto, anche se non solo, contro persone dei ceti sociali inferiori (classi popolari). Ne era particolarmente colpito chi non aveva un solido sostegno sociale e lavorava in condizioni precarie. Altri fattori di rischio erano lo stato civile (persone non sposate o separate) e la provenienza da famiglie monoparentali o dissestate. Spesso si trattava di individui stigmatizzati ed emarginati nel proprio ambiente in quanto anticonformisti (marginalità sociale), come madri nubili (illegittimità), giovani collocati al di fuori della famiglia (sottrazione di minori), Jenisch e Sinti (zingari) o che si opponevano agli interventi delle autorità. Molti di loro si erano già confrontati con separazioni familiari o collocamenti extrafamiliari.
Benché le misure mirassero a favorire l'integrazione sociale ed economica, spesso inasprivano ulteriormente l'emarginazione di persone vulnerabili. I ricoveri in istituto indebolivano i legami sociali, causavano interruzioni del percorso professionale ed esponevano a un maggiore rischio di povertà. Indipendentemente dalla tipologia di istituto, l'internamento stigmatizzava coloro che lo subivano e rendeva più difficile il reinserimento. La carenza di assistenza dopo il rilascio aggravava il rischio che le persone interessate cadessero in una spirale di precarizzazione, da cui difficilmente riuscivano a uscire. Il numero di internamenti ripetuti era di conseguenza elevato. Lesioni dell'integrità personale durante la privazione della libertà comportavano talvolta traumi o oneri sociali e per la salute durevoli. Per paura di essere stigmatizzate numerose vittime tacevano quanto avevano subito; dopo il rilascio, molte si vedevano costrette a costruirsi una nuova identità sociale e a trovare nuove fonti di sostentamento.
Critica, riscatto e rielaborazione politica e storica
Sin dalla sua introduzione nel XIX secolo l'internamento amministrativo fu contestato perché considerato problematico sul piano dello Stato di diritto. Nel XX secolo, fra altri, lo scrittore Carl Albert Loosli, l'attivista per i diritti delle donne Emilie Gourd oppure avvocati quali Paul Golay e Gaudenz Canova rinnovarono la critica alla «giustizia amministrativa» (Loosli), senza tuttavia conseguire trasformazioni durature. La consapevolezza del problema si acuì solo negli anni 1960; gli studiosi e le studiose di diritto e i media stigmatizzarono allora la sproporzione e il carattere punitivo mascherato degli internamenti amministrativi. Solo la pressione internazionale in vista della ratifica della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cedu, 1974) e da parte dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), che consideravano l'internamento amministrativo come una forma proscritta di lavoro forzato, portarono a una fondamentale riforma.
Nel 1981, nell'ambito della revisione del CC, fu introdotto un nuovo ordinamento che teneva conto degli obblighi della Svizzera in materia di diritto internazionale e sottolineava il carattere assistenziale e medico delle privazioni della libertà al di fuori del diritto penale. La privazione della libertà a scopo di assistenza sostituì le leggi cantonali sull'internamento. Il suo campo di applicazione fu circoscritto ai casi in cui altrimenti non poteva essere garantita l'assistenza personale necessaria; nuove garanzie procedurali, in particolare il diritto a una verifica da parte di un giudice, assicurarono da allora una tutela giurisdizionale minima. L'esecuzione restò di competenza dei cantoni. La privazione della libertà a scopo di assistenza riguardò nella prassi in primo luogo i ricoveri in istituti psichiatrici e sociosanitari, il cui numero aveva però già prima del 1981 abbondantemente superato quello degli internamenti amministrativi disposti in base alle leggi cantonali. Con il nuovo diritto della protezione dei minori e degli adulti del 2013 il ricovero a scopo di assistenza ha sostituito la privazione della libertà a scopo di assistenza.
La critica pubblica e la rivalutazione politica delle misure coercitive a scopo assistenziale attuate dallo Stato si concentrarono fino agli anni 1990 sulla persecuzione degli Jenisch da parte dell'Opera per i bambini della strada. Solo la mobilitazione, sostenuta dai media, delle persone che avevano subito internamenti amministrativi e collocamenti extrafamiliari ha portato dagli anni 2000 a un più ampio dibattito sulle riparazioni. Anche la ricerca storica si è occupata sempre più di questa tematica. Nel 2010 e nel 2013 il Consiglio federale ha presentato le sue scuse alle vittime di misure coercitive a scopo assistenziale attuate dallo Stato. Nel 2014 l'Assemblea federale ha promulgato la legge concernente la riabilitazione delle persone internate sulla base di una decisione amministrativa e ha nominato una Commissione peritale indipendente, che ha concluso la sua attività nel 2019. Quale controprogetto all'iniziativa popolare «Per la riparazione» nel 2016 l'Assemblea federale ha promulgato la legge federale sulle misure coercitive a scopo assistenziale e i collocamenti extrafamiliari prima del 1981; quest'ultima prevede tra l'altro il riconoscimento alle vittime di tali misure di un contributo di solidarietà di 25'000 franchi a testa a titolo di riparazione.
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