Le cifre sono piuttosto eloquenti: 32,5% di donne in Consiglio nazionale, 15,2% nel Consiglio degli Stati. Il primo dato è in lento ma costante aumento dal 1974, il secondo è invece in calo dal 2003 e rischia di ridursi ulteriormente nel 2019. Di fronte a progressi e difficoltà dell'emancipazione femminile in Svizzera, abbiamo interpellato due donne, di generazioni e percorsi politici diversi, entrambe rappresentanti della Svizzera italiana, chiedendo loro una riflessione sulla parità di genere nelle istituzioni politiche, ma non solo.
DSS: Come caratterizzereste con tre aggettivi il processo di emancipazione femminile in Svizzera, e perché?

Chiara Simoneschi-Cortesi (CSC): Tardivo, lento e, nel campo del mondo del lavoro, assolutamente insufficiente. Penso in particolare alla parità di salario e alla presenza bassissima di donne laddove si prendono decisioni. Ciò è dovuto a una forma di conservatorismo che si manifesta soprattutto nella visione del ruolo della donna nel mondo del lavoro e nella ripartizione dei compiti, famiglia, lavoro, politica, tra i sessi. Inoltre, mancano ancora un'effettiva conciliabilità lavoro-famiglia per ambedue i coniugi con figli, misure di sostegno alla famiglia e, più in generale, l'eliminazione di tutti quegli ostacoli che solo le donne incontrano.
Marina Carobbio Guscetti (MCG): Necessario, appassionante, solidale. Necessario perché è indubbio che promuovere i diritti delle donne e la parità dei sessi significa costruire una società più giusta, più responsabile e più rispettosa della diversità. Appassionante e solidale perché sono le donne con la loro forza che si sono battute e si battono per i loro diritti e contro le discriminazioni.
Se doveste indicare un momento pubblico o privato in cui avete sentito più viva la speranza in un effettivo raggiungimento della parità di genere e uno invece di scoramento o delusione, quali menzionereste?
CSC: Il 1981: popolo e cantoni dicono sì al nuovo articolo costituzionale sulla parità di genere, gettando le basi per cambiamenti importanti, quali le riforme nel diritto di famiglia, la legge sulla parità dei sessi e l'assicurazione maternità.
E il 2018: l'incomprensibile difficoltà delle Camere federali a varare una riforma che obblighi le aziende ad accertarsi che non ci siano discriminazioni di genere sul piano salariale, a istituire controlli statali sistematici e a comminare multe, in caso di violazioni.
Infine, ciò che mi colpisce ancora oggi è la violenza – che non accenna a diminuire – contro le donne sia in famiglia che fuori: ciò significa che c'è ancora molto da fare.

MCG: Un momento positivo per la parità è stato sicuramente lo sciopero delle donne del 14 giugno 1991. Ero una studentessa a Basilea e ho partecipato con grande emozione a questa immensa mobilitazione, un'esperienza che ha sicuramente contribuito alla mia formazione politica.
Un avvenimento che ricordo invece con grande delusione sono, come spiega bene Chiara, le discussioni parlamentari dello scorso anno sulla parità salariale. Da decenni noi donne ci sentiamo dire che questo obiettivo verrà raggiunto in modo volontario dalle imprese, ma purtroppo non è il caso. La legge varata l'anno scorso è sì un passo avanti, ma totalmente insufficiente. Spero che lo sciopero di quest'anno smuova la situazione anche in questo ambito.
Signora Simoneschi-Cortesi, lei è stata la prima donna svizzeroitaliana a ricoprire il ruolo di presidente del Consiglio nazionale. Con quali difficoltà ha dovuto confrontarsi per raggiungere questa carica?
CSC: Il problema più grosso per me – ma in generale per le donne – è stato quello di riuscire a comparire sulla lista per il Consiglio nazionale. In politica, ci sono cariche più o meno attrattive e per le donne è molto difficile correre per quelle più ambite dagli uomini. Segue poi la campagna elettorale: molto pesante e costosa. In materia di finanziamento, si dovrebbe introdurre l'obbligo della trasparenza. Una volta elette si deve lavorare molto e bene nelle commissioni, così da riuscire a profilarsi, acquisendo influenza e autorevolezza, obiettivo non facile in un consesso di 200 persone. E, infine, bisogna ottenere il sostegno del proprio gruppo parlamentare che in votazione segreta sceglie fra i candidati e le candidate alla carica di presidente: io l'ho spuntata nei confronti di un collega di Lucerna, molto apprezzato. Una volta giunta lì, l'elezione da parte del Consiglio nazionale è stata facile.
Prendendo il testimone "ticinese" della signora Simoneschi-Cortesi a esattamente 10 anni di distanza, qual è stata la sua esperienza, signora Carobbio Guscetti?
MCG: Chiara ha svolto un importante ruolo di apripista a Berna, gettando le basi per promuovere maggiormente l'italiano. Senza il suo impegno, e il supporto dei Servizi del parlamento, non ci sarebbero state le condizioni favorevoli alla mia decisione di condurre tutti i lavori parlamentari in italiano. Anche a livello più personale Chiara mi ha insegnato molto: una coincidenza ha voluto che nei miei primi mesi a Berna fossimo vicine di banco in Consiglio nazionale. Grazie anche a questa vicinanza "geografica", Chiara ha assunto un ruolo di mentore nei miei confronti e mi ha aiutata a fare i primi passi nel parlamento federale. Più in generale penso che per le giovani donne sia importante contare su figure di riferimento e spero che la mia presidenza possa incoraggiarne un numero sempre maggiore a lanciarsi in politica e a credere nei propri sogni.
Per onorare le prime dodici donne a Palazzo federale, signora Carobbio Guscetti, lei ha promosso l'apposizione di targhe commemorative nei seggi che hanno occupato. Queste incisioni possono anche essere lette come un monito. Cosa vorrebbe che trasmettessero alle donne e agli uomini che siederanno in questi banchi?
MCG: Le targhe sono il giusto riconoscimento per il grande lavoro svolto e per la tenacia dimostrata da queste pioniere. Non era per nulla scontato come donne – alcune anche giovani e mamme – riuscire a farsi eleggere in parlamento nel 1971 e mi è sembrato quindi un bel segnale sottolineare questo traguardo. Spero che le targhe servano da stimolo per il futuro, perché è tuttora necessario impegnarsi per la parità e contro le discriminazioni di genere. È determinante che più donne siano presenti laddove si prendono le decisioni!

Dal vostro punto di vista, uno strumento come il Dizionario storico della Svizzera può dare un contributo concreto al processo di trasformazione dei rapporti di genere?
CSC: La storia è importante anche e soprattutto per non dimenticare quanto impegno e quanta passione migliaia di donne prima di noi hanno profuso nella codificazione della parità e nella sua realizzazione in ogni ambito della società. Si tratta di un diritto fondamentale della persona e come tale va difeso e concretizzato ogni giorno.
MCG: Concordo pienamente con Chiara quando dice che è importante ricordare le battaglie delle donne nella storia. Sfortunatamente troppo spesso si trascura il loro ruolo; è quindi importante che il Dizionario storico della Svizzera – ma anche i manuali scolastici – lo metta meglio in luce. Con lo stesso intento, ho promosso il sito web Donne Politiche e momenti di riflessione sul tema della partecipazione delle donne in politica e nell'economia.