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Lavori forzati
Versione del 15.09.2023
La condanna ai lavori forzati era comminata quando le infrazioni non comportavano pene corporali, specialmente la mendicità (marginalità sociale); oppure, dal XVII secolo, quando, in presenza di delitti gravi, particolari attenuanti permettevano il ricorso a una poena extraordinaria (diritto penale). Tra il XVI e il XVIII secolo, nell'area linguistica alemanna (fra l'altro a Berna, Basilea, Zurigo e Lucerna) la condanna ai lavori forzati in pubblico – Schellenwerk (talvolta anche Schallenwerk) – faceva riferimento alla condizione dei condannati ai lavori forzati, che spesso portavano le manette (tedesco Schellen) ed erano incatenati (esecuzione delle pene, penitenziari). Nei Paesi francofoni soggetti a Berna e a Friburgo tali pene erano denominate selnaux, sonnaux o sonnettes. Gli strumenti con cui gli imputati venivano messi alla berlina erano anch'essi dotati di manette. Spesso i condannati svolgevano attività di interesse pubblico in favore delle autorità (costruzione di strade e fortezze, pulizia di strade e piazze, ecc.). L'educazione al lavoro duro, oltre a risultare proficua per lo Stato, era finalizzata all'elevazione morale dei colpevoli. Sebbene avessero la valenza di una punizione infamante eseguita pubblicamente, i lavori forzati non erano considerati disonorevoli (onore) in quanto non comportavano contatti con il carnefice, socialmente riprovevoli. Tuttavia, le conseguenze per l'integrità fisica e la salute dei condannati trasformavano spesso i lavori forzati in una pena incresciosa.